“In catene”: gli Alice In Chains raccontati da Giuseppe Ciotta
Il libro pubblicato da Officina di Hank non è solo un’ottima biografia di Layne Staley e degli Alice In Chains. È un atto d’amore verso un periodo storico-musicale che si colloca tra la fine degli anni Ottanta e i primi Duemila.
Il Seattle sound o Grunge o come diavolo volete chiamarlo ha fatto sognare, ridere e piangere migliaia di persone e tutt’ora è considerato l’ultimo baluardo musicale dello scorso secolo.
Molti erroneamente considerano il grunge come un preciso genere musicale ma è ormai chiaro che i gruppi coinvolti in questa storia hanno avuto influenze talmente eterogenee (dall’hard rock al punk, dalla psichedelia al metal) che ogni produzione musicale di quel periodo e in quel contesto geografico (principalmente lo Stato di Washington) ha una sua peculiarità. E Giuseppe Ciotta, al suo primo libro, nella narrazione riesce a far capire tutte quelle sfumature che hanno reso unico il grunge.
Se band come Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam e Alice in Chains hanno lasciato un segno indelebile nella storia della musica – le vendite stratosferiche li hanno catapultati, loro malgrado, nel mainstream -, questo libro non si limita solo alle magnifiche quattro band di Seattle ma si concentra su tutto quel fervore musicale che è girato intorno alla Città Smeraldo.
Troviamo i seminali Sleze e i Mother Love Bone che hanno fatto da trampolino per le gesta dei giganti. E i progetti unici – dai Temple of the Dog ai Mad Season fino ai Class of ’99, ultimissimo mini-progetto il cui protagonista indiscusso di questo libro ha preso parte – che hanno visto protagonisti diversi musicisti di questa storia. Senza dimenticare i Mudhoney, o gli Screaming Trees, meno fortunati in termini di vendite ma imprescindibili per la scena musicale di Seattle.
L’autore non solo ha scandagliato minuziosamente una mole ragguardevole di fonti, ma ha vissuto e respirato Seattle per entrare nella storia riuscendo a strappare interviste esclusive a Johnny Bacolas (Sleze, Second Coming) o al musicista/produttore Tim Branom, che oltre a produrre Layne Staley è stato anche suo coinquilino.
Non solo. Ha anche intervistato Alex Marcheschi (Ritmo Tribale) e Karim Qqru (Zen Circus) che, avendo vissuto intensamente quella stagione musicale dall’Italia, hanno arricchito il libro con punti di vista originali intervenendo su questioni musicali e personali degli Alice in Chains e Layne Staley.
Proprio su Staley questo libro mette in luce tutti i punti di forza e di debolezza del cantante e chitarrista che, con la sua voce unica e la capacità di imprimere nei testi delle canzoni una raffinatezza senza pari, è diventato un’icona indiscussa del grunge e degli anni Novanta.
Questo libro è da considerarsi come integrazione o corollario dei tanti testi scritti in precedenza sull’argomento. Penso a Grunge in Dead: The Oral History Of Seattle Rock Music di Greg Prato (2009) o a Everbody Loves Our Town di Mark Yarm (2012) o, per entrare ancora più nel dettaglio della band di Staley, Alice in Chains – The Untold Story di David De Sola (2015), citati copiosamente come fonti da Giuseppe Ciotta.
Eppure l’autore e musicista siciliano compie un’impresa non facile: con determinazione, passione e amore per la musica degli Alice In Chains riesce, al pari degli autori americani, a mettere a fuoco episodi e particolari rilevanti per una piena comprensione dell’atmosfera che si respirava a Seattle tra il 1985 e il 2002.
Ciotta passa al setaccio tutto quello che è accaduto dentro e fuori gli studi di registrazioni per la realizzazione di pietre miliari del rock come gli album Facelift, Dirt, Sap, Jar of Flies e forse il meno riuscito Alice in Chains (noto anche come Tripod) e riesce ad inquadrare nella giusta prospettiva anche il famoso Unplugged, l’album dal vivo registrato il 10 aprile 1996 al Majestic Theatre della Brooklyn Academy of Music, e soprattutto lo stupendo Above dei Mad Season.
Troppo spesso messo in secondo piano rispetto alla produzione degli Alice in Chains, proprio Above dei Mad Season – l’unico disco in studio della band formata da Layne Staley, Mike McCready (Pearl Jam), John Baker Saunders (The Walkabouts) e Barrett Martin (Screaming Trees), con le comparsate di Mark Lanegan in Long Gone Day, I’m Above e Sleep Away – acquista in questo libro un posto di primaria importanza per la vita artistica di Layne
Non ultimo questo libro mi ha dato modo di scoprire e approfondire meglio le produzioni degli Alice senza Staley, come Black Gives Way to Blue, The Devil Put Dinosaurs Here e Rainier Fog, dove le liriche di Jerry Cantrell (chitarrista e cofondatore dei Chains) sono comunque di altissimo livello e la sua voce trova uno spazio più ampio accanto a quella di William DuVall che ha avuto, dal 2006, l’ingrato compito di succedere alla chitarra ritmica e alla voce del compianto Staley.
“In catene” è un libro unico nel suo genere che mette in luce le capacità, la sensibilità e le debolezze di Layne senza troppi filtri dipingendone un ritratto schietto senza edulcorare anche i particolari più oscuri. Contemporaneamente, Ciotta riesce a tratteggiare una descrizione fedele delle avventure della band e della scena musicale di Seattle.
Sperando che questo testo possa essere utile non solo per quelle persone nate negli anni Settanta o all’inizio degli Ottanta ma anche alle generazioni successive, vi lascio una playlist ispirata dalla lettura del libro.
“In catene. I giorni di Layne Staley e degli Alice In Chains” è stato pubblicato per la prima volta da Officina di Hank nel 2019 ed è stato ristampato dall’editore a settembre 2020. Per Giuseppe Ciotta è stato l’esordio come scrittore.
Immagine di copertina via twitter.com/CamiloBroce1