Tunisia: manifestazioni contro i rifiuti italiani illegalmente esportati a Sousse
Nonostante le negoziazioni fra Roma e Tunisi, scrive Le Monde, le autorità italiane tardano a recuperare i 282 container arrivati nel porto tunisino.
Si estende in Tunisia la mobilitazione per richiedere il rimpatrio immediato di circa 7.900 tonnellate di rifiuti illegali importati dall’Italia fra maggio e giugno 2020. Malgrado l’apertura di inchieste giudiziarie, scrive il quotidiano francese Le Monde, i 282 container provenienti dalla Campania in cui sono stoccati rifiuti domestici si trovano ancora nel porto di Sousse.
Gli attivisti presidiano la zona da più di un mese per mantenere la pressione sulle autorità. Giovedì 1 aprile diverse decine di loro hanno protestato anche davanti all’ambasciata d’Italia a Tunisi. «Poubella* ciao!», cantavano in coro, distorcendo le parole del celebre canto antifascista Bella ciao.
Lo scandalo dei rifiuti è stato reso pubblico il 2 novembre 2020 con la diffusione, nel programma di inchiesta tunisino Les quatre vérités, di immagini che mostravano l’interno dei container: avrebbero dovuto trasportare residui plastici industriali e invece contenevano mucchi di immondizia.
Raccolti nei dintorni di Napoli, la loro presenza a Sousse vìola i principi della convenzione di Basilea, ratificata dalla Tunisia, che controlla il movimento transfrontaliero dei rifiuti pericolosi, così come la convenzione di Bamako, che ne vieta l’esportazione verso Paesi africani. Le dogane tunisine avevano allertato fin da giugno diversi ministeri per risolvere il problema. Invano. Nessuna inchiesta è stata aperta prima di novembre.
Watch: Dozens of Tunisian activists protest in the port city of #Sousse to demand the return of nearly 300 containers of household waste illegally imported from #Italy.https://t.co/Vak6EmNWzH pic.twitter.com/aqdXfw9aB5
— Al Arabiya English (@AlArabiya_Eng) March 29, 2021
Documenti falsificati
Secondo il sito di informazione tunisino Inkyfada, che ha lavorato sul caso in collaborazione con il sito italiano IrpiMedia, i rifiuti sono stati inviati a Sousse dalla società italiana Sviluppo Risorse Ambientali (SRA). Il contratto concluso fra quest’ultima e l’azienda tunisina Soreplast prevedeva l’inoltro di 120.000 tonnellate di scarti in totale, al prezzo di 48 euro a tonnellata. Soreplast si incaricava di riciclarli e riesportarli.
Ma, secondo Inkyfada, la società tunisina avrebbe piuttosto avuto intenzione di sotterrare o distruggere questi rifiuti, un processo rigorosamente vietato dalla legge. La Tunisia, che già soffre la saturazione delle proprie discariche, produce quasi 2,8 milioni di tonnellate di immondizia solida ogni anno, di cui il 95% viene interrato.
Secondo i primi elementi dell’indagine, confermati a Le Monde Afrique dal portavoce del tribunale di primo grado di Sousse, Jabeur Ghnimi, alcuni documenti sono stati falsificati da diverse parti riceventi in seno all’amministrazione tunisina affinché i rifiuti giungessero in porto.
Sarebbe coinvolta l’agenzia nazionale di gestione dei rifiuti, specialmente in certi scambi di e-mail per autorizzare la partenza dei rifiuti dall’Italia senza che lo Stato tunisino ne fosse informato. Sarebbero implicati anche alcuni agenti della dogana.
Dozens of Tunisian activists protested in the port city of Sousse on Sunday to demand the return of nearly 300 containers of household waste illegally imported from Italy https://t.co/FUxMX4zBST
— AFP News Agency (@AFP) March 28, 2021
Una dogana «sotto pressione»
Sette persone, fra cui l’ex ministro dell’ambiente, destituito il 21 dicembre 2020, sono ancora in stato di arresto e interrogati nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria aperta dalla procura di Sousse. Anche il laboratorio privato che ha accertato che si trattava di rifiuti in plastica è sospettato di falsificazione. È stato fermato il direttore. In tutto ventisei persone, fra cui vari funzionari di alto livello e alcuni doganieri, sono oggetto di un procedimento giudiziario. Uno dei principali indiziati, il Presidente-Direttore Generale di Soreplast, è invece latitante.
«Per il momento è troppo presto per parlare di corruzione, l’indagine è ancora in corso», mitiga Jabeur Ghnimi. Una prudenza sorprendente tanto più che la dogana a novembre dichiarava tramite il suo portavoce di aver subito «pressioni» in questa faccenda a causa dell’influenza esercitata nella città portuale dal Presidente-Direttore Generale della società Soreplast. Il ministero dell’ambiente ha declinato la richiesta di un’intervista di Le Monde Afrique «per mancanza di tempo».
Malgrado le discussioni intavolate fra Roma e Tunisi, il rimpatrio della spazzatura è continuamente rimandato. Secondo il deputato Majdi Karbai, rappresentante della circoscrizione italiana dei tunisini all’estero per il partito della Corrente democratica, una nuova udienza avrà luogo il 15 giugno. «Fino ad ora, la società italiana coinvolta ha continuamente presentato ricorsi, quindi dubito che la via giudiziaria funzioni, precisa Karbai. Bisogna occuparsi della questione sul piano diplomatico».
Ma per la società civile tunisina, il tempo stringe. «Lo stoccaggio di questi rifiuti da quasi un anno non fa presagire niente di buono in termini di tossicità, si preoccupa Nidhal Attia, responsabile delle politiche ambientali per una fondazione tedesca con sede in Tunisia. Inoltre, sono soldi persi per il porto, perché i container occupano un posto che potrebbe servire a stoccare altre merci».
«Uno scandalo ambientale»
Hamdi Ben Salah, giornalista indipendente fra i primi a lanciare l’allarme a luglio 2019, sa che il tempo gioca contro i militanti. Ex pescatore di Sousse, i suoi contatti gli hanno permesso di avere molto presto informazioni sui rifiuti importati. «Quando ho scritto il mio post di Facebook, non ci sono state molte reazioni. Il Presidente-Direttore Generale della società coinvolto nella vicenda è molto influente nella regione. Abbiamo dovuto aspettare che una trasmissione televisiva portasse tutto alla luce del sole perché lo scandalo scoppiasse. Per mesi abbiamo creduto che la faccenda sarebbe stata insabbiata», racconta Hamdi Ben Salah.
Questa mobilitazione delle associazioni e dei militanti ecologisti è abbastanza inedita per il Paese. A partire da novembre, la rete Tunisia Verde monitora giorno per giorno il dossier sui rifiuti italiani, riunendo i ricorsi della società SRA e i documenti necessari all’indagine.
Professoressa di diritto ambientale e membro di Tunisia Verde, Afef Hammami Marrakchi deplora il fatto che a investirsi nella vicenda sia più la società civile che lo Stato. «Non bisogna considerarlo come un caso di infrazione doganale. È uno scandalo ambientale che mette in luce i problemi di corruzione del nostro paese», ritiene.
A inizio aprile 600 container di rifiuti destinati a divenire combustibile in uno stabilimento tunisino sono stati bloccati al porto di Salerno in seguito al rilevamento di «aspetti gravi». È da quello stesso porto che i rifiuti italiani erano partiti nel maggio 2020. «È una mafia da entrambe le parti, in Tunisia e in Italia. E oggi aspettiamo che lo Stato italiano si assuma le proprie responsabilità e recuperi i suoi container», insiste Mehdi Belhaj, architetto e attivista ecologista.
Traduzione di Sara Concato da lemonde.fr
** titolo originale tradotto: “In Tunisia non si placa la collera della società civile contro i rifiuti italiani illegalmente esportati a Sousse“
Immagine di copertina via twitter.com/hallaboutafrica