“Pericoli di un viaggio nel tempo”: il passato come punizione
“Pericoli di un viaggio nel tempo” è un romanzo di Joyce Carol Oates del 2018, pubblicato quest’anno con la traduzione Alberto Pezzotta da La nave di Teseo.
“Pericoli di un viaggio nel tempo” di Joyce Carol Oates si inserisce in maniera classica e senza scossoni nel genere distopico.
L’11 settembre 2001 ha segnato uno spartiacque: da allora una serie di eventi si sono susseguiti in maniera tale che, nell’epoca in cui è ambientato il romanzo, vige un governo monopartitico totalitario, opprimente e invasivo.
Siamo per la precisione nell’anno 23-SRA perché nessuno conta più le date con il vecchio sistema. Ci troviamo dunque in una nuova era dove gli Stati Uniti, per come li conosciamo noi, non esistono più. Al loro posto troviamo gli SNAR, Stati del Nord America Rifondati che comprendono anche Canada e Messico.
Il Governo è totalitario e invasivo: regole rigide e nessuno spazio per la dissidenza, il mondo è iper-connesso ed ogni minima parola pronunciata anche negli spazi privati viene registrata e controllata. Tutti i vecchi libri, soprattutto quelli di storia, sono stati distrutti. Le biblioteche non esistono più. Gli unici libri in circolazione sono quelli approvati, solo elettronici: la storia viene aggiornata, rifondata (ovvero riscritta).
Questo governo mira a creare cittadini conformi, come un gregge.
E nei greggi, si sa, trovano poco spazio gli essere minimamente pensanti o brillanti. Il tradimento viene punito con l’esilio o, nei casi più gravi, con la cancellazione.
E proprio di tradimento viene accusata Adriane Strohl, diciassette anni, arrestata il giorno in cui avrebbe dovuto pronunciare, come migliore studentessa della classe, il discorso di fine anno della sua scuola superiore. Ma Adriane è sempre stata troppo brillante, troppo in gamba, curiosa, ingenuamente e genuinamente curiosa, senza la minima intenzione di mettere in dubbio lo status quo. Eppure quel suo discorso infarcito di domande non va bene. Viene arrestata e mandata in esilio con una condanna di 4 anni.
Gli IE (Individui Esiliati) vengono teletrasportati nel passato.
Adriane si ritrova nella Zona 9 ovvero il Wisconsin del 1959 dove, con il nome di Mary Ellen Enright, dovrà frequentare l’Università.
La ragazza è traumatizzata per l’arresto, per l’interrogatorio, per aver assistito in diretta all’esecuzione via drone di un altro ragazzo arrestato con la stessa accusa, per non avere potuto salutare i suoi genitori.
Ed è traumatizzata per il fatto di trovarsi in un’epoca che non è la sua, insieme a persone che non sanno nulla del suo passato, che vivono la loro vita senza sapere come sarà il mondo nel futuro da cui arriva la protagonista. Persone che fra loro, forse, nascondono una spia, qualcuno che la sorveglia e la controlla per accertarsi che rispetti le Istruzioni.
Futuro e passato si invertono.
In più le sono stati rimossi molti ricordi. Per quanto si sforzi di richiamarli alla mente, non può ricordare tanti aspetti della sua vita passata incluso il volto della madre, del padre e delle amiche.
Si trova in un paese diverso, in un’epoca diversa. È sola e spaventata.
Il 1959, per chi viene dal futuro, è un anno ben strano. Il mondo non è connesso, si scrive su macchine con tasti e rulli non connessi a nessuna fonte di elettricità o di rete, le ragazze portano i bigodini di notte per modellare i capelli, si fuma ovunque e altre stranezze dell’epoca. Il Muro non è ancora caduto e l’America di quegli anni teme il comunismo e la minaccia di un olocausto nucleare (Hiroshima non è così lontano….).
Presto scopre, con un misto di terrore e speranza, che anche uno degli assistenti del corso di Psicologia è un esiliato come lei. Si faranno in qualche modo compagnia.
E qui con la trama è bene fermarsi per non rovinare l’esperienza di lettura a nessuno.
Nel romanzo si ritrovano gli echi di altri testi che hanno fatto la storia in termini di letteratura distopica. Non è difficile durante la lettura pensare a Ray Bradbury e al suo celebrato Fahrenheit 451. O a 1984 di George Orwell. Così come per altri aspetti si può pensare al Philip Dick di Ubik.
Ma la Oates non crea nulla di più, nulla di particolarmente originale, per quanto godibile nella lettura.
Lungi dal criticare una scrittrice così lungamente prolifica come Carol Oates, in questo romanzo però non c’è nessun elemento che distingua questo testo dall’ampia produzione del genere che nel corso dei decenni ha regalato ai lettori mondi altri e emozioni forti.
Manca, almeno per il mio gusto personale, il vero atto di ribellione al sistema. Adriane Strohl / Mary Ellen Enright rimane pressoché immobile senza evolvere, è trascinata dagli eventi e dalla volontà altrui e non c’è mai una vera svolta nel personaggio, non apre gli occhi, non sceglie.