Hong Kong, la Cina mette all’angolo l’opposizione: saranno eletti solo “patrioti”
Con una nuova legge l’Assemblea Nazionale modifica gli organi politici di Hong Kong limitando lo spazio dei partiti pro-democrazia.
La marcia della Cina su Hong Kong prosegue inesorabile e neanche troppo lentamente. Lo scorso mercoledì è passata una legge che pretende di avere solo i “patrioti” all’interno delle istituzioni governative della regione autonoma.
Approvato all’unanimità dal Parlamento cinese con 167 preferenze, il nuovo testo modifica sia la composizione numerica delle istituzioni governative che le procedure di voto e il metodo di selezione dei parlamentari in Hong Kong.
Gli oppositori della riforma denunciano lo sbilanciamento pro-Pechino di queste modifiche, ulteriore limite all’espressione della volontà dei cittadini. Per Lo Kin-hei, portavoce del Partito Democratico “Hong Kong sta tornando indietro di 20 anni. Per noi, adesso, è difficile trovare spazio”.
La posizione di Carrie Lam, a capo dell’esecutivo di Hong Kong, è, ancora una volta, filo cinese. La governatrice ha tenuto a precisare che “in questo modo, chiunque risponda al criterio di patriota, anche se esponente dell’opposizione, potrà essere eletto”. Pari opportunità, quindi?
Ma cosa significa “patriota” ad Hong Kong? Per Xia Baolong, rappresentante di HK al governo cinese, “i veri patrioti sono coloro che amano la patria cinese e Hong Kong e appoggiano il partito comunista. Mentre quanti vi si oppongono – ha specificato – non potranno partecipare alla vita politica della regione amministrativa né ora né mai”. Chiaro, tondo e antidemocratico. Quale sarà il nuovo scenario che si definirà in poche settimane?
La prima variazione riguarda il Comitato Elettorale, istituzione che nomina il capo dell’Esecutivo, la carica più importante. Passerà a 1.500 membri invece degli attuali 1.200: sono stati aggiunti gruppi pro-Pechino e membri della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese, mentre sono stati eliminati i 117 seggi della Commissione Elettorale destinati ai consigli distrettuali, tipicamente più decentralizzati rispetto al controllo cinese. Aumenta anche il Consiglio Legislativo, ovvero il mini-parlamento di Honk Kong, che passerà da 70 a 90 unità – ma i membri eletti in modo diretto saranno solamente 20 e non più 35.
Il Comitato eleggerà direttamente 40 membri mentre un terzo sarà riservato a corporazioni di banche, mercati ed ogni tipo di business: tutte entità con forti interessi nell’egemonia pechinese sul territorio. I potenziali consiglieri dovranno superare due fasi di “screening”: oltre al veto del Comitato Elettorale, attualmente pro-Pechino, le nomine saranno passate al vaglio anche da polizia e sicurezza nazionale per accertarne l’idoneità allo status di patriota. Il prossimo Dicembre il Consiglio Legislativo verrà eletto secondo queste nuove modalità.
La riforma è stata criticata da Stati Uniti, Australia, Regno Unito e Unione europea che l’hanno dichiarata l’ennesimo tentativo di colpire il sistema di “un Paese, due misure”, aumentando il controllo del governo centrale sulla regione amministrativa ed impedendo, in concreto, che l’opposizione conquisti la maggioranza. A queste accuse Pechino rimane ferma nel difendere la propria sovranità e rigetta ogni “Interferenza straniera” come già accaduto nel recente passato.
On Tuesday, Chinese leaders ruled in favour of a plan designed to ensure that only “patriots” can take up positions of power in Hong Kong. @_laujessie reports: https://t.co/lWilopMQ6G
— The New Statesman (@NewStatesman) April 1, 2021
Ricordiamo che Hong Kong è città stato annessa alla Cina dal 1997, anno in cui si liberò dalla presenza britannica, e che gode di autonomia amministrativa ad eccezione di difesa e politica estera, in un sistema definito di “un Paese e due misure” all’interno di una Legge di Base che dovrebbe essere mantenuta almeno fino al 2047. Ad Hong Kong, quindi, c’è diritto di riunione e di parola, la magistratura non dipende da quella cinese e la regione può dotarsi di una propria legge in materia di sicurezza.
Negli ultimi anni Pechino ha iniziato a minare sempre più queste libertà e quest’autonomia attraverso una serie di riforme o emendamenti. All’invadenza cinese si è opposta costantemente la popolazione locale, a cominciare da Occupy Central nel 2014, tanto che lo scorso novembre è stata ideata la Legge di Sicurezza Nazionale per limitare il potere giudiziario della regione e facilitare gli arresti di attivisti e dimostranti.
Proprio in questi giorni sette attivisti pro-democrazia rischiano pene detentive di almeno 5 anni per aver partecipato ad “assemblee non autorizzate”nell’Agosto 2019: ma la Costituzione di Hong Kong protegge sempre il diritto di assemblea.
La legge sui “patrioti”, che segue gli altri emendamenti alla Legge di Base, è l’ennesimo tentativo di espandere la forza politica cinese all’interno delle istituzioni locali.