MusicaIn3D: tre dischi per questi giorni strani

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Tra un Dpcm e l’altro e con la prospettiva di passare più tempo a casa che in giro, il mese di novembre lo passiamo con la musica di Matt Berninger, Ben Harper e The Struts

Nel mese di ottobre sono usciti un sacco di bei dischi e la selezione non è stata semplice.  

Per evitare di infilarmi in un ginepraio ho cercato di dare alla rubrica un taglio particolare parafrasando il vecchio proverbio “meglio soli o male (bene!) accompagnati?” e ascoltando i dischi da solisti di artisti che solitamente amiamo nelle loro performance di gruppo. Ho cercato di capire se questi dischi lasciano spazio alla nostalgia per i lavori di gruppo o sono scelte azzeccate per le peculiarità dei lavori in solitaria. 

Ho selezionato così il primo esperimento da solista di Matt Berninger che mette da parte, per una volta, i suoi The National. Seguito da un Ben Harper mai così solo in vita sua. 

A questi due ho affiancato il nuovo disco dei The Struts i quali invece sono andati in tutt’altra direzione e hanno deciso di aggiungere, al quartetto già rodato, delle collaborazioni eccezionali. 

 

Insomma, questo mese ho deciso di privilegiare le dinamiche sociali che si creano dentro la musica e per la musica a prescindere dallo stile e dal genere, scoprendo che tutti e tre questi dischi (Serpentine Prison, Winter is for Lovers e Strange Days) possono essere un buon antidoto per neutralizzare la paura, lo stress o la noia di questi strani giorni. 

 Matt Berninger – Serpentine Prison 

Matt Berninger è la classica persona che trasforma in ballate letterarie di alto livello anche l’elenco telefonico. Nel suo esordio da solista il frontman dei The National ha voluto fare le cose per bene senza puntare troppo sulla sua notorietà o sui suoi vent’anni a capo della band di Cincinnati.  

Anzi, quasi a farlo apposta, in Serpentine Prison mette da parte le ricche sonorità che solitamente portano in dote i fratelli Dessner e fratelli Devendorf (i suoi storici compagni dei The National). 

In questo disco Berninger scopre il suo lato più fragile e poetico, accompagnato da melodie fatte principalmente da chitarre acustiche, pianoforti, armonica e organo e da parti ritmiche appena accennate. Ogni tanto un violino passa nel disco come quel vento d’autunno che non riesce a sollevare le foglie secche da terra.  

A tratti sembra di essere in un’altra epoca fatta di folk e soul (come in Love So Little) e innesti di country. A tratti tira fuori dei pezzi talmente pop che ci riportano ai giorni nostri (vedi One more second o la title track).  

Berninger non alza mai la voce, non serve. Sussurra al microfono come se stesse confessando i peccati al prete ma senza cadere troppo in quella oscurità di casa The National. 

Certo, è un disco malinconico ma le atmosfere sono così sexy e seducenti da far invidia ad un Elvis Costello in Almost Blue. Non so come l’abbiamo presa i fan dei The National o cosa stia pensando il resto della band a fronte di questo capolavoro, ma fosse per me gli lascerei fare altri tre dischi da solista prima tornare in studio con gli altri. Una pausa dalla famiglia fa sempre bene e si vede. 

 

Ben Harper – Winter is for Lovers

 

 Magari non ci avete fatto troppo caso ma nella ricca discografia di Ben Harper, dal 1992 ad oggi, poche volte il musicista californiano ha registrato un disco completamente da solo: nella sua prima avventura in studio (Pleasure and Pain) lo troviamo a fianco di Tom Freund, negli anni Novanta è quasi sempre con altri musicisti, arriviamo quindi agli anni duemila con una serie di dischi in cui collabora frequentemente con gli The Innocent Criminals in studio e durante i tour. Poi ci saranno le collaborazioni con The Blind Boys of Alabama e con i Relentless7. Vedremo al suo fianco Charlie Musselwhite in ben due dischi e troveremo al suo fianco anche la madre Hellen, nel dolcissimo disco Childhood Home dove Helen Harper, oltre a co-produrre il disco, firmerà la metà delle canzoni contenute nel disco.  

Insomma all’Old Boy Ben Harper non piace fare le cose da solo e forse è proprio la sua continua ricerca di contaminazioni e collaborazioni che lo ha portato a diventare il grande musicista che è. Ma in Winter is for Lovers, invece, ha deciso di fare tutto da solo. Ha inoltre lavorato per sottrazione, riducendo all’osso e all’essenzialità la sua musica e pubblicando un disco interamente strumentale e interamente suonato con una steel guitar. 

Winter is for Lovers è un disco di un’intimità quasi disarmante e a proposito di questa avventura ha detto: 

Questo è il mio primo album interamente strumentale. È semplice, essenziale, ci siamo solo io e la mia chitarra lap steel. Suona quasi spoglio e intimo proprio come speravo, perché è come se suonassi nel tuo soggiorno. Al primo ascolto potrebbe sorprenderti perché è davvero ridotto all’osso, a differenza di molti altri brani e album di oggi. Sono un grande fan del flamenco, della musica classica, di quella hawaiana e della chitarra blues e spero di avere in qualche modo rappresentato tutte queste influenze in Winter Is For Lovers. Ci è voluto un po’ per comporre quest’album, che mi ha posto davanti una sfida completamente nuova. Registrare un intero album solo con una chitarra, senza alcun testo, è stato molto più impegnativo rispetto ai lavori precedenti, ma anche più gratificante. 

Cosa aspettate dunque? Non vi resta che premere play e ospitare Ben Harper e la sua chitarra Monteleone nel vostro soggiorno. 

 

The Struts – Strange Days  

Su altre frequenze, rispetto ai lavori di Berninger e Harper, il nuovo disco dei The Struts. La band inglese, reduce di un tour mondiale nel 2019 e di 2 dischi uno migliore dell’altro (Everybody Wants del 2014 e Young & Dangerous 2018), torna in studio e lo fa in maniera molto particolare. Non vi annoierò sul modus operandi che ha guidato l’idea e la registrazione di questo disco di dieci tracce realizzato in dieci giorni. Preferisco rimandare alle puntate degli album trailer realizzati dalla band che spiegano meglio di chiunque altro il loro lavoro.  

Mi soffermo invece sulle collaborazioni che la band capitanata da Luke Spiller ha messo in campo per questo progetto: Albert Hammond Jr. dei The Strokes; Joe Elliott e Phil Collen dei Deff Leppard; Tom Morello che ancora non è riuscito a concretizzare la reunion dei Rage Against The Machine (almeno per quest’anno) e, scelta per qualcuno discutibile, la title track realizzata con Robbie Williams. Tutte queste collaborazioni sono in realtà il corpo e l’anima di questo disco. 

Con un’attitudine glamour rock i The Struts riescono a chiudere un disco di poco più di 40 minuti di cui almeno la metà passa con pezzi esplosivi e con un piglio pop tanto valido da assomigliare quasi ad un Greatest Hits.

I testi sono diretti ed efficaci soprattutto in canzoni come Strange Days e I Hate How Much I Wont You e le chitarre talvolta brillanti (come in Another Hit Of Showmanship) e talvolta esplosive (come in Wild Child). Nel complesso Strange Days è un disco altamente fruibile che porta la giovane band inglese a giocare nello stesso campo di gioco dei giganti del rock n’roll. 

 

Damiano Sabuzi Giuliani

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