I vestiti ‘vivi’ del futuro assorbiranno le emissioni di carbonio

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Abiti che assorbono le emissioni di carbonio: una stilista di origini canadesi e iraniane è riuscita a creare un nuovo materiale capace di compiere la fotosintesi. L’obiettivo? La moda a “carbonio-negativa”

La stilista canadese-iraniana Roya Aghighi vuole che immaginiate che la vostra maglietta sia viva. Non come se foste in un film dell’orrore: Aghighi spera di poter sviluppare una relazione più intima con la moda, trattando i vestiti come esseri viventi che hanno bisogno del nostro aiuto per sopravvivere.

Non ti verrà più da lanciare i tuoi vestiti in un angolo dell’armadio o nella lavatrice” ha dichiarato da Vancouver, in una intervista telefonica. “Cambierà immediatamente il modo di pensare circa i propri abiti”. L’esperimento mentale della stilista non è improbabile quanto sembra.

Con un gruppo di scienziati dell’Università della British Columbia, Aghighi ha inventato un tessuto vivo e biodegradabile chiamato Biogarmentry. Fatto di alghe, il tessuto biofabbricato svolge la fotosintesi, che purifica l’aria intorno a esso.

L’ateneo canadese sostiene che si tratti del primo tessuto vivente e fotosintetizzante. Il materiale è stato trasformato un indumento trasparente e avvolgente. I prototipi di questo tipo sono ancora nelle fasi iniziali di ricerca e design e molto lontani dalla produzione di massa. Tuttavia, questi materiali sfidano l’industria della moda a trovare modi per ridurre le sue colossali emissioni di carbonio attraverso tessuti alternativi.

I fallimenti della moda

Quella della moda è una delle industrie più inquinanti al mondo. È responsabile di più emissioni di carbonio dei voli e delle spedizioni internazionali insieme. Produce circa il 10% di tutti i gas serra emessi globalmente, secondo alcune cifre del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP).

I consumatori statunitensi acquistano più vestiti che mai. Indossano ogni indumento sempre meno volte e inviano quasi il 70% dei vestiti e delle scarpe prodotte ogni anno in discarica, secondo l’Environmental Protection Agency statunitense.

Cambiare la nostra relazione con i vestiti da consumo negligente di fast fashion a connessione empatica è una delle principali motivazioni della Aghighi.

L’innovativo materiale è attualmente solo a una fase di esercizio di stile, ma un giorno gli acquirenti potrebbero dover allargare il tessuto di fronte a una finestra prima di indossarlo. Con la luce solare e uno spruzzo d’acqua, si ravviva la sua alga unicellulare chlamydomonas reinhardtii.

Secondo la stilista, ne passerà di tempo prima che le abitudini di consumo cambino. “Sarà un cambiamento lento” ha spiegato. “Ma spero che sarà a lungo termine”.

Moda carbonio-negativa

Le coltivazioni utilizzate tradizionalmente per creare vestiti, dal cotone alla canapa, assorbono carbonio durante la loro crescita. La stessa cosa accade per un crescente numero di materiali industriali derivati da piante, come il Rayon, che nasce dalla cellulosa di legno convertita chimicamente in cellulosa purificata.

Ma nonostante ciò, la maggior parte dei materiali naturali emettono comunque carbonio, ha spiegato la stilista di New York Charlotte McCurdy, associata alla Rhode Island School of Design.

Considerate ad esempio una singola t-shirt di cotone, la fibra naturale più comunemente usata al mondo. L’impatto stimato di una maglietta di cotone nella sua vita è di 15 chili di diossido di carbonio. La maggior parte è emessa durante la produzione a energia intensiva e durante il processo di tintura.

Negli ultimi anni, le startup ambientali hanno proposto diverse alternative alle fibre naturali, dal legno di faggio trasformato in abbigliamento da spiaggia simile al cashmere alla pelle di cactus. Molti di questi hanno il potenziale per isolare il carbonio, ma nessuno ha dimostrato di poter raggiungere zero emissioni durante il ciclo vitale del capo, specialmente quando il lavaggio e l’asciugatura dei vestiti aumenta significativamente il loro impatto complessivo.

I cosiddetti brand “carbonio-negativi” ricorrono a compensazioni come ad esempio piantare alberi per ridurre le loro emissioni.

Nella sua ricerca McCurdy ha, come Aghighi, considerato diverse possibilità come le alghe e la loro abilità di intrappolare il carbonio. È riuscita a creare un impermeabile carbonio-negativo con un materiale simile alla plastica fatto di alghe marine e altre componenti biodegradabili.

Come il cotone e la canapa, le alghe isolano il carbone mentre crescono, facendo la fotosintesi per catturare il diossido di carbonio dall’aria. Le microalghe possono catturare la luce solare dieci volte tanto come piante terrestri, e crescono velocemente. Alcune specie sono in grado di raddoppiare la propria biomassa nel giro di qualche ora. Possono essere convertite in polveri, prima di essere trasformate in fibra.

Il punto non è creare la plastica dalle alghe” ha spiegato la McCurdy durante una conferenza organizzata dal New York City’s New Museum. “Il punto è isolare il carbonio e importa come lo facciamo e come si modificano quei sistemi”.

Il messaggio

La produzione di un tessuto a base di alga che si ingrandisce in modo sostenibile sarà essenziale se questi capi diventeranno la base della moda carbonio-negativa.

La biotecnologia algale è un grande business. Oltre il mondo della moda, è considerata un’alternativa alle plastiche di poliuretano, la plastica più comune al mondo utilizzata per tutto, dalle borse ai mobili da esterni, ma anche come alternativa per i tessuti.

Stephen Mayfield, professore di scienze biologiche alla UC San Diego, che ha creato le infradito biodegradabili, ha spiegato che, attualmente, i materiali a base di alghe si trovano dove le tecnologie per i veicoli elettrici si trovavano dieci anni fa. “Era chiaro che fossero il futuro dei trasporti ed era solo questione di tempo. Le alghe sono allo stesso punto” ha dichiarato. “La tecnologia è pronta per il grande pubblico”.

Le startup biotecnologiche dagli Stati Uniti alla Cina stanno lavorando alacremente per ampliare questi tessuti, passando dal concept ai processi di produzione di massa, rendendoli in grado di competere con il cotone o coi materiali sintetici.

Per McCurdy, i vestiti a base di alghe possono essere non solo sensati a livello ambientale, ma esteticamente futuristici e arditi.

L’impermeabile prodotto dal progetto “After Ancient Sunlight” di McCurdy era stato pubblicato alla “Nature”, la triennale di Design del 2019 del museo Cooper Hewitt. La stilista era interessata al fatto che la luce solare è responsabile sia dell’energia della fotosintesi prodotta dalle alghe che dell’energia del combustibile fossile, come il petrolio o il carbone, che ha origini nelle piante e nelle alghe preistoriche.

Parte di questo progetto racconta di quando facevamo parte di una società che soddisfaceva tutti i suoi bisogni attraverso l’energia del sole” ha spiegato. “Siamo diventati dipendenti da questa luce solare, antica e super energetica” (La maggior parte delle plastiche sono fatte di combustibili fossili o riserve di carbonio create da “raggi solari antichi”, come ha sottolineato la mostra del Cooper Hewitt). “Possiamo ritornare a costruire la nostra società partendo dal sole. Quindi c’è una sorta di tensione poetica tra la pioggia e la luce solare”.

Nel laboratorio, i tessuti di Aghighi assumono diverse fantasie – forme organiche, punti e fasce – man mano che le alghe crescono. Quando gli abiti saranno pronti per il commercio, la stilista immagina gli acquirenti tendere i loro mantelli biologici, spruzzare d’acqua i loro organismi mentre si preparano per andare a lavoro e incoraggiare le loro alghe a purificare l’aria e a comporre motivi distinti e individuali mentre crescono. “Non sto dicendo che i vestiti dovranno diventare i nostri nuovi animali domestici” ha spiegato. “Anche se, in tutta onestà, segretamente lo spero”.

 

Traduzione di Chiara Romano da cnn.com

Immagine di copertina via cnn.com

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