Pietra nera. Il viaggio di un giovane eroe in un futuro utopico
Venti anni dopo le vicende di Nina dei lupi, il giovane Alessio affronta un viaggio in un mondo in cui possiamo riconoscere i resti del nostro
Pietra nera è il secondo volume della trilogia di Alessandro Bertante: segue Nina dei lupi, da noi recensito lo scorso marzo, ma si legge benissimo anche da solo (il terzo capitolo non è ancora stato pubblicato).
Si apre a Piedimulo, un piccolo borgo tra le montagne. Analogamente al primo romanzo, è una mattina e nel cielo c’è un presagio malevolo. Alessio, il Figlio dei Lupi, è deciso a partire. Nina, sua madre, gli ha affidato una missione che il lettore non conoscerà fino alla fine del romanzo. Ma non importa perché, come nella migliore tradizione narrativa, non è tanto rilevante la meta quanto il viaggio che Alessio dovrà affrontare per raggiungerla.
Siamo in un futuro utopico come lo ha definito il suo autore, un futuro che segue la fine del mondo che conosciamo ma che non vuole essere distopico: l’idea è che sia possibile ricostruirlo migliore.
La Sciagura che ha distrutto il mondo circa 25 anni prima include anche una pandemia, sì. Ma ricordiamoci che Nina dei Lupi è stato pubblicato nel 2011 e Pietra nera nel 2019. E di fatto epidemie violentissime nella storia del mondo ci sono sempre state, la peste una su tutte ma non fu certamente l’unica.
Alessio varca perciò la soglia che divide Piedimulo dal resto del mondo e affronta il suo viaggio in un mondo pressoché deserto.
Scendendo dalle montagne e costeggiando il fiume, attraversa poi una pianura immensa dove l’acqua ha ripreso vantaggio sulla terra. Trova la grande città deserta, edifici abbandonati e ricoperti di vegetazione, resti di automobili e scheletri. Una comunità è sopravvissuta barricandosi all’interno del castello sforzesco e pian piano riorganizzandosi. Percorre poi la sua strada fino a Pietranera, un piccolo borgo sulla strada verso il mare. L’autore non dà indicazioni geografiche ma nella descrizione dei luoghi il lettore trova il riverbero di un mondo che è stato e ne riconosce i profili dietro edera e rovi che hanno invaso tutto.
La natura ha ripreso il suo spazio e gli insediamenti umani si riconoscono facilmente laddove questa è tenuta a bada in un continuo e latente conflitto uomo-natura.
Gli esseri umani si sono organizzati a loro modo per sopravvivere. Come a Piedimulo, anche altrove si possono incontrare piccoli agglomerati di persone, piccole comunità contadine, piccoli paesi organizzati con una struttura e un’educazione scolastica, si vive prevalentemente della terra. E poi ci sono i predoni che uccidono e arraffano.
Ritroviamo molti elementi del primo romanzo. Il viaggio (che per Nina, la protagonista del primo capitolo, non era stato un viaggio in termini di movimento ma un percorso fatto di prove e soglie e crescita) e le prove da superare. L’elemento onirico e la magia con il richiamo al folklore e ai miti.
Il mito che è in qualche modo una sorta di linguaggio antico che, nella sua rappresentazione di verità ancestrali, attraversa i secoli e, ancorato alla natura più di quanto l’umanità che conosciamo abbia fatto, sopravvive allo sfacelo del mondo e anche alla religione che se ne era appropriata – religione che già nel primo romanzo aveva perso la battaglia contro la Sciagura (il ricordo del suicidio del prete del paese richiamato nel primo libro ne è l’immagine che ci rimane) – e ritorna più forte di prima.
Inevitabile all’interno del romanzo una critica alla nostra società che ha per decenni consumato il mondo senza considerare le conseguenze e il prezzo inevitabilmente da pagare, prima o poi.