Violenza razziale: gli Stati Uniti sapranno dire basta?
Dopo l’ennesima tragedia per mano della polizia ai danni di un cittadino afroamericano, i Democratici propongono di riformare le forze dell’ordine
I movimenti anti razzismo che in questi giorni stanno emergendo in diversi Paesi occidentali richiamano l’attenzione su una problema di levatura epocale e mondiale: la questione razziale, in questo caso declinata in discriminazioni operate delle forze dell’ordine. Al cospetto, cioè, di un’istituzione che avrebbe il dovere di difendere l’incolumità dei suoi cittadini.
Ed è una questione che non si risolverà in uno slogan, in un manifesto o in un ginocchio puntato rispettosamente in terra. Oltre ai simboli, adesso, abbiamo bisogno di azioni in grado di cambiare la nostra cultura. La legislazione in vigore può venirci incontro per la ragione che legittimi usi e costumi.
Negli Stati Uniti – che a Novembre torneranno alle urne per le legislative – i Democratici, ora all’opposizione, hanno stilato un progetto di legge chiamato “Justice in Policing Act”. Una riforma che mira a rivedere sistemi e metodi della polizia e a conferire al Dipartimento di Giustizia maggiore peso e poteri nell’analisi dell’operato delle forze dell’ordine.
Il disegno è stato presentato Lunedì 8 Giugno dalla Speaker della Camera, Nancy Pelosi, dal capogruppo delle Minoranze al Senato, Chuck Schumer, dai senatori Kamala Harris e Cory Booker e dai membri del Black Congressional Caucus – il gruppo che, al Congresso, si occupa di minoranze nere. La stessa Pelosi ha presentato così il progetto: “Il martirio di George Floyd ha regalato all’esperienza americana un momento di angoscia nazionale. Siamo addolorati per i neri americani uccisi dalla brutalità della polizia”.
I casi di George Floyd a Minneapolis e di Rayshard Brooks ad Atlanta, non sono qualcosa di isolato ma il risultato di un contesto ed un sistema dove la discriminazione razziale è fortemente e criminosamente presente. Per dare un’idea della situazione, segnaliamo lo studio del New York Times basato sui dati del Comune di Minneapolis e relativo l’impiego dell’uso della forza sui cittadini: a fronte di solo un 20% di popolazione nera, il 60% delle volte che la polizia abbia usato metodi fisicamente coercitivi è stato proprio verso questa minoranza. Dal 2015 ad oggi, l’uso della forza è ricorso 11500 volte e 6650 contro neri, mentre “solamente” 2750 verso persone bianche. Secondo il Washington Post, sempre dal 2015, sono stati 5000 i neri uccisi in interventi di polizia: due volte e mezza in più rispetto alla maggioranza bianca.
I cittadini che manifestano contro la violenza razziale, 20 mila nelle strade di Minneapolis, New York, Los Angeles e Washington, sono cittadini che pretendono un cambiamento serio, concreto e immediato in quella “esperienza americana” di cui parlava la Pelosi. La riforma dei democratici gira intorno a problematiche chiave dello status quo in cui si muovono le forze dell’ordine. L’obiettivo è garantire i diritti civili dei cittadini e, parallelamente, delegittimare alcuni comportamenti tipici degli agenti.
Primo livello di intervento, le misure di contenimento durante i fermi che, lo stiamo vedendo, si rivelano spesso letali. Messi al bando strette e placcaggi a collo e schiena così come l’uso di sostanze urticanti nocive. Ma la riforma della polizia si gioca soprattutto a piani più elevati.
Un elemento nevralgico è, chiaramente, la possibilità di denunciare e indagare la stessa polizia. Moltissime cause verso le forze dell’ordine, infatti, decadono per quella che è l’immunità qualificata: una norma che, spiegata a grandi linee, mette al riparo le forze dell’ordine che usino eccessiva coercizione se non ci sia stato un precedente analogo di cui debbano tenere conto. Ed anche le telecamere applicate alle divise hanno una funzionalità relativa perché possono essere chiuse e accese dagli stessi agenti. Non rappresentano, quindi, quell’efficace mezzo di controllo per cui nascono. La nuova legge prevede l’abolizione di questa immunità.
Definisce, inoltre, l’istituzione di un Registro di Cattiva Condotta delle forze d’ordine sia a livello locale che federale: un Registro curato dal Dipartimento di Giustizia che tenga conto del passato di ogni agente per evitarne spostamenti di comodo a seguito di richiami o licenziamenti. Per implementare queste attività di indagine, verrebbero stanziati 100 milioni di dollari in dieci anni.
Un altro punto focale sono i fondi in favore dei dipartimenti di polizia a scapito, troppo spesso, di istruzione, salute, alloggi e altri servizi sociali. In questi giorni la voce dei manifestanti ha più volte chiesto un taglio ai finanziamenti per la polizia e, a volte, non invano. Il sindaco di Los Angeles, Eric Garcetti, ad esempio, ha tagliato i 150 milioni di dollari previsti come plus quest’anno. Lo ha seguito Bill de Blasio a New York che, sebbene non abbia stilato ancora una cifra esatta si è impegnato a deviare denaro dal NYPD verso i servizi sociali.
La riforma, invece, più che operare dei tagli in modo diretto, il candidato Biden si è detto contrario al “defunding”, complirà le finanze di quei dipartimenti che non si atterranno alle nuove misure di cui si diceva.
Altra mossa sarà la demilitarizzazione della polizia: significherebbe sganciarsi da un’eredità che dagli anni novanta, primo Bush, arriva dritta dall’Esercito in termini di munizioni, strumenti, veicoli e piani di addestramento. Un’eredità che Barak Obama aveva tentato di mettere a freno con delle apposite normative nel 2015 e che l’amministrazione Trump ha prontamente annullato. La legge del 2020 tornerebbe a limitare l’impiego di questi mezzi.
Nei giorni che hanno seguito l’omicidio di George Floyd davanti alle folle di manifestanti infuriati e frustrati per la violenza razziale della polizia, le amministrazioni comunali hanno cercato di dare alcune risposte. La polizia di Minneapolis ha licenziato Derek Chauvin, l’agente che ha ucciso George Floyd e che ora è accusato di omicidio. Licenziati anche gli altri tre agenti che hanno presenziato alla violenza (uno di loro attualmente fuori su cauzione). Il Consiglio Comunale, inoltre, si è impegnato davanti ai propri cittadini in rivolta di smantellare il distretto di polizia per iniziare un processo di ricostituzione che preveda un modello diverso di occuparsi della sicurezza pubblica. Non è chiaro in che modo. Mentre la direttrice della polizia di Atlanta ha rassegnato le dimissioni.
E i Repubblicani? Sono consapevoli di dover fare qualcosa, di dover prendere una posizione sulla questione razziale e di doverlo fare in fretta. Si trovano in fase conclusiva delle primarie, le legislative sono alle porte ed il loro massimo esponente, Donald Trump, continua a parlare di Law&Order e a proporre di usare l’esercito contro i manifestanti no-racism.
I Repubblicani si trovano in una posizione difficile che li vede rasentare la scissione. La linea guida è quella di presentare una propria legislazione in merito alla questione razziale, anche se non sono stati pochi i senatori che si sono detti “aperti” verso alcune misure della riforma. Rispetto all’immunità, ad esempio, il senatore Braun, Indiana, si era detto interessato ad approfondire: su questo tema, invece, Washington non intende trattare. Tim Scott, che rappresenta la Carolina del Sud, ha ben descritto il momento della sua parte politica: “Siamo in un percorso separato dalla Casa Bianca”.