Un adolescente forte e coraggioso: “Di niente e di nessuno” di Dario Levantino
Dario Levantino ci consegna un romanzo breve e un protagonista adolescente forte e coraggioso anche quando ha paura, arrabbiato ma anche fragile, innamorato di sua madre e di Anna
Vivo a Roma da tutta la vita. O quasi. Mi sento romana fino al midollo. Faccio questa premessa perché, per chi vive a Roma, l’appartenenza alla città da sola è un’informazione poco rilevante. Roma di dove? Questa diventa la domanda chiave. E la risposta vuole l’indicazione del quartiere in cui si vive. Ogni quartiere infatti racchiude in sé un mondo, una specie di città nella città, gli appartenenti si riconoscono e condividono tutta una serie di riferimenti.
Non solo Roma ha questa caratteristica. Probabilmente molte delle grandi città. Palermo, per esempio, città in cui Dario Levantino, scrittore nato proprio nella città siciliana, ambienta il suo romanzo d’esordio ‘Di niente e di nessuno’, è un po’ così. Rosario, il protagonista del romanzo, è di Palermo sì, ma di Brancaccio. E questo si porta dietro tutta una serie di connotazioni del personaggio.
Diverso sarebbe se Rosario vivesse in centro, magari figlio di buona famiglia. Non è questo il caso.
Brancaccio è periferia, “un aborto urbano” come lo definisce il ragazzo, uno di quei quartieri che si riconosce per la puzza di cucinato e di smog.
E per l’aria invadente di mare che arriva dal Tirreno lì a un tiro di schioppo. Un quartiere un po’ grigio, dove conosci quasi tutti, e quasi tutti conoscono te, anche chi eviteresti ben volentieri. Dove i ragazzetti origliano da lontano i combattimenti clandestini dei cani. Dove i volti parlano senza parlare.
“…le donne. […] vedendone una […] sarei stato in grado di capire se era di periferia o meno. Non era solo una questione di benessere, di abito, di accento fine: era qualcosa percepibile dagli occhi. In quello di una donna del centro si leggeva l’affrancamento, in quello di una donna di periferia, invece, si scorgeva una paura antica, un giogo esistenziale”.
Come la madre di Rosario, che pensa alla casa, al marito, al figlio, che non ha ambizioni, qualche lieve afflato viene prontamente frustrato come quando vorrebbe mettersi in società con un’amica ma i soldi di famiglia devono andare all’acquisto della nuova smart del marito.
Padre assente, non ha tempo per il figlio. Completamente dedicato alla sua attività imprenditoriale di vendita di integratori per gli sportivi, non ha vergogna o remore a svelare al figlio che, oltre agli integratori, agli sportivi vende anche sostanze illegali. Egoista, violento e fedifrago.
Rosario è un adolescente.
Il padre avrebbe voluto chiamarlo Jonathan ma quella volta vinse la mamma attaccata al ricordo del papà scomparso prematuramente durante il terremoto del Belice quando lei ancora piccola si era salvata solo per puro caso.
Ha il nome del nonno in una città in cui ‘di chi sei figlio’ è domanda gettonata.
“Dire, però, che si tratti solo di una questione di rispetto sarebbe riduttivo. C’è dell’altro. E’ come se, assieme al nome, al nascituro si consegnasse in eredità anche il destino del parente; come se col nome si facesse rivivere quella persona una seconda volta.”
E sembrerebbe che Rosario abbia ereditato dal nonno il talento da portiere.
Rosario affronta nel corso di questo breve e godibilissimo romanzo tutta una serie di prove – allenamenti, partite, invidie, pugni, amore e dolore – che lo porteranno a crescere e a decidere di prendersi cura di chi ha bisogno.
Ma Rosario non ha paura di niente e di nessuno. Come gli eroi antichi dalle cui storie è affascinato. Con loro condivide quello slancio di forza, impavido e talvolta rabbioso.
“Erano così gli antichi, non si spaventavano di niente e di nessuno: quando c’era uno che sgarrava, lo ammazzavano come un cane.”
E questo breve romanzo è come il suo protagonista: un adolescente che sa che deve dimostrarsi forte e coraggioso anche quando ha paura, un adolescente un po’ arrabbiato ma anche fragile, innamorato di sua madre e di Anna e che non teme nulla pur di proteggerle.