Arrestato l’ex presidente del Kosovo, Hashim Thaçi: confermata l’accusa per crimini di guerra

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Da eroe di guerra a premier e presidente del Kosovo, fino alle dimissioni volontarie: Hashim Thaçi dovrà rispondere dell’accusa per crimini di guerra davanti al tribunale dell’Aia

L’ormai ex presidente del Kosovo, Hashim Thaçi, un eroe di guerra entrato poi in politica, è stato arrestato e trasferito al centro di detenzione del Tribunale del Kosovo all’Aia, nei Paesi Bassi, giovedì 5 novembre. L’accusa è di crimini di guerra.

Thaçi si è dimesso con effetto immediato dopo aver appreso della conferma delle accuse contro di lui. L’ormai ex capo di Stato del Paese balcanico e altri tre ex leader dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (ELK) sono accusati di aver presieduto strutture di detenzione illegali dove gli oppositori del movimento vivevano in condizioni disumane, torturati e a volte anche uccisi.

Thaçi e gli altri hanno pubblicamente e ripetutamente negato i crimini. Ad una conferenza stampa nella capitale, Pristina, l’uomo ha dichiarato che le sue dimissioni si sono rese necessarieper proteggere l’integrità dello Stato“. L’ex presidente è arrivato all’aeroporto militare della città nel pomeriggio e si è recato all’Aia, in Olanda, dove il Tribunale Speciale del Kosovo lo ha preso in custodia. Anche gli altri tre ex membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, Rexhep Selimi, deputato del Parlamento, Kadri Veseli, presidente del Partito Democratico del Kosovo, e il politico Jakup Krasniqi, sono stati trasferiti all’Aia con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nelle giornate di mercoledì 4 e giovedì 5 novembre.

Questo evento potrebbe portare instabilità politica nel Paese balcanico.

Thaçi era diventato il primo premier di questa giovane democrazia nel 2008, mentre dal 2016 aveva ricoperto la carica di presidente. L’uomo, un eroe nazionale supportato dagli Stati Uniti, aveva cominciato la sua carriera politica dopo aver guidato la battaglia dell’Esercito di Liberazione del Kosovo contro le forze dell’ex presidente della Serbia, Slobodan Milosevic.

A luglio 2020, il Pubblico ministero aveva dichiarato che Thaçi era responsabile della morte di quasi 100 civili durante la guerra nel 1998-1999. A quel tempo, l’uomo era il comandante dell’ELK e lottava contro la polizia e l’esercito serbo. Nello stesso mese, l’ex presidente kosovaro si era recato all’Aia per discutere l’imputazione.

Il PM ha reso pubbliche le accuse contro il presidente a causa dei “ripetuti tentativi” di Thaçi e Veseli di ostacolare la corte. Inoltre, il tribunale ha altresì comunicato che i due hanno portato avanti una campagna segreta per “evitare il decorso della giustizia“.

Giovedì 5 novembre l’Unione Europea ha lodato la collaborazione di Thaçi con il Tribunale Speciale del Kosovo. Questo organo è nato nel 2015 per indagare sui crimini di guerra relativi al conflitto del 1998-99 che ha portato all’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, nel 2008. La corte è governata da leggi kosovare, ma lo staff è costituito da giudici e pubblici ministeri internazionali. La creazione del Tribunale era avvenuta sotto pressione degli alleati occidentali, preoccupati che la magistratura del giovane Paese non avesse la capacità di proteggere adeguatamente i testimoni. Molti kosovari lo considerano un insulto.

Le reazioni in Kosovo

Nel Paese balcanico, molti hanno criticato la corte e considerano i comandanti dell’ELK degli eroi. “Mandare i nostri liberatori a processo è una grossa ingiustizia” ha commentato l’economista Fejzullah Ibrahimi.

Amnesty International ha spiegato che le accuse verso Thaçi danno speranza a migliaia di vittime della guerra “che hanno aspettato più di venti anni per scoprire la verità di quegli orrendi crimini“.

A Belgrado, il legislatore Milovan Drecun, presidente del comitato parlamentare serbo per il Kosovo, ha dichiarato che le accuse dimostrano che “scoprire la verità sui crimini di guerra dell’ELK e punire i responsabili è un processo irreversibile“.

La notizia delle accuse a Thaçi e Viseli è risuonata tra le prime pagine dei giornali serbi.

In molti hanno commentato che “finalmente” saranno perseguiti, mentre altre testate li hanno definiti “terroristi” e “malvagi“. L’unico funzionario senior serbo a commentare la notizia è stato il presidente del Parlamento ed ex ministro degli Esteri, Ivica Dacic. “Non dovremmo esultare adesso” ha spiegato, sottolineando che è necessario che la corte faccia il suo lavoro. “Non è il momento di festeggiare l’arresto di Thaçi e altri. Dobbiamo solo lodare il fatto che il tribunale abbia finalmente cominciato a svolgere attivamente il suo compito, ossia giudicare i crimini contro i serbi perpetrati dall’esercito di Liberazione del Kosovo“.

Da parte sua, il presidente albanese, Ilir Meta, ha dichiarato che questa situazione era attesa, nonostante ci fosse la speranza che il Tribunale non confermasse le accuse. “La Corte è stata creata per verificare tali accuse e le sono stati dati milioni di euro per farlo. È noto che tali sospetti, tali incriminazioni, abbiano un retroscena politico, sostenuto dalla Serbia e dai suoi alleati da almeno vent’anni“.

Quando gli è stato chiesto se la situazione influenzerà la struttura dell’ELK, Meta ha dichiarato che l’intero obiettivo è danneggiare non solo la guerra del Kosovo, ma anche l’intera situazione nel Paese. “Si tratta di un tentativo della Serbia di prevenire l’unità dello Stato e un suo ulteriore riconoscimento. L’obiettivo è anche creare divisioni interne e situazioni da sfruttare in momenti di crisi future” ha aggiunto il presidente dell’Albania.

Il conflitto

Più di 13.000 persone morirono durante la guerra del Kosovo. La maggior parte di loro erano albanesi kosovari uccisi dalle forze serbe. Tuttavia, il conteggio include anche circa 2.000 serbi, romeni e albanesi kosovari morti a causa dei bombardamenti della NATO, durati 11 settimane contro la Serbia, o per mano di alcuni combattenti come l’Esercito di Liberazione del Kosovo.

Nonostante il Kosovo si sia guadagnato la sua sovranità nel 1999 e abbia annunciato la sua indipendenza nel 2008, la Serbia si è rifiutata di riconoscere il Paese e i negoziati per la pace sono sfumati. Funzionari europei e statunitensi continuano a mediare il dialogo fra le due parti nella speranza di migliorare le relazioni e assicurare la stabilità della situazione.

 

Traduzione di Chiara Romano da reuters.com, amnesty.org, ft.com, nytimes.com, balkaninsight.com, balkaneu.com

Immagine di copertina via ft.com

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