Aborto: contro le campagne che ci riportano a un lontano passato, non così lontano

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L’Associazione ultracattolica ProVita torna sotto i riflettori, questa volta con manifesti apparsi in molte città italiane con uno slogan contro la pillola abortiva RU480. Immediate le reazioni delle associazioni che difendono i diritti delle donne

A Milano, qualche giorno fa è apparso un manifesto che ha subito scatenato una valanga di critiche e discussioni: “Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola RU486. Mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo”.

Il tutto contornato dall’immagine di una donna a terra con in mano una mela, avvelenata come Biancaneve e l’hashtag #dallapartedelledonne. L’associazione ultracattolica ProVita, già nota per altri manifesti che ledono la libertà della donna, è di nuovo finita così al centro di una nuova bufera.

Immediate le reazioni di tutte le associazioni a favore dei diritti delle donne che sono intervenute chiedendone la rimozione. L’Associazione Non una di meno ha lanciato subito una campagna su Twitter di rimozione rivolta a tutte le città italiane in cui sono apparsi i cartelloni; Casa di donne fa lo stesso, a Milano.

A Genova nasce una protesta nella protesta: «Questi cartelloni ledono il diritto di autodeterminazione delle donne, ledono il diritto all’aborto – sostiene laria Gibelli, avvocata ed esponente del Coordinamento Liguria Rainbow – fuorviano le persone dal corretto utilizzo della pillola abortiva approvata dall’Oms, paragonandola a veleno, violando la legge n. 194/78 che ha consentito l’interruzione di gravidanza in modo legale».

Il capoluogo ligure, attraverso una nota inviata dal comune, sostiene però che rimuoverli sia censura. Contro il comune anche l’ordine delle ostetriche di Genova e La Spezia. A Bergamo, Torino ed altre città italiane sono stati rimossi, dove ancora non è successo sono stati corretti con scritte come “Sul mio corpo decido io”.

Un argomento, quello sull’aborto, che anche nel 2020 fa ancora molto discutere. Sono passati più di quarant’anni dall’approvazione della legge 194, che sanciva legale l’interruzione volontaria di gravidanza. Un passo avanti enorme in una situazione precedentemente dominata da pericolose pratiche abortive clandestine, in cui la morte della donna era un rischio considerevole e probabile.

Fino al 1978 il Codice Rocco stabiliva che l’aborto fosse un reato. Molti furono i fattori che influenzarono l’approvazione della legge. A livello internazionale la svolta arrivò dalla sentenza della Corte Suprema statunitense nel caso “Roe vs Wade”, che collocò il diritto all’aborto all’interno di quello della privacy e negò lo statuto di persona al feto.

In Italia le discussioni risalgono all’inizio degli anni Sessanta, quando si cominciò a parlare di depenalizzazione e legalizzazione. Il primo disegno di legge fu presentato nel 1973. Quattro anni dopo venne approvata alla Camera una prima proposta di legge che sceglieva la strada della regolamentazione come compromesso fra il problema della pratica clandestina e la totale liberalizzazione voluta dai movimenti femministi che dal punto di vista politico furono la pressione più forte.

L’evento promotore che portò alla legge arrivò con il disastro ambientale di Seveso. All’industria chimica Icmesa ci fu una fuoriuscita di una nube di diossina che investì diverse aree. La diossina è una nube tossica per gli animali e per l’uomo ed in grado di provocare effetti di alterazione nei feti. Il Ministero della Giustizia autorizzò le interruzioni di gravidanza anche senza una legge.

Si arrivò così al 22 maggio 1978, quando la Legge 194, che portava la firma del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, fu approvata e da allora ha resistito anche ai tentativi di abrogazione.

Una svolta epocale arriva invece nell’agosto di quest’anno: la pillola abortiva RU486 potrà essere utilizzata senza ricovero, in Day Hospital nelle strutture pubbliche o private convenzionate. Per il ministro della Salute, Roberto Speranza è un traguardo senza precedenti.

La pillola abortiva riguarda quindi l’aborto farmacologico, che può essere fatto entro la nona settimana. La situazione attuale di emergenza sanitaria da COVID-19 ha indotto Speranza a rivolgere all’OMS un parere sulla questione, affinché valutasse la possibilità di prevedere un semplice Day Hospital, dato che un ricovero prolungato avrebbe potuto rappresentare un ulteriore rischio per la salute delle donne.

Si tratta quindi di una svolta storica. Proprio per questo motivo la rivolta contro i cartelloni anti-aborto e contro ProVita si è fatta così forte.

Il vero veleno è l’obiezione. Sul mio corpo decido io”, recita uno striscione di Non Una Di Meno apparso sopra il manifesto in corso Saffi a Genova. Le attiviste si sono fatte portavoce dello sdegno espresso da numerose associazioni per i diritti delle donne.

Donne come Valentina, giovane trentenne incinta di due gemelli lasciata morire per sepsi perché i medici erano tutti obiettori di coscienza. Con un gemello morto in pancia si sono rifiutati di praticare un aborto salva vita e sono morti in tre, lei e i suoi gemelli.

Ma un altro aspetto molto importante da non sottovalutare sono le donne vittime di violenze.

È da poco passata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, di cui noi di Ghigliottina.info abbiamo parlato qui, e manifesti del genere fanno riflettere anche su quest’altro tasto dolente della nostra società.

L’avvocata Cathy La Torre ha postato su Instagram la foto del manifesto ProVita con un commento su cui soffermarsi. Chiede se effettivamente la gente sappia cosa accadrebbe se si desse ascolto agli antiabortisti e si tornasse indietro e racconta di un evento accaduto in Argentina, dove l’aborto è illegale. Una bambina di appena 12 anni è stata stuprata ed è rimasta incinta. L’aborto le è stato negato. Lei non voleva il frutto di quella violenza, non voleva essere condannata ad avere per il resto della sua vita davanti agli occhi il prodotto di quella violenza.

https://www.instagram.com/p/CInwWLln1DK/

Ma a decidere per lei è stato qualcun altro: prima chi l’ha stuprata, poi chi, per le sue convinzioni, ha deciso che abortire è peccato. E così ha condannato per sempre una bambina, già condannata dalla violenza, a non chiudere mai i conti con quanto le è accaduto. Ed è solo uno di tanti episodi come questo.

Dare voci ad associazioni che additano come veleno un farmaco che in alcuni casi può invece essere necessario, fa solamente passare un messaggio sbagliato.

Dovremmo istruire ulteriormente la nostra società su come prevenire gravidanze non volute, su come si possa salvare la vita nel caso di una gravidanza a rischio, su come evitare che aumentino i casi di neonati abbandonati, far sapere specialmente alle giovani che, con sostegno medico, c’è una soluzione.

Perché permettere l’utilizzo di questa pillola non è essere superficiali e far credere alle adolescenti che sia come mangiare una caramella, c’è sempre un iter medico di svolgere.

Ma essere arrivati a questa svolta è il risultato di decenni di lotte per dei diritti che sono stati per troppo tempo negati e che per certi aspetti ancora devono essere raggiunti del tutto.

Giada Giancaspro

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