The Social Dilemma: ripensare il rapporto coi social media prima che sia troppo tardi
Dobbiamo ripensare a come usiamo i social media prima che sia troppo tardi: abbiamo accettato un accordo faustiano. Un modello di business che altera il nostro modo di pensare, agire e vivere le nostre vite ci sta portando verso la distopia
Quando la gente immagina la tecnologia prendere il sopravvento sulla società, molti pensano a Terminator e a robot a prova di proiettile. O al Grande Fratello dell’opera “1984” di George Orwell, simbolo di oppressione eterna e onnipotente. Ma molto probabilmente la tecnologia distopica non ci intimidirà. Anzi, inconsapevolmente stringeremo un patto col diavolo dei social media: commerciare liberamente le nostre preferenze subconscie per i meme, la nostra coesione sociale per la connessione istantanea, e la verità per ciò che invece vogliamo sentire.
Senza dubbio, come spiegano gli ex addetti ai lavori di Google, Twitter, Facebook, Instagram e YouTube nel nuovo documentario, The Social Dilemma, questa situazione si sta già verificando.
Viviamo già in una versione del Mondo Nuovo di Aldous Huxley.
Come ha spiegato Neil Postman nel suo libro “Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo”, del 1985: “Nella visione di Huxley, non c’è bisogno del Grande Fratello per privare le persone della loro autonomia, maturità e storia. Per lui, la gente arriverà ad amare la loro oppressione, ad adorare le tecnologie che disfano la loro capacità di pensare”.
Just watched a Netflix documentary about social media called THE SOCIAL DILEMMA that terrified me more than any horror movie I have seen in the past twenty years…https://t.co/kZTkJQFEOo pic.twitter.com/TPhUf3vmES
— George RR Martin (@GRRMspeaking) September 17, 2020
La tecnologia che minaccia la nostra società, la democrazia e la nostra salute mentale è in agguato nella nostra camera da letto, a volte giace sui nostri cuscini mentre ci addormentiamo. Ci svegliamo quando chiama, portiamo le sue sonore notifiche a cena e ci fidiamo ciecamente ovunque ci porti. Scorriamo la bacheca in modo insaziabile, senza sospettare che la tecnologia che ci connette, specialmente adesso, in un mondo distanziato, ci sta anche controllando.
I nostri social media sono alimentati da un modello business di sorveglianza disegnato per minare, manipolare ed estrarre le nostre esperienze umane ad ogni costo, causando un guasto nel nostro ecosistema di informazione e senso della verità condiviso a livello mondiale. Questo modello di business estrattivo non è costruito per noi, ma per sfruttarci.
Un terzo degli adulti americani e quasi metà delle persone tra i 18 e i 29 anni dichiarano di essere online “quasi costantemente”. Tuttavia, a differenza dei cittadini del Mondo Nuovo, noi siamo infelici. Con l’aumentare del nostro tempo online, di conseguenza sono aumentati anche i tassi di ansietà, depressione e suicidio, specialmente tra i giovani.
I social media stanno anche facendo deragliare il dibattito pubblico produttivo.
Un promemoria interno destinato ai dirigenti anziani di Facebook, inviato nel 2018 ma largamente ignorato, spiegava: “I nostri algoritmi sfruttano l’attrazione che il cervello umano ha nei confronti degli argomenti divisivi”. Se lasciati incontrollati, gli algoritmi mostreranno agli utenti “contenuti sempre più divisivi, nello sforzo di attirarne l’attenzione e aumentare il loro tempo sulla piattaforma”.
Nel 2014, il Pew Research Center ha scoperto che l’antipatia di parte e le divisioni in America sono “più profonde e più estensive di qualunque altro periodo negli ultimi vent’anni”. Durante gli ultimi 6 anni, i social media hanno solamente esacerbato questi sentimenti. Nel 2019, il 77% dei Repubblicani e il 72% dei Democratici avevano dichiarato che gli elettori di entrambi i partiti “non solo non erano d’accordo sui piani e sulle politiche, ma non riuscivano nemmeno ad accordarsi sulle basi”.
Nel documentario The Social Dilemma, un ex etico di Google e il co-fondatore del Center for Humane Technology, Tristan Harris, sottolinea che molto prima che la tecnologia prenderà il sopravvento sulle forze umane, essa ne sopraffarà le debolezze. Gli algoritmi sofisticati imparano quali sono le nostre vulnerabilità emotive e le sfruttano in modo insidioso.
In "The Social Dilemma," former Google design ethicist Tristan Harris says social media is no longer a tool for people to use. Instead, he explains that social media has its own goals and pursues them by using psychology against users.https://t.co/c1oI9dxuhy
— NPR (@NPR) September 20, 2020
Sorvegliando quasi tutte le nostre attività online, le piattaforme dei social media riescono adesso a prevedere le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Fanno leva su queste informazioni e ci mettono all’asta al più alto offerente pubblicitario, facendole diventare, di conseguenza, alcune delle società più ricche nella storia mondiale.
Ma non si tratta solamente di vendere un paio di scarpe online.
Le capacità di targeting di queste piattaforme danno a tutti coloro che lo vogliano la forza e la precisione di influenzarci a poco prezzo e con una facilità fenomenale. Più di 70 Paesi hanno citato le campagne di disinformazione, che sono raddoppiate dal 2017 al 2019.
La talpa Sophie Zhang ha rivelato quanto sia penetrante il problema sulla piattaforma di Facebook, e quanto poco faccia la società per combatterlo. Di recente, Facebook ha lanciato una serie di aggiornamenti per mitigare la disinformazione politica in vista delle prossime elezioni presidenziali statunitensi. Ciò include anche il divieto di pubblicità politiche una settimana prima delle votazioni, ma è troppo poco e troppo tardi. Inoltre, queste misure non risolvono il problema fondamentale del loro modello di business sfruttatore.
Sophie Zhang’s searing memo has exposed how the social media giant is losing the war against disinformation, writes @shapshak. https://t.co/PlCM0GUHy5
— FinancialMail (@FinancialMail) September 30, 2020
Dopo quasi tre anni di lavorazione sul documentario, adesso considero “The Social Dilemma” come uno dei problemi di base del nostro tempo. Si affianca a molti degli altri conflitti sociali che richiedono compromessi e comprensione mutuale per essere risolti. Se a due parti vengono continuamente sottoposte delle riflessioni sulle loro ideologie pregresse e argomentazioni fittizie e oltraggiose delle visioni opposte, non saremo mai in grado di costruire ponti e guarire le sfide che piagano l’umanità.
Ma c’è speranza. Nei sequel di Terminator, Arnold Schwarznegger ritorna e fa parte dei buoni. “Chi ti ha mandato?” chiede John Connor. Terminator risponde “Tu stesso. 35 anni da ora tu mi hai riprogrammato per essere il tuo protettore in questo periodo”.
In assenza dei viaggi nel tempo, la soluzione deve comprendere il lavoro e le voci di devoti artisti, organizzazioni, studiosi e tutti coloro che hanno avuto esperienza dei danni della tecnologia sfruttatrice, che amplifica l’oppressione e la disuguaglianza sistemica. Non possiamo affidarci alle persone che hanno creato il problema per risolverlo. E non mi fiderei di quelle società di social media fin quando non cambieranno il loro modello di business per servire noi, il pubblico. Gli umani hanno creato questa tecnologia, quindi abbiamo la responsabilità di, e possiamo, cambiarla.
Traduzione di Chiara Romano da theguardian.com
Immagine di copertina via wbur.org