L’influenza di William S. Burroughs nella musica Rock
“William S. Burroughs e il culto del rock’n’roll” di Casey Rae è un libro indispensabile per gli amanti di questo genere musicale. Un volume che non può mancare nella vostra collezione di dischi
Se cercate un libro che sviscera l’influenza che la beat generation ha avuto nel rock’n’roll o più in generale nella pop music è il libro che fa per voi. Casey Rae, con una narrazione convincente e quasi maniacale, cerca tutti i link diretti e indiretti di quegli artisti che sono stati influenzati da William S. Burroughs.
Ed è così che “William S. Burroughs e il culto del rock’n’roll“, pubblicato da Jimenez Edizioni con la traduzione di Alessandro Besselva Averame, ci porta in un breve viaggio (breve quanto una vita intera) alla scoperta di miti e leggende che hanno forgiato l’estro artistico di artisti diventati poi vere e proprie icone pop.
Da David Bowie a Lou Reed, passando per Patti Smith e Kurt Cobain: stando a tutto il materiale raccolto da Rae, molte figure del mondo del rock hanno avuto a che fare con Burroughs e con le sue opere.
Anche Paul McCartney, Bob Dylan, Frank Zappa o Laurie Anderson hanno trovato elementi per forgiare la loro arte guardando tra le pieghe delle sue abitudini decisamente antisistema e poco convenzionali. O gruppi come Sonic Youth e Dead Kennedys.
Non è un caso, ad esempio, che uno dei migliori dischi rock di sempre – parlo di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles – ritragga Burroughs accanto a Karl Marx, Carl Jung e Oscar Wilde.
In Italia purtroppo Burroughs è famoso soprattutto per il Pasto Nudo e tra gli scrittori Beat è sempre stato un passo dietro a Jack Kerouac, Lucien Carr, Allen Ginsberg o Charles Bukowski, che addirittura rifiutò sempre di essere etichettato come beatnik.
Fate una prova: entrate in una qualsiasi catena di librerie commerciali, da nord a sud della penisola, troverete sicuramente Sulla Strada di Kerouac e anche la raccolta di racconti di Bukowski Musica per organi caldi, ma sarà difficile – se non impossibile – trovare almeno una copia di La scimmia sulla schiena, il libro di William S. Burroughs in cui parla principalmente di morfina, eroina e dei loro effetti.
Eppure, il protagonista di questa storia ha scritto quasi una ventina di romanzi, collaborato con registi, musicisti e performer, vissuto una vita rocambolesca tra la dipendenza da droghe e la continua sperimentazione legate all’alterazione della coscienza.
Nei suoi 83 anni di vita ne ha viste e combinate di tutti i colori, ma soprattutto si è trovato nel bel mezzo del fermento musicale newyorkese quando il vento del rock’n’roll stava cambiando.
William S. Burroughs ha gettato le basi per la scrittura di centinaia se non migliaia di canzoni in tutte le lingue grazie alla tecnica del cut-up in un mondo o, meglio, in un’epoca in cui i computer e internet erano ancora un miraggio. Quei frammenti di suoni, immagini e parole ricombinati e trasformati che oggi ci bombardano quotidianamente all’epoca erano avanguardia pura. E questo stile, nel bene o nel male, ha influenzato eserciti di musicisti nella scrittura dei testi e nello stile musicale.
Il nostro eroe tossico è uno dei pochi esseri umani ad esser riuscito, con il suo stile di vita e la sua scrittura, ad influenzare i generi musicali più disparati, dal punk, dall’hip hop, dalla musica industriale a quella elettronica fino all’heavy metal. Genere quest’ultimo che deve il nome proprio a Burroughs o quanto meno fu lui a sdoganare questo strano blend di parole. Nel suo romanzo La macchina morbida del 1961, infatti, compiano proprio queste parole insieme in riferimento a uno dei personaggi: “Uranian Willy, the heavy metal kid”. Sempre per rimanere su questo libro, il suo titolo ha dato invece il nome al gruppo musicale progressive inglese che, nel 1966, scelse il nome Soft Machine ispirato dal libro.
Anche i Joy Division trovano l’ispirazione nella malfamata terra di nessuno citata nel Pasto Nudo per la canzone She lost Control.
Persino i Duran Duran devono molto a questo scrittore maledetto: senza il suo romanzo del 1971 probabilmente non avrebbero mai ottenuto il loro singolo di maggior successo che dal libro prende il titolo e l’ispirazione per la storia. Wild Boys del 1984 è nata in realtà grazie all’idea del regista Russell Mulcahy, che voleva realizzare un lungometraggio basato proprio sul romanzo Ragazzi selvaggi.
Insomma, troviamo tracce di William S. Burroughs nella musica rock degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e persino degli anni Novanta di Kurt Cobain: fino alla fine dei suoi giorni ha avuto a che fare con la musica rock.
Se andate a vedere, ad esempio, il video della canzone Last Night on Earth, estratta come terzo singolo dall’album Pop degli U2, nelle scene finali troverete proprio Burroughs che recita in quel video pochi giorni prima di morire. O, per spingerci fino ai giorni nostri, troviamo tracce dello stile burrougsiano anche in Blackstar, l’ultimo di disco di Bowie del 2016.
Quindi è un bene prezioso poter avere tra le mani questo manoscritto tradotto in italiano da Alessandro Besselva Averame, non solo per l’impegno nell’autore nel trovare dettagli e particolari interessanti che legano la musica a William S. Burroughs, ma per l’affresco complessivo che Rea riesce a dipingere degli ultimi 50 anni dove narrativa, poesia, musica e pittura si intrecciano in una spirale di eventi e storie mitiche, surreali e a volte grottesche.
William S. Burroughs e il culto del rock’n’roll
Casey Rae
Trad. Alessandro Besselva Averame
Jimenez Edizioni
Pagine: 368
Prezzo: € 19