MusicaIn3D: a febbraio è tempo di Linda Collins, Ani DiFranco e Dust & The Dukes
Per cominciare l’anno con il piede giusto, spazio alla musica dei Linda Collins, Ani DiFranco e Dust & The Dukes
Le prime settimane di questo nuovo anno sembrano simili a come abbiamo concluso il 2020. La crisi pandemica e quella di governo non lasciano ben sperare in un anno che ci faccia rinascere e lasciare alle spalle tutte le preoccupazioni e le paure.
Per fortuna, sebbene la musica dal vivo non sembri neanche un puntino all’orizzonte, si continua a produrre musica in studio e – devo ammettere -, dopo un calo di buone produzioni tra novembre e dicembre, gennaio ha dato belle soddisfazioni. Tanto che non è stato facile selezionare i dischi per questa rubrica. Ma ascoltando e riascoltando questi 127 minuti di musica complessivi così come li propongo sono sempre più convinto della mia scelta.
Si parte con il disco d’esordio dei Linda Collins, un lavoro elaborato che strizza l’occhio a mostri sacri della musica alt rock inglese e americana degli anni Ottanta e Novanta pur mantenendo una certa indipendenza di visione e carattere. Poi spazio all’amore rivoluzionario di Ani DiFranco che con questo disco arriva a quota 22 della sua preziosa discografia dove la coerenza, l’integrità morale e soprattutto la continua voglia di lottare per i diritti sono alla base del suo lavoro da sempre. Si chiude con il desert rock del trio fiorentino Dust & The Dukes che ci dimostrano come su questo genere, in Italia, non siamo secondi a nessuno.
Linda Collins – Tied
L’esordio discografico del progetto collettivo Linda Collins è un caleidoscopio di suoni e influenze che al primo ascolto riportano ad altri tempi. Quelli di Bristol e Londra di fine anni Ottanta quando gruppi come Massive Attack, Portishead e Morcheeba sperimentavano sonorità che poi sarebbero state il germe del Trip Hop degli anni Novanta. Oppure quelli di gruppi come Tortoise o Don Caballero che più o meno nello stesso periodo davano origine a quello che poi venne chiamato post rock. C’è un po’ di noise ma da associare più ad Experimental Jet Set, Trash & No Star dei Sonic Youth (correva l’anno 1994. Sic!).
Tuttavia, le chitarre di Alberto Garbero, il basso di Vincenzo Morreale, i suoni sintetici di Massimiliano Esposito e la batteria di Pietro Merlo non hanno solo un vezzo da retromania. Il sound complessivo dei Linda Collins è concreto e reale e, per come sta tirando il vento della musica italiana mainstream, coraggiosamente innovativo.
L’umore di Tied è sicuramente malinconico ma di quella malinconia che non scade nell’avvilimento e nel pessimismo, spinge invece l’ascoltatore a trovare tutta la bellezza nelle sfumature delle singole canzoni in un flusso coerente come in un moto uniformemente accelerato che arriva fino all’ultima traccia. Come fissare una macchia di umidità sul soffitto e vedere che pian piano si assorbe fino a scomparire.
Ani DiFranco – Revolutionary Love
Ventiduesimo album studio per la prolifica e anticonformista cantautrice di Buffalo, New York. Da quel 1990 con l’esordio dell’album omonimo il mondo (musicale e non) è cambiato ma intatta è rimasta la grinta di Ani DiFranco che l’ha resa un’icona femminista e un’attivista per i diritti civili.
Revolutionary Love è ispirato da “See No Stranger. A Memoir and Manifesto of Revolutionary Love” scritto da Valarie Kaur e per usare le parole della DiFranco “il disco parla di portare l’energia dell’amore e della compassione al centro dei nostri rapporti sociali, di farne la forza motrice. Ha a che fare con il trovarlo in noi e il rimanere curiosi, mostrare curiosità per i propri avversari invece di annientarli”.
Dal punto di vista strumentale troviamo la certezza della chitarra che caratterizza i lavori della cantautrice americana tra arpeggi delicati e assoli che impreziosiscono la base ritmica. Non mancano gli arricchimenti dati dai fraseggi di archi e fiati e gli arrangiamenti di basso, organo, batteria e percussioni. E, per il cantato, il tradizionale registro che spazia dal soul al r’n’b al folk che ha reso celebre la DiFranco.
Un album politico con un carattere forte e coraggioso, ma allo stesso tempo melodico e delicato. Un lavoro prezioso per iniziare questo 2021.
Efficace e adamantino.
Dust & The Dukes – Dust & The Dukes
L’omonimo album di esordio del power trio fiorentino non lascia delusi gli amanti del desert rock. Questo disco è così ricco di sfumature che riuscirà ad accontentare i palati più esigenti. Risonanze solide prese con mestiere dalle radici della tradizione americana.
Ormai in Italia si è creata una vera e propria corrente sotterranea che ha deciso di portare da questa parte dell’oceano quelle sonorità lontane nello spazio e nel tempo. Ne sono un esempio i Big Mountain Country, Jennifer Jentle, The Winston, Black Snake Moan, Giuda e a questi aggiungo i sivigliani River Boy.
Cosa hanno in comune i Dusk & The Dukes e questi gruppi oltre al sapiente saccheggio dai vecchi vinili che hanno forgiato la psichedelia, il country e l’ heavy blues?
Oltre ad avere una vocazione live, sanno suonare e fare propria una musica che è un vero e proprio mix di generi e che ha contribuito a fare grande il nord America.
Il trio fiorentino non è solo l’ultimo gruppo di questa dannata generazione nata al sole e sulla sabbia che scotta, con questo disco si guadagna a pieno titolo un posto tra quelli che contano.