Ci vediamo allo Chateau Marmont, il castello di Sunset Boulevard
“Il Castello di Sunset Boulevard” è la storia dello Chateau Marmont, l’albergo più leggendario di Hollywood, raccontata dal critico e produttore cinematografico Shawn Levy.
Ci sono luoghi mitici, entrati nell’immaginario collettivo, la cui leggenda si nutre di aneddoti, veri o presunti, di gossip, di scandali e di tragedie. Lo Chateau Marmont è uno di questi. Come si legge sulla homepage del suo sito, “Always a safe Heaven”. Shawn Levy ne “Il Castello di Sunset Boulevard” (EDT Editore) ci guida alla scoperta di questo luogo iconico che ha visto passare il gotha del cinema, della musica, dell’arte e della letteratura.
Ecco le coordinate per individuarlo. A West Hollywood, nascosto in piena vista sull’altura dove termina la Sunset Strip, il miglio più famoso del lunghissimo Sunset Boulevard. Non lontano dalla scritta sulla collina, svetta una costruzione che ricorda il castello gotico di Amboise, nella valle della Loira.
Il nome Marmont deriva dal breve tratto di strada davanti alla proprietà, Marmont Lane, appunto. Profeticamente, Marmont si riferisce a Percy Marmont, una star inglese del cinema muto che conquistò Hollywood. Un primo legame dell’albergo con la fabbrica dei sogni.
Lo Chateau Marmont nasce a fine anni Venti per volontà di Fred Horowitz, avvocato losangelino col pallino dell’edilizia, che in quell’area di campi e terreni agricoli riesce a immaginare una fortezza. Ai tempi, la zona finale della Strip era una terra di nessuno, dove autobus e tram non proseguivano le corse. Sunset Blv. era solo una strada sterrata, ma la vicinanza agli Studios, all’oceano e alla San Fernando Valley fa intravedere a Horowitz un certo potenziale logistico.
Per dare vita al suo sogno, Horowitz trova degli investitori: due donne dell’alta società di San Francisco e una collega della Facoltà di Legge, all’epoca diventata la donna con la carica più alta nell’amministrazione federale. Poi si rivolge al cognato, l’architetto Arnold Weitzman, per rendere l’edificio simile ai castelli che aveva visto in vacanza in Francia.
All’epoca Los Angeles è in forte espansione e la costruzione inizialmente nasce come un condominio di lusso. Subentra un secondo architetto, esperto in costruzioni multipiano, William Douglas Lee, che consegna un edificio a L sormontato da una piccola torre, 43 appartamenti dalle piante eterogenee, un atrio, una cucina comune, un garage sotterraneo da 46 automobili e un giardino con una fontana.
Lo Chateau Marmont è stato uno dei primi palazzi ad essere ammirato per l’eleganza e per la sicurezza, perché costruito con criteri antisismici che gli hanno permesso di sopravvivere a cinque terremoti. L’albergo è sopravvissuto anche a una guerra mondiale, ma soprattutto al cambiamento di epoche, di mode e di proprietari.
Il 1° febbraio 1929 il Castello apre i battenti. I primi ospiti sono gli “happy few” dell’alta società della California del sud. Pochi mesi dopo, però, il crollo di Wall Street fa fuggire gli inquilini e nel 1932 Horowitz vendere lo Chateau Marmont ad Albert E. Smith.
La spregiudicata e pionieristica epoca del cinema è incarnata in Albert E. Smith. Appassionato di meccanica e di tecnica cinematografica, Smith acquista un proiettore Edison in società con un amico, lo trasforma in cinepresa e i due filmano qualsiasi cosa, persino la guerra boera in Sudafrica. Per sfuggire agli avvocati di Edison, che voleva proteggere la sua invenzione, si trasferiscono in California, dove fondano una casa di produzione a Hollywood, la Vitagraph, che tra gli altri, produrrà i film interpretati da Percy Marmont. Quante coincidenze.
Con Albert E. Smith lo Chateau Marmont diventa un albergo, in vista delle Olimpiadi del 1932. Ad affiancare Smith nella gestione è chiamata l’ex stella del cinema muto Ann Little, che fa rinnovare i mobili e gli arredi dello Chateau Marmont, determinando lo stile inconfondibile di questo albergo, dove ogni stanza è un mondo a sé. Non ci sono due stanze simili, perché gli arredi sono stati comprati dall’aristocrazia della California meridionale, che svendeva mobili e arredi per riprendere fiato durante la Grande Depressione. L’eterogeneità estetica è stata ed è la caratteristica più apprezzata dagli ospiti di questo albergo bizzarro.
In quegli anni, il tratto di Sunset Boulevard adiacente allo Chateau Marmont è una terra di nessuno dove prostituzione, gioco d’azzardo e vendita di alcolici sono tollerati dallo sceriffo grazie a “bustarelle”. Per averne un’idea, la corruzione dilagante che chiude gli occhi delle autorità davanti al vizio è magistralmente descritta dai romanzi di James Ellroy. Ugualmente, iniziano ad insediarsi nell’area le agenzie di attori, per sfruttare la tassazione più bassa di quella di Los Angeles.
Nei primi anni Trenta Sunset Boulevard viene asfaltato e finalmente Los Angeles e Beverly Hills sono collegate. Sorgono dei locali: il Trocadero, la Schwab’s Pharmacy, il Ciro’s, il Mocambo, i Garden of Hall, il Clover Club, il Colony. Posti animati in cui la gente del cinema trascorre del tempo in compagnia.
Nel 1937 lo Chateau Marmont si amplia inglobando una fila di villette che, dopo la ristrutturazione, diventano i famosi bungalow. Dieci anni dopo, viene realizzata una piscina, piccola e di forma ovale – secondo Gore Vidal un “ombelico pieno di sudore” – ma le dimensioni ridotte sono compensate dalla ben più importante tolleranza non giudicante dell’hotel, che accettava una certa disinvoltura nei costumi sessuali.
Lo Chateau Marmont è privo di lussi e di servizi, ma ha una qualità impagabile, la discrezione. Non a caso Harry Cohn, patron della Columbia Pictures suggeriva ai suoi “Se dovete mettervi nei guai, fatelo allo Chateau Marmont”.
Un posto elegante, tranquillo, in vista ma dall’aria defilata, che unisce l’anonimato dell’albergo al calore dell’abitazione. Un posto semplice, senza pretese e accogliente. Una casa lontano da casa. Lo Chateau Marmont è il posto ideale dove gli artisti andavano e vanno a far festa, a eccedere, ma anche per avere privacy e per riposarsi.
Durante la guerra, l’aristocrazia europea in pericolo si rifugia in questo pezzo di mondo, come la signora che fonderà un impero della cosmetica, Helena Rubinstein. Dopo l’attacco di Pearl Harbor, in piena guerra, come altri edifici della zona, lo Chateau Marmont è sottoposto all’oscuramento e il garage è designato come rifugio antiaereo. Finita la guerra, l’attività dell’albergo è al servizio soprattuto dei divi che divorziano. Dopo Reno e Tijuana, soggiornare allo Chateau Marmont diventa sinonimo di divorzio in vista.
Basta aprire una pagina a caso de Il Castello di Sunset Boulevard per ritrovarsi immersi in quell’atmosfera da Hollywood Babylonia, con i grandi nomi di ieri e di oggi. Uomini e donne in cerca di fortuna, di una vita sopra le righe, di un’occasione per provare il proprio talento. Uomini e donne che alla roulette delle vita hanno puntato tutto su un sogno. Una scommessa che in molti casi li ha consegnati alla fama per l’eternità.
Dalle pagine del libro, come un infinito registro degli ospiti dello Chateau Marmont, troviamo Jean Harlow, vedova burrascosa che ha una storia con Clark Gable, Laurence Olivier, John Wayne, Hedy Lamarr in arrivo da Vienna.
Billy Wilder, sceneggiatore ebreo di successo a Berlino, raggiunge la capitale dello showbiz e va allo Chateau Marmont, che sarà la sua casa per tre volte. I suoi racconti su quei soggiorni sono leggendari, come quello durante le feste di Natale del 1934, quando trova l’albergo occupato e si accontenta di dormire un paio di notti nell’anticamera della toilette delle signore.
Allo Chateau Marmont si stabilisce anche una colonia di attori newyorkesi dell’Actor’s Studio, sostenitori del Metodo, ossia il realismo nella recitazione secondo gli insegnamenti di Stanislavskij, ma anche di Elia Kazan, Lee Strasberg e Stella Adler. Tra questi ci sono Joanne Woodward e Paul Newman, che si frequentano benché lui abbia moglie e tre figli.
Intanto nel 1942 l’albergo viene acquistato da un tedesco dal passato pieno di vicissitudini e qualche ombra, Edwin Brettauer.
Durante gli anni Cinquanta tutti gli attori si rifugiano allo Chateau Marmont: Ben Gazzara, Geraldine Page, Shelley Winters, ex moglie di Vittorio Gassman con il suo terzo marito Anthony Franciosa. In quel periodo anche Anna Magnani, già premio Oscar per La rosa tatuata, è a Hollywood per girare un film di Franciosa. Nannarella si sistema allo Chateau Marmont, dove vivrà un flirt col regista.
“Il Castello di Sunset Boulevard” è una girandola di aneddoti incredibili, come la sera in cui due ragazzi e una ragazza irrompono nel bungalow del regista Nicholas Ray e il più spavaldo dei tre è James Dean, già noto per La Valle dell’eden. L’attore reciterà poi proprio nel film di Ray, Gioventù bruciata.
Anthony Perkins frequenta l’hotel dal 1955, quando arriva per la seconda volta nella Mecca del cinema dopo i successi a Broadway. Morto James Dean, Hollywood è in cerca di un altro personaggio singolare e Perkins sembra il candidato perfetto: cammina scalzo, va in autostop agli Studios e frequenta gente bohémien.
Grace Kelly si rifugia allo Chateau Marmont per intrattenere le sue relazioni. Warren Beatty è ospite dell’albergo, sia da scapolo donnaiolo che in coppia con Joan Collins. Vivien Leigh appende nella sua suite gli amati quadri di Renoir e Picasso.
Anche Marylin Monroe soggiorna allo Chateau Marmont, ospite del fotografo Milton Greene. Ci tornerà durante la crisi del suo matrimonio con Joe Dimaggio.
Tanti scrittori e musicisti hanno vissuto in quelle stanze sulla collina: Dorothy Parker, F. Scott Fitzgerald, Gore Vidal, John Cheever, Hunter S. Thompson, Duke Ellington, John Lennon, Mick Jagger, i Led Zeppelin, Jim Morrison.
Artisti come Quincy Jones, Nina Simone, Sarah Vaughan, Josephine Baker, Miles Davis, Sidney Poitier. A differenza di altri alberghi prestigiosi dei dintorni, lo Chateau Marmont era tollerante e accogliente con coloro che sono emarginati dalla cultura dominante, e purtroppo le persone di colore, non importa quanto famose, allora venivano rifiutate.
L’albergo diventa simbolo di vera inclusione. Non erano ammesse esclusioni sulla base dell’etnia, della religione, dell’orientamento sessuale, o di altro. Questo è stato il lascito più importante di Brettauer, contrario alle barriere razziali, avendo subito lui stesso il sospetto che nasce dal pregiudizio.
A fine anni Cinquanta la cultura Beatnik si insinua là dove regna il glamour e sulla Strip spuntano locali espressione della nuova energia del rock’n’roll e frequentati da ragazzi.
Erwin Brettauer nel 1963 decide di vendere lo Chateau Marmont, dopo avergli dato un’identità molto precisa, che avrebbe resistito ai cambiamenti dentro e fuori.
Dopo di lui si susseguono velocemente due proprietari. Il secondo, Guilford Glazer, è sposato con una parigina sopravvissuta all’Olocausto. Quando i due divorziano, lei prima si risposa con Albert Ruddy, produttore de “II Padrino” e di altri film di successo, poi si unisce al santone Rajneesh, fondatore della chiacchierata comune nell’Oregon, raccontata dalla serie Wild Wild Country.
Intanto la Strip rinasce a ritmo del Rock e sotto la spinta del terremoto della cultura giovanile e di ragazzi dai capelli lunghi e ragazze in minigonna.
Sempre dalla Francia arriva l’ispirazione per un locale simbolo, il Whisky a Go-go, la prima discoteca, che sostituisce la musica dal vivo e i jukebox con dischi scelti da un DJ. Le case discografiche spostano i loro uffici sulla Strip.
A metà anni Sessanta la Sunset Strip riecheggia dei concerti di Byrds, Doors, Mama and the Papas, Buffalo Springfield, ma nell’estate del 1966 le autorità decidono di far rispettare delle leggi ignorate da anni. Per dare un taglio all’affollamento, al traffico, al consumo di droga viene istituito il coprifuoco alle 10 di sera e i minorenni rispediti dai genitori. La situazione esplode in tumulti contro quella svolta autoritaria. Di quei fatti canta Stephen Stills dei Buffalo Springfield in For what it’s worth.
Lo Chateau Marmont ha visto passere i Pink Floyd, Bob Dylan, Gram Parsons, Janis Joplin.
Anche i Led Zeppelin vivono per un po’ allo Chateau Marmont, ma fanno i bravi e la leggendaria storia del giro in moto di John Bonham nei corridoi di un hotel è vera, ma è accaduta alla Hyatt House.
Nuovo cambio di proprietà nel 1966. L’albergo è messo all’asta e, dopo un anno, tre avvocati di Beverly Hills fondano una società e lo comprano, per gestirlo otto anni, con grande indifferenza.
Dustin Hoffman sé allo Chateau Marmont mentre lavora a Il Laureato. Roman Polanski e Sharon Tate in dolce attesa stanno al Castello.
I Velvet Underground e Lou Reed condividono un bungalow nel 1968 mentre lavorano al terzo album e fanno delle serate al Whisky a Go-go. Fun fact, in quel periodo il padre del road manager della band vince il Nobel per la chimica, era Lars Onsager.
Nel 1970 Jim Morrison considera lo Chateau Marmont la sua seconda casa. Abita in un bungalow stipato di libri dove ospita feste alcoliche e tossiche fino all’alba. Spesso scavalca balconi e finestre dei piani alti fino a quando non cade dal secondo piano, uscendone illeso.
Nel 1971 Graham Nash si trasferisce in un bungalow dopo la rottura con Joni Mitchell. Deve restare una notte, se ne andrà dopo 5 mesi.
Neil Young, Annie Lennox, Van Morrison, Carly Simon sono stati tutti ospiti dello Chateau Marmont.
Nel 1975 la proprietà passa a Raymond Sarlot, un costruttore, che rimette in sesto e valorizza l’albergo, con una ristrutturazione profonda, una cura maggiore nell’arredamento e l’acquisto di altri cottage lì intorno per ampliare il numero di bungalow.
Sarlot, ai tempi nel consiglio di amministrazione del MOCA, il Museo di Arte Contemporanea a dowtown L.A., ha rapporti con gradi artisti come David Hockney, Robert Rauschenberg e Roy Lichtenstein, che passano regolarmente dall’albergo.
Robert De Niro ha vissuto allo Chateau Marmont prima di girare un film ambientato proprio lì, Bogart slept here. Aveva finito da poco di girare Taxi Driver e aveva vinto un Oscar per Il Padrino Parte II.
Tony Randall, Billy Idol, Jean Michel Basquiat, Jay McInerney, Jim Jarmush, Agnès Varda, Spike Lee, Alejandro Jodorowsky, Terry Ghilliam, i Duran Duran, Sting, Bono, i Lemonheads sono tutti passati da lì.
La sera del 28 febbraio 1982 John Belushi si presenta alla reception dell’albergo. È a pezzi. Deve lavorare a un film, ma il lavoro non ingrana. Il suo ultimo successo al botteghino risale a quattro anni prima con Animal House, ma per gli standard di Hollywood è passata un’eternità. La sua carriera è a rischio e la sua vita cola a picco. Intanto Dan Aykroyd cercava di tirarlo fuori dalla droga e di coinvolgerlo nel film che stava scrivendo, Ghostbusters.
Come racconta dettagliatamente Shawn Levy, una serie di circostanze precipitano nell’epilogo peggiore: John Belushi lascia la sua stanza su una barella, ucciso da un’overdose, la mattina del 5 marzo 1982. Una tragedia che si era intravista all’orizzonte, ma che per qualche motivo nessuno aveva saputo impedire.
Lo Chateau Marmont finisce sotto i riflettori e inondato di pubblicità negativa, ma col passare del tempo diventa semplicemente il leggendario Chateau Marmont di Hollywood.
Negli anni Ottanta gli Studios alloggiano i loro attori allo Chateau Marmont, sperando che le loro bravate venissero fuori, ricorda John Cusack. Robert Downey Jr., Rupert Everett, Johnny Depp, Ethan Hawke, Matt Dillon, Wynona Ryder, Sarah Jessica Parker frequentavano tutti l’albergo, insieme a Breat Easton Ellis, Patti Smith, Juergen Teller. Lo Chateau Marmont era diventato un posto dove fare una vacanza lontano da casa senza partire per davvero.
Cambia di nuovo il paesaggio della Sunset Strip. Le agenzie e le case discografiche traslocano altrove, i locali di strip-tease sono più numerosi dei club e tutto ha un’aria squallida.
Nel 1990 lo Chateau Marmont è rilevato da un investitore di New York, André Balazs, che lo trasforma in un luogo del desiderio, alla moda. Balazs ha una vita sopra le righe, con fidanzate celebri, come Uma Thurman.
L’hotel viene ristrutturato, ammodernato, dotato di nuovi servizi e diventa la location di molti eventi frutto del legame di Balazs con il mondo della moda e dello spettacolo. Ad esempio, per diversi anni l’albergo ospita i reading della Poetry Society of America, con attori famosi che leggono i versi di poeti altrettanto famosi.
Cronista del nuovo corso dello Chateau Marmont è Dominck Dunne, ospite da ragazzino dell’albergo e che ora, dopo aver vissuto in prima persona le idiosincrasie del sistema legale americano, a seguito dell’omicidio di sua figlia, segue per Vanity Fair i grandi processi: Claus Von Bulow, O.J. Simpson, Phil Spector.
Nei primi anni Novanta, la Sunset Strip, sempre più in decadenza, inizia una lenta risalita: Johnny Depp rileva la Viper Room, viene ristrutturato l’hotel Mondrian, viene inaugurato il Bar Marmont per il ventunesimo compleanno di Leonardo Di Caprio e così la strada, da zona di spaccio e prostituzione, si riveste di glamour. Il Bar sarà chiuso nel 2017 dopo una serie di scandali legati al movimento #metoo.
Nel 2003 lo Chateau Marmont inaugura il ristorante, che diventa subito di tendenza. Frequentato da gente famosa per essere famosa, come Paris Hilton e le Kardashian, diventa un palcoscenico dove farsi vedere. Ogni epoca ha le celebrities che si merita e le cronache riportano spettacoli tristi di una Britney Spears fuori controllo che viene cacciata, idem per Lindsay Lohan.
L’albergo continua ad essere frequentato da artisti. Luc Besson, mentre studia il cast de Il Quinto elemento, conosce quella che diventerà la sua terza moglie, Milla Jovovich, nel giardino dello Chateau Marmont. L’after party degli Oscar 2018 di Beyoncè e Jay-Z è allestito nel garage dell’albergo per celebrare le nomination di Mary J Blige.
Per oltre 70 anni lo Chateau Marmont è stato un luogo appartato, misterioso, benché in vista. Poi, da ritrovo per bohémien è diventato un albergo di lusso con tariffe proibitive.
Lo Chateau Marmont è uno specchio della storia di Hollywood, con le sue luci e le sue ombre. Un albergo, che come la Mecca del cinema, è più eccitante della vita reale, perché è un’illusione.
Lo Chateau Marmont è stato l’ambientazione di tanti film, una filmografia parziale:
“Una pazza storia d’amore” di Paul Mazursky
“The Doors” di Oliver Stone
“Occhi di serpente” di Abel Ferrara
“Somewhere” di Sofia Coppola
“Maps to the stars” di David Cronenberg
“La La Land” di Damien Chazelle
“A Star Is Born” di Bradley Cooper
Ancora, lo Chateau Marmont fa capolino da romanzi e canzoni:
“Hollywood! Hollywood” di Charles Bukowski
“L.A. Woman” di Eve Babitz
“Chateau Lobby #4” di Father John Misty,
“West L.A.” dei Grateful Dead
“Off to the races” di Lana Del Ray
IL CASTELLO DI SUNSET BOULEVARD
di SHAWN LEVY
Traduzione dall’inglese di ANNA LOVISOLO
Pubblicato da EDT
Giusy Andreano