Gli Esercizi di Fiducia raccontati da Susan Choi
Quanto dei nostri ricordi corrisponde alla realtà dei fatti? Quanto i nostri sentimenti di un particolare periodo e gli eventi successivi alterano i contorni delle vicende?
L’adolescenza è un periodo infame. Si può declinare “infame” come volete ma il dato rimane abbastanza inconfutabile. Come inconfutabile è che ciò che viviamo nell’adolescenza ha un impatto diretto rispetto agli adulti che diventeremo.
Vividi rimangono i ricordi di quel periodo. Gli amori. Le amicizie. Il compagno di banco. Il professore odioso che ci ha preso di mira. E quello appassionato che magari ha determinato il nostro percorso successivo. Le feste. Quella litigata memorabile con l’amico di una vita. Quella sbronza storica. E così via.
Ma quanto di quei ricordi corrisponde alla realtà dei fatti? Quanto i nostri sentimenti di quel momento e gli eventi successivi hanno alterato i contorni delle vicende?
È questo che indaga Susan Choi in Esercizi di Fiducia (Edizioni Sur, 2021). E lo fa raccontando le vicende di un gruppo di ragazzi e ragazze, studenti alla CAPA (Citywide Academy for the Performing Arts), una scuola d’élite nata qualche anno prima e volta ad attirare gli studenti più brillanti in alcune discipline.
Alla CAPA gli allievi del primo anno di Teatro facevano Scenotecnica, Shakespeare, Musica a Prima Vista e, al corso di recitazione, Esercizi di Fiducia: tutti termini che, gli era stato insegnato, richiedevano la maiuscola in virtù del loro legame con l’Arte. Di Esercizi di Fiducia ce n’era una varietà apparentemente infinita.
E tra gli allievi del primo anno ci sono Sarah e David, legati da una storia d’amore e di incomprensione, e ci sono Joelle, Manuel e gli altri ragazzi e ragazze della loro classe.
Assistiamo a relazioni interpersonali a geometrie variabili e a rapporti più che altro conflittuali e oppositivi con le figure genitoriali. Sarah e gli altri bramano attenzione e approvazione e la trovano in adulti che spesso non rispettano la fragilità di quei ragazzi e ragazze e sfruttano irresponsabilmente i rapporti di potere asimmetrici che li legano a loro.
Seguiamo i personaggi durante le lezioni, in particolare durante gli Esercizi di Fiducia condotti da un professore istrionico, di quelli di cui tutti gli allievi bramano l’approvazione.
Erano tutti bambini che fino a quel momento non erano mai riusciti a integrarsi, o non erano riusciti, al limite dell’infelicità completa, a sentirsi appagati, e si erano appigliati all’impulso creativo nella speranza di salvarsi.
Un professore un po’ invadente che, dietro la scusa di cercare emozioni autentiche che i futuri attori dovranno essere in grado di ricreare in scena, in realtà entra nelle loro vicende personali.
Gli esercizi che Kingsley li costringeva a fare, ho capito solo molti anni dopo, erano una forma di pornografia.
Ma queste vicende sono raccontate da prospettive diverse. Perché i piani narrativi sono tre, corrispondenti ad altrettante sezioni del romanzo.
Nella prima parte la narrazione è incentrata sul personaggio di Sarah.
Sarah è protagonista di un amore di quelli che offuscano tutto il resto, totalizzante e isolante, di quelli che fanno soffrire perché il più delle volte finiscono per pura incomprensione e incomunicabilità tra le parti, ognuno a dare la colpa all’altro, a fuggire e a rincorrere allo stesso tempo.
Siamo a metà degli anni Ottanta e il narratore esterno narra gli eventi con quello che chiamerei “il senno di poi”: tra le righe la voce narrante fa riferimento all’esistenza di un momento futuro rispetto alla narrazione, si percepisce la consapevolezza di chi racconta da un punto della linea temporale posteriore al presente narrativo.
Nella seconda parte il narratore è ⟪Karen⟫.
⟪Karen⟫ usa alternativamente la prima e la terza persona e ripercorre, dandone la sua personale versione, alcuni dei principali eventi narrati nella prima parte. E che costituiscono però – in questa seconda parte – un passato narrativo, posizionandosi il presente narrativo a oltre dieci anni di distanza.
E ovviamente la versione degli eventi di ⟪Karen⟫ non corrisponde alla versione narrata nella prima parte. Se nella parte precedente del romanzo Sarah rivestiva un ruolo da protagonista ed era circondata da comprimari e/o comparse, nella seconda parte è ⟪Karen⟫ la protagonista sia delle vicende passate sia di quelle del nuovo presente narrativo.
Nuovo balzo temporale in avanti nella terza parte e nuovo personaggio centrale della narrazione, Claire. Sono passati circa 25 anni dagli eventi raccontati nella prima parte del romanzo e una nuova versione degli stessi, e di alcuni dei personaggi coinvolti, emerge dalla narrazione.
L’effetto sul lettore è quello di uno straniamento rispetto alla storia che si può pensare in prima battuta di avere davanti.
Ci si trova di fronte a un effetto “matrioska”, dove lo sviluppo delle vicende e dei personaggi non si colloca su una dimensione lineare di intreccio degli eventi e evoluzione nel tempo. Non è un puzzle bidimensionale, per capirci, ma un puzzle 3D multidimensionale dove le stratificazioni successive della narrazione consentono di inserire alcune delle tessere mancanti (mai tutte però!) a riempimento anche delle precedenti sezioni narrative. Il lettore acquisisce una maggiore consapevolezza e comprensione delle vicende man mano che procede. Ma quella comprensione non è mai completa e, in ogni caso, suscettibile di mutare i suoi contorni a seconda della prospettiva che si adotta.
Sulla trama non è opportuno dire in questa sede null’altro. Un po’ per evitare qualunque tipo di spoiler a potenziali futuri lettori. Un po’ perché, in fondo, non è la trama che conta ma la percezione, a volte molto distante, che i diversi personaggi hanno degli eventi.
C’è la realtà (ne esiste veramente una univoca?) e poi c’è il distacco, la negazione, la distorsione di quella realtà.
Risulta dunque evidente la soggettività della memoria, la soggettività nell’interpretazione della realtà – e anche delle parole (⟪Karen⟫ declina e spiega, sulla scia degli insegnamenti dell’analista, ogni parola volta alla definizione di emozioni passate e presenti alla ricerca di un significato condiviso) – come una lente che tutto può distorcere.
Ma risulta evidente anche l’incapacità di conoscere veramente qualcuno, nonostante tutta l’imposta manifestazione di emozioni richiesta durante gli Esercizi di Fiducia.
Sanno così tanto gli uni degli altri, eppure così poco.
Il romanzo include anche inevitabilmente una riflessione sull’arte e come essa (letteratura o teatro o altro) abbia il potere di riscrivere la realtà. E allora gli Esercizi di Fiducia sono richiesti, in questo caso, al lettore che non si trova di fronte una versione univoca della storia ma tre narratori che, nella loro soggettività, sono tutti egualmente inaffidabili.