Bonfiglio Liborio: la verità del cocciamatte
Come nella migliore tradizione, il cocciamatte Bonfiglio Liborio è in grado di restituirci verità che non possiamo negare. E forse il matto non è lui ma tutti gli altri che a quelle verità, semplici e inequivocabili, non sono riusciti ad arrivare
Bonfiglio Liborio. Quanti di noi si sono sentiti almeno una volta Bonfiglio Liborio?
Non dico il cocciamatte che diventa con gli anni. Dico il povero cristo che è, che è sempre stato, di quelli che la vita la attraversano al meglio delle proprie possibilità, senza poterle mai imprimere veramente una direzione e venendone, invece, un po’ sballottati, di qua e di là.
La storia di Bonfiglio Liborio ce la racconta lui direttamente in un lungo monologo. Ha 86 anni quando decide di cimentarsi nel racconto della sua vita, di quello che ha visto, di quello che ha imparato, che
per imparare a leggere ci vuole tutta la vita e quando te lo sei imparato è troppo tardi e mica si può fare dietro fronte.
E così con la sua bic nera comincia a scrivere appoggiato sul tavolo della cucina. E io l’ho immaginato come tante volte ho visto mia nonna scrivere, terza elementare e una mano tremolante a disegnare parole.
Bonfiglio Liborio in fondo scrive per vivere, per lasciare una traccia in qualche modo:
per questo scrivo, scrivo e riscrivo così la morte aspetta, pure se certe volte mi pare di vederla.
Si dipana così la storia di una vita intera in un racconto dai periodi lunghissimi, di quelli da leggere a voce alta solo dopo aver preso un’adeguata quantità d’aria, strutture sintattiche tipiche dell’oralità, e un lessico con forti contaminazioni regionali. Pagine da sottolineare a più riprese cercando di trattenere le semplici verità che Liborio condivide con noi a modo suo, in un linguaggio sgangherato ma efficacissimo.
Una famiglia modesta. Il nonno e la madre moriranno presto e si ritroverà da solo ad affrontare la vita. Il padre non l’ha mai conosciuto: è partito per l’estero prima che lui nascesse:
se n’è andato alla Merica, all’Argentina o allo Brasile, chi se lo ricorda.
Di lui sa solo che ha gli stessi occhi. E questa mancanza lo perseguiterà per tutta la vita.
Bonfiglio Liborio è un cocciamatte. Ma non lo è sempre stato. Da ragazzino gli piaceva studiare. Il suo maestro Cianfarra Romeo, dal quale ha ereditato l’amore per il libro Cuore, avrebbe voluto che lui continuasse a studiare. Ma la vita aveva deciso diversamente.
E allora cominciano i primi lavori. Prima dal funaro, che grida e dà scappellotti malevoli ai giovani lavoratori, e poi dal barbiere. Poi il servizio militare.
Tra una disavventura e l’altra assistiamo attraverso i suoi occhi poco più che bambini all’ascesa del fascismo e allo scoppio e poi alla fine della guerra, con pagine dolorose in cui donne uomini ragazzi e bambini cadono sotto colpi di armi da fuoco.
Ho visto cose che non si scordano manco a spararsi un colpo in testa, certe scenate te le porti appresso pure da morto, […] mentre io correvo e guardavo e vedevo e non sapevo se le cose mi si confondevano agli occhi per la polvere che si alzava dalle macerie o per il fumo degli incendiamenti o per la nebbia o perché piangevo, che neanche quando ci ho avuto i miei morti ho pianto tanto.
Arriva il boom economico. Che per Liborio significa lavoro in fabbrica e sfruttamento. Borletti, Santa Rosa e poi Ducati. Qui, esasperato per un incidente sul lavoro cui aveva assistito, vorrebbe solo sapere dove vanno a finire le migliaia di pezzi tutti uguali che produce in estenuanti turni di lavoro. Finisce per mandare all’ospedale il supervisore che lo vessava e finisce lui in manicomio. Manicomio che in fondo, a parte i casi più estremi, è un posto di poveri cristi come lui con cui la vita è stata un po’ troppo brusca.
Dopo una lunga permanenza lì, alla fine torna a casa, al suo paese dove non sa per certo nemmeno se ha ancora una casa. Al paese dove sarà, ormai per tutti, il cocciamatte, quello di cui burlarsi quando le parole gli scappano, quello che, nei giorni ventosi che spazzano le strade con forza, esce di casa con le pietre nelle tasche del cappotto liso per non volare via.
Eppure, come nella migliore tradizione, il cocciamatte – pur con le sue stranezze, pur con i rumori nella testa prima o con le parole balbettate poi, pur nel suo linguaggio sgangherato – è in grado di restituirci verità che non possiamo negare. E forse il matto non è lui ma tutti gli altri che a quelle verità, semplici e inequivocabili, non sono riusciti ad arrivare.