“Ciò che il silenzio non tace”: il potente esordio di Martina Merletti
La scrittrice classe 1992 ci consegna una storia in cui il tessuto narrativo di finzione si incastona perfettamente in un solido telaio storico.
Le vicende narrate muovono i passi dal momento in cui Elda Trabotti, rinchiusa nel carcere Le Nuove di Torino come prigioniera politica, dà alla luce un bambino che riuscirà a far evadere dal carcere grazie all’operato di Suor Giuseppina De Muro. Appena in tempo prima di essere deportata e vivere l’inferno dei campi di concentramento.
Alla sua morte la figlia Aila, riordinando libri e carte, scopre dell’esistenza di un fratello di cui è sempre stata all’oscuro. Le sue ricerche la porteranno a comprendere meglio quella madre così dura e silenziosa, ad addentrarsi nei meandri più oscuri della Storia e di una guerra che ha lasciato molte cicatrici. E arriverà a suor Emma, una suora in pensione che in quegli anni terribili collaborava con Suor Giuseppina e che è ritornata a vivere nel piccolo paese di provincia di cui è originaria.
Il romanzo, con frequenti andirivieni tra passato e presente, segue due binari narrativi che procedono paralleli. Accanto alla ricerca condotta da Aila, all’incontro con suor Emma e alle vicende che riguardano Elda Trabotti, si muovono le vicende di Teresa e Domenico e dei loro figli Gilberto e Fulvio. La famiglia vive a Montevicino poco distante da Laietto, dove risiede suor Emma: da quelle parti si conoscono tutti.
Binari paralleli, a lungo. Tanto che fino all’epilogo il lettore stenta a comprendere se e come questi due binari convergeranno. I fili della trama si ricongiungeranno ma in un modo che il lettore non riesce necessariamente a immaginare in anticipo. E allora si torna indietro, si rilegge, si apprezza ancora di più la scrittura che nasconde in bella vista indizi che solo alla fine si possono apprezzare in quanto tali.
I personaggi si muovono all’interno di una cornice di riferimento – ovvero i fatti realmente accaduti dopo la promulgazione delle leggi razziali – che l’autrice Martina Merletti ha ricostruito grazie ad una ricca e approfondita ricerca storica e storiografica.
Si è concentrata soprattutto su quello che è accaduto a Torino e, in particolare, su quello che avveniva all’interno delle spesse mura del braccio femminile del carcere Le Nuove.
«C’era un punto preciso in cui doveva stare, affinché tutti lo vedessero, perché la struttura era stata progettata con un’angolazione tale per cui da ogni apertura non si potesse vedere altro: un capolavoro di atrocità architettonica».
M. Merletti, Ciò che nel silenzio non tace pic.twitter.com/h8wl20aQ1K— Einaudi editore (@Einaudieditore) April 12, 2021
Sono per lo più personaggi inventati tranne poche eccezioni come nel caso di Suor Giuseppina. Eppure colpisce la verosimiglianza, vuoi perché alcune vicende attribuite ad alcuni di loro sono comunque avvenute, vuoi perché non è difficile immaginare che siano avvenute anche se la Storia non ci ha restituito la testimonianza di quella singola sofferenza.
La scrittura è efficacissima, densa, essenziale e necessaria. A tratti incalzante.
Ognuno dei personaggi è descritto compiutamente attraverso le pagine e le vicende narrate. E le incursioni del dialetto nei dialoghi dei personaggi contribuiscono a dare loro ancora più consistenza.
C’è anche CIÒ CHE NEL SILENZIO NON TACE di Martina Merletti! 👏👏👏 https://t.co/GD9VETp18G
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Emergono alcuni temi non nuovi ma non per questo meno urgenti o poco apprezzabili. A partire dalla Memoria e da quel devastante silenzio cui molti sopravvissuti sono stati costretti nell’impossibilità di essere ascoltati e creduti. Elda sopravvive ai campi di concentramento, torna nella sua città dopo un viaggio infinito in condizioni difficilissime. Torna e già lungo la strada capisce che gli altri non vogliono sentire ciò che ha da dire. Non vogliono ascoltare l’orrore, non credono all’orrore. E c’è sempre qualcuno che ha la pretesa di aver sofferto di più in una misera gara a chi ha più diritto di raccontare. A volte sembra che la solidarietà non esista, nemmeno tra chi ha sofferto.
E poi c’è il trauma di tornare in una realtà che è la stessa che l’ha incarcerata e ha determinato tutta quella sofferenza. Alla fine della guerra anche fascisti e repubblichini tornano a una pretesa di normalità e magari dietro il banco della drogheria sorride ignaro un delatore o un picchiatore che si è ripulito e messo un grembiule immacolato come se nulla fosse successo.
E allora Elda sopravvive ma si chiude in un silenzio tenace. Dentro quel silenzio c’è un mondo di sofferenza, quel silenzio è l’unico modo per tanti sopravvissuti di andare avanti.
Nel silenzio abita anche suor Emma che dopo Torino cerca di non pensare alla sua esperienza presso il carcere ma di tramutare in forza per continuare a fare del bene quell’impronta indelebile che l’esperienza ha lasciato su di lei.
E nel silenzio si chiude Teresa, a casa sua si parla solo di quello che vuole lei quando lo vuole lei. Teresa che è di tutt’altra pasta, che ha ormai ottant’anni ma durante la guerra era una giovane moglie che provava ad essere felice.
Teresa è la rappresentazione di tanti, di quanti vorrebbero solo andare avanti con la propria vita. Di quanti non vogliono prendere posizione. Ma quando la Storia bussa alla tua porta qualunque azione diventa una scelta.
A Martina Merletti va tutta la mia invidia, ma di quelle buone: se questo è “solo” il suo esordio, attendo con ansia i suoi prossimi lavori e le storie che vorrà condividere con noi.