“Le gratitudini” di Delphine De Vigan: un delicato omaggio alla vita e alle persone
In Le gratitudini, Delphine De Vigan affronta con delicatezza, rispetto e amore il tema della vecchiaia e della gratitudine per la vita che è stata
A un certo punto, da bambini, abbiamo cominciato a realizzare che il tempo non è immobile, che noi saremmo cresciuti e che gli adulti sarebbero invecchiati e un giorno non ci sarebbero stati più. L’acquisizione di questo tipo di consapevolezza è generalmente un processo abbastanza lento poiché richiede una buona dose di capacità di astrazione e proiezione nel futuro. Del paradiso, dell’aldilà o della semplice fine delle nostre vite gli adulti cominciano a parlarci e noi cominciamo a realizzare pur non avendo le idee troppo chiare.
In tutto ciò raramente ci viene spiegato cosa avviene prima: conosciamo quel lento decadimento fisico o mentale solo quando ce lo troviamo davanti e solo allora ci facciamo i conti. Il nonno che ci portava con sé a giocare con la terra del giardino mentre lui faceva l’orto o la nonna che tante volte ci ha preparato la merenda e raccontato le marachelle di mamma o di papà quando erano piccoli non ricordano più quegli episodi. O li ricordano ma non ricordano noi. O non hanno più le parole per raccontarlo.
Noi intanto stiamo crescendo, non siamo più bambini, attraversiamo l’adolescenza e diventiamo grandi e, impegnati a barcamenarci nella nostra vita alla ricerca di una direzione che non sempre troviamo, guardiamo da lontano con razionale rassegnazione la trasformazione in piccoli esseri fragili e di nuovo bambini di chi ci ha allevato e viziato.
In Le gratitudini, Delphine De Vigan affronta questo tema con straordinaria delicatezza, con rispetto e amore, e anche un po’ di ironia. Lo fa raccontandoci la storia di Michka, una signora anziana (lei preferirebbe usare il termine vecchia “Perché dice le persone anziane? Dovrebbe dire i vecchi. È bello i vecchi. Ha il merito di essere fiero e tondo”) che decide di lasciare casa sua per andare a vivere in una struttura per anziani perché non più autosufficiente.
Due sono le voci che accompagnano il lettore e la protagonista: Marie e Jerome.
Marie è come se fosse una figlia per Michka. Figlia dei vicini di casa, bambina trascurata, trova una seconda casa e una famiglia in Michka che l’accoglie e se ne prende cura negli anni. Fino a quando il rapporto di cura si inverte.
“Ma al telefono è complicato […] finisco sempre per parlare come a una bambina, e questo mi spezza il cuore perché so che tipo di donna è stata”.
Jerome è l’ortofonista della struttura, un rapporto difficile con il padre e un grande rispetto per i suoi pazienti.
“Quando li incontro per la prima volta […] cerco il giovane uomo o la giovane donna che sono stati. Li osservo e penso: anche lei, anche lui ha amato, gridato, gioito, si è tuffato, ha corso a perdifiato, ha salito le scale a quattro a quattro, ha ballato per tutta la notte.”
Michka lascia la propria casa, lascia tutto, sa che non ci tornerà più perché il viaggio è di sola andata. Nella struttura tutto è regolato e allora la vivace Michka dà vita a piccoli gesti di insubordinazione solo per sentirsi viva, solo per sentire che può ancora decide qualcosa per sé e per la propria vita.
Michka sta perdendo le parole. Lei che come correttrice di bozze con le parole ci ha sempre lavorato, adesso non le trova più. E ricorre ad altre parole per esprimersi dando vita a una lingua tutta sua che però Marie, Jerome e il lettore imparano a decifrare. Trovo che l’autrice sia stata molto efficace nella creazione del modo di parlare di Michka (i dialoghi strappano numerosi sorrisi) e che la traduttrice abbia fatto un buon lavoro nella resa in italiano.
Ne risulta un romanzo delicato che affronta il tema della vecchiaia e del naturale decadimento umano, ma non solo. Nel momento in cui ci si rende conto che il tempo a disposizione scarseggia è allora che con più urgenza ci viene presentato il conto del non fatto o non detto.
Emerge con più forza la necessità di dire grazie, quella parola e quel sentimento spesso trascurato nell’ordinarietà della quotidianità e che ci riporta a contatto con l’essenza dell’altro non erosa dal tempo. Le pagine scorrono leggere ma un po’ di magone alla fine sarà inevitabile.
Le gratitudini
Delphine De Vigan
Einaudi, 2020
p.160, € 17,50