L’estate nera della Bielorussia
L’ombra di elezioni fraudolente e la dura repressione del governo Lukashenko su opposizione e manifestanti opprimono la Repubblica dell’Est
Diventa sempre più critica la situazione politica in Bielorussia, dove l’opposizione è letteralmente messa fuori gioco dalle forze governative. Diversi gli esponenti del Consiglio del Coordinamento sequestrati e incarcerati o minacciati e costretti all’espatrio da parte degli uomini del Presidente Aleksandr Lukashenko.
La tensione è scoppiata dopo le ultime presidenziali, tenutesi lo scorso 9 Agosto. Risultati contestati e controversi che hanno suscitato in primis le rimostranze dell’opposizione e, in secondo luogo, la ribellione delle piazze in un crescendo di mobilitazioni – tra manifestazioni e scioperi, cui sono seguite le reazioni violente e unilaterali del governo. Gli Interni hanno confermato migliaia di arresti, a centinaia ogni fine settimana, a fronte di centomila persone che da un mese si riversano nelle strade di Minsk e nei principali centri abitati come Brest, Grodna, Mogilev e Gomel.
La Bielorussia chiede al Lukashenko un passo indietro rispetto alla sua rielezione e, adesso, di fare chiarezza rispetto alla repressione usata verso l’opposizione: riuniti nel Consiglio di Coordinamento, creato appositamente per negoziare con la maggioranza un cambiamento politico governativo, i membri leader dell’organizzazione sono stati in più occasione sequestrati.
Secondo diversi testimoni si parla di prelievi forzati e incappucciamenti fatti da uomini in maschera anche in pieno giorno e sulle postazioni di lavoro delle vittime. La candidata presidenziale Svetlana Tikhavnoskaya è stata arrestata nel momento in cui ha espresso il suo dissenso verso l’esito delle urne: rilasciata dopo alcune ore, è stata forzata a lasciare la Bielorussia ed ora si trova in Lituania.
La Polonia ha invece accolto l’altra oppositrice, Veronika Tsepkalo, anche lei con un marito in carcere. La Tsepkalo è stata raggiunta la scorsa settimana da Olga Kovalkova. Mentre Maria Kolesnikova è tutt’ora in stato di arresto. Come Viktor Babariko che avrebbe voluto correre contro Lukashenko.
E risultano scomparsi Anton Rodnenkov, Ivan Kravtsov e Maxim Znak. Mentre Pavel Lutasko, ex ministro è espatriato dopo aver ricevuto intimidazioni. Tutti membri del Consiglio o, comunque, leader dell’opposizione. Ed è in carcere Serghej Dylevskij, promotore dello sciopero dei trattori di agosto.
Secondo le autorità locali, però, gli arresti di quest’estate sono legati a figure “sospettate di nuocere la sicurezza nazionale e di destabilizzare il Paese”.
Destabilizzazione che sarebbe avvenuta per la contestazione dei risultati elettorali. Frode e irregolarità dello spoglio è quanto allega l’opposizione. Spoglio avvenuto senza la presenza di osservatori internazionali. L’antagonista di Lukaschenko, Svetlana Tikhanovskaya, che si era candidata in sostituzione del marito, arrestato in precedenza, sosteneva di aver ottenuto ben oltre il 10% delle preferenze che le sono state ufficialmente riconosciute.
E così Aleksandr Lukashenko è al suo sesto mandato presidenziale, 26 anni filati, dal 1994. Ha costruito la propria stabilità su nazionalismo e protezionismo: la sicurezza di un continuum con il passato ereditato dell’URSS, per cui la produzione industriale è in gran parte controllata dallo Stato (così come l’informazione), gli ha garantito il sostegno di larga parte della popolazione per lungo periodo. Oggi, però, l’aria in Bielorussia sta mutando: corruzione tra i dirigenti politici, censura, bassi salari e povertà di massa sono le leve che muovono l’opposizione. La repressione, fisica e non, riservata a quest’ultima, sia durante la campagna elettorale che per la contestazione dei risultati, ha smosso l’opinione pubblica che, come dicevamo, si è riversata in strada sfidando violenza e arresti.
Si attende una risposta da parte dell’Unione europea che, sempre più preoccupata di come gestire il conflitto con uno degli alleati di Vladimir Putin, sta preparando le sanzioni che colpiranno la classe dirigente: nodo chiave, in questi giorni, è decidere se includere lo stesso presidente tra i nominativi da mettere sotto accusa. Tranne Polonia a Paesi Baltici, la propensione sarebbe per il no.
Perché? L’Ue teme un inasprimento della situazione al toccare il vertice politico. Eppure Bruxelles si schiera “a fianco del popolo bielorusso per la difesa della democrazia” – nelle parole del Presidente del Parlamento, David Sassoli – e richiede l’immediato rilascio dei dissidenti arrestati nell’ultimo mese e chiarezza su fatti e motivazioni che hanno portato agli stessi arresti. Le sanzioni sono dovute a “violenza, repressione e falsificazione di risultati elettorali” e una volta approvate condanneranno le persone coinvolte all’impossibilità di accedere ai Paesi dell’Unione ed al congelamento dei loro beni economico-finanziari. La prossima settimana dovrebbero essere definitive ed ufficiali. Nel frattempo avrà spazio quello che ormai è conosciuto come “l’ultimo dei dittatori d’Europa”.