Diritti umani e COVID-19: intervista a Eleonora Mongelli (FIDU)

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È un anno difficile quello che stiamo vivendo, la pandemia di COVID-19 da mesi è al centro dell’agenda politica e sociale ma la questione “diritti umani” è tuttora uno dei principali problemi che interessano molti Paesi del mondo. Ne abbiamo parlato con Eleonora Mongelli, Vice Presidente e Segretario Generale della Federazione Italiana Diritti Umani

Lo scorso giugno la FIDU ha pubblicato il report “L’impatto del COVID-19 sui diritti umani in alcuni Paesi e territori”, realizzato in collaborazione con altri enti e associazioni che aveva l’obiettivo di far luce su come i regimi autoritari sfruttassero (e sfruttano tuttora) questa crisi sanitaria per perpetrare le proprie azioni. Cosa racconta il dossier?

Si tratta di un dossier nato con l’intenzione di denunciare gli effetti della pandemia di COVID-19 sui diritti umani nei vari Paesi autoritari di cui normalmente ci occupiamo. Già dai primi giorni di diffusione del virus, discutendo con i vari colleghi e partner, ci siamo resi conto di quanto fossero aumentate le segnalazioni di abusi in seguito alle misure anti-covid adottate dai diversi governi ed abbiamo ritenuto necessario raccogliere e analizzare i dati ricevuti per farli conoscere. Così, insieme alla Open Dialogue Foundation e con il contributo di importanti organizzazioni locali, abbiamo pubblicato “The Toll of Covid-19 on Human Rights” nel quale esaminiamo i casi di violazioni e abusi di cui siamo venuti a conoscenza in Paesi autoritari che hanno sfruttato le misure anti-crisi per reprimere il dissenso e rafforzare la propaganda.

diritti umani

Eleonora Mongelli

Gli argomenti trattati includono il rapporto preoccupante dell’OMS con il governo cinese, la mancanza di trasparenza delle politiche adottate, le persecuzioni di giornalisti, blogger e attivisti della società civile, l’effetto della pandemia sulle condizioni di detenzione, l’abuso dell’alta sorveglianza, la disinformazione sistematica e le campagne di propaganda. Quello che si evince da questo report è che i modi di operare dei regimi autoritari hanno inevitabilmente un impatto globale e non possiamo non tenerne conto nelle nostre politiche, anche quando discutiamo di come contenere il virus. Ad esempio, la mancanza di trasparenza, l’insabbiamento di dati reali e gli arresti arbitrari da parte di governi come Cina, Iran o Turchia hanno impedito che ci fosse una risposta rapida ed efficace all’insorgenza del virus, facilitandone la diffusione, e di questo stiamo tutti pagando le conseguenze. 

Lo scorso 2 novembre Vitaly Markiv, sergente della Guardia Nazionale ucraina, è stato assolto in appello dal Tribunale di Milano per non essere autore dell’omicidio nel 2014 del fotoreporter Andrea Rocchelli e dell’interprete Andrej Mironov. Il lavoro alla ricerca della verità sulla loro morte però non si ferma.

No, non deve fermarsi. Andrea Rocchelli e Andrej Mironov sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro di giornalisti nel Donbass, nell’Ucraina orientale, dove è in corso un sanguinoso conflitto armato, di cui si parla troppo poco in Europa e, le volte in cui lo si fa, si cade spesso in discussioni polarizzate e ideologizzate. Il primo grado del processo a Vitaly Markiv si è svolto, purtroppo, in un clima impregnato di pregiudizi ideologici costruiti con la diffusione di false informazioni che hanno influenzato l’andamento del processo. Nei mesi scorsi abbiamo lavorato molto per mettere in luce gli errori grossolani e la pericolosa disinformazione penetrata in aula. Questa sentenza d’appello ristabilisce, quindi, giustizia per Vitaly Markiv, che è stato vittima di un grave errore giudiziario per il quale ci auguriamo che venga risarcito. Continuiamo, tuttavia, a sostenere la necessità di assicurare giustizia e verità sulla tragica morte di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, ribadendo che questo può avvenire solo sulla base della realtà dei fatti e non cedendo ai pregiudizi.

Vicende come quella di Rocchelli o di Giulio Regeni sono spesso avvolte dal mistero, con depistaggi e mancanza di supporto dalle forze dell’ordine. A proposito di Regeni, si sta correndo il rischio che le indagini il prossimo dicembre si chiudano. Qual è la posizione della FIDU a riguardo?

Il deterioramento dello stato dei diritti umani in Egitto ci preoccupa ovviamente molto. La repressione degli attivisti, l’aumento delle detenzioni arbitrarie e delle condanne a morte sono temi che devono essere presi in considerazione nel corso dei nostri incontri bilaterali con quel governo e non possono essere sacrificati per le opportunità commerciali del momento. Quando addirittura le gravissime violazioni ci riguardano da vicino, come per il caso di Giulio Regeni, perseverare nell’esigere verità e giustizia è d’obbligo. Certo, mantenere un dialogo aperto con un governo che non solo non collabora nella ricerca della verità ma che addirittura insabbia le prove, è molto difficile, ma credo che la diplomazia, insieme alla perseveranza, resti la nostra unica arma a disposizione, anche al fine di tutelare gli altri concittadini che tuttora lavorano e vivono in Egitto. 

Russia e Cina sono entrate a far parte del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, una decisione che ha lasciato interdette molte associazioni che si battono per la difesa dei diritti delle persone, soprattutto perché Mosca e Pechino hanno dimostrato, nel corso degli anni, di non promuoverli e proteggerli.

Questo è un tema su cui non si presta ancora attenzione a livello globale, ma che è di estrema importanza nello scacchiere geopolitico in relazione ai diritti umani. Il lavoro di denuncia alle Nazioni Unite è tra le nostre attività fondamentali e da un po’ di tempo siamo allarmati nel vedere come questa importantissima istituzione per la protezione dei diritti umani sia indebolita nella sua efficacia proprio per gli ostacoli posti da un blocco di Stati autoritari, guidati dalla Cina, che guadagna sempre più potere. È sempre più frequente assistere, nel corso delle consultazioni con le varie ONG in sede ONU, ad aggressioni verbali da parte dei rappresentanti di questi Stati nei confronti di chi porta l’evidenza di gravi abusi. Questa è una situazione molto grave perché non solo quei regimi vi partecipano senza aver dimostrato di aver rinunciato alle loro politiche criminali, anzi, negano l’evidenza, ma occupano sempre più posizioni chiave. Ultima notizia, infatti, è proprio l’elezione della Cina, della Russia, di Cuba, del Pakistan e di altri Stati famosi per le loro politiche repressive, in quell’importante organismo. Come possono regimi che sistematicamente violano i diritti umani giudicare eventuali violazioni? Semplicemente non possono. Allora, prima che sia troppo tardi, è diventato necessario rivedere i criteri con cui si valutano i candidati a membri del Consiglio, perché trovarsi uno Stato come la Cina, che – fra altre gravissime violazioni – tiene internati oltre 1 milione di uiguri, a guidare il mondo in materia di diritti umani davvero non è accettabile. 

Intervista a cura di Graziano Rossi

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