Tunisia, nuove proteste per una Primavera che sembra non fiorire mai

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Il popolo tunisino scende di nuovo in piazza a 10 anni dalla Rivoluzione dei Gelsomini. Ma le speranze non si sono concretizzate e la popolazione torna a chiedere stabilità politica e ripresa economica

Sono giovani e giovanissimi. Sono ragazzini. Del malcontento della Tunisia, anche stavolta come dieci anni fa, si fa portavoce la gioventù del Paese: sempre prima a scendere nelle strade e nelle piazze di Tunisi e di altri importanti centri più nell’entroterra come Kef, Beja e Kasserine o Kef, Susa, Monastir e Biserta sulle coste nord e sud orientali.

Intere notti di disordini, nonostante il coprifuoco anti-COVID fissato a partire dalle 16, che hanno portato a barricate, pile di pneumatici incendiate, negozi infranti e saccheggiati. Disordini che sono costati oltre 630 arresti. I protagonisti della rivolta sono davvero giovanissimi: vanno dai 12 ai 15 anni, cui si sono poi aggiunti giovani lavoratori e studenti non più che venticinquenni.

tunisia

La Direzione Generale della Sicurezza Nazionale, tramite il proprio portavoce Walid Hakima li ha brevemente definiti vandali e ladri “senza nessun intento di manifestazione o rimostranza alcuna” mentre il Primo ministro Hichem Mechichi, in carica dallo scorso Luglio, è stato di più ampie vedute: “La crisi è reale –  ha detto – ma non possiamo accettare questo caos e questa violenza”.

Amnesty International è intervenuta chiedendo di limitare gli arresti e, soprattutto, evitare i fermi arbitrari. Del resto, in un clima di malcontento e tensione che va avanti da mesi, la classica goccia che fa traboccare il vaso è stata l’intervento violento della polizia verso un pastore le cui pecore avevano sconfinato in un territorio governativo: il tutto aveva richiamato l’attenzione della ONG che, adesso, richiama le parti alla moderazione.

Abbiamo detto di un malcontento che dura da mesi. La popolazione soffre una difficile situazione economica, non trova nel governo una soluzione di stabilità e, soprattutto, ha visto le alte aspettative dalla Rivoluzione dei Gelsomini venire in gran parte deluse. Proprio 10 anni fa, infatti – ed esattamente il 14 Gennaio – in Tunisia prendeva il via la Primavera Araba: il Presidente Ben Ali, in carica da 23 anni a seguito di un colpo di stato, venne spinto alla fuga dall’insorgere di un Paese stanco di povertà, corruzione e diritti umani ai minimi termini.

La Tunisia conobbe, poi, le prime elezioni libere e, nel 2014, la prima Costituzione post rivoluzione. I tunisini non vivono più in un clima dittatoriale e censorio come durante la presidenza di Ali eppure non si è riusciti a smantellare una tradizione clientelare nella gestione della cosa pubblica: corruzione e clientelarismo non sono solo fantasmi e le condizioni economiche, in questo modo, faticano.

I redditi nell’ultimo decennio si sono ridotti di un quinto, la disoccupazione media è stabilmente oltre il 15%, più forte nelle aree rurali ed aumenta fino al 36% tra i giovani. I tunisini sono tornati ad emigrare. La COVID-19, neanche a dirlo, ha affossato commercio e turismo, le principali fonti di ricavo nazionali: analisi governative prevedono un deficit del 7% ed una contrazione del 6,5% – che già nel 2020 era stata del 9%.

Respirata l’esasperazione, dieci giorni fa Mechichi ha cercato di placare gli animi con un rimpasto governativo dove sono stati cambiati ben 12 ministeri tra cui quello dell’Interno, di Giustizia e della Salute. Ma l’iniziativa è stata riconosciuta per quello che è: fumo negli occhi. In una nazione dove da febbraio 2020 ad oggi si sono contati 4 Ministri della Salute e dove in 10 anni si sono avvicendati già dieci esecutivi, un giro di vite delle nomine non è una soluzione e non può generare alcun clima di fiducia.

Sara Gullace

Immagine di copertina via twitter.com/osmed_it

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