La Colombia in rivolta contro il presidente Iván Duque
Da tre settimane il popolo colombiano manifesta contro il presidente colombiano: violenza della polizia e diseguaglianze socio-economiche chiedono interventi immediati.
La tensione in Colombia era scoppiata a fine aprile, dovuta all’annuncio di una riforma fiscale che minacciava austerità e aumenti delle imposte. Ma quando il governo ha fatto un passo indietro, sospendendola, i colombiani non sono rientrati nelle loro abitazioni ma hanno continuato a manifestare nelle piazze, a sbarrare le strade bloccando il traffico la circolazione di cibo e gasolio.
Adesso l’obbiettivo non è soltanto contrastare una riforma che peserebbe gravemente sulla popolazione, ma intavolare un discorso più ampio: per combattere l’ineguaglianza socio-economica che il COVID-19 non ha fatto altro che estremizzare (come in quasi tutto il mondo, del resto) pensando, ad esempio a un reddito base e ad un’università pubblica gratuita o per assicurare maggiore protezioni agli attivisti politici e indigeni. Con il passare dei giorni la situazione si è inasprita, evidenziando un problema già noto: l’abuso di violenza delle forze dell’ordine. Le manifestazioni di questa primavera, infatti, sono state accompagnate da almeno 43 morti decine di feriti e di arresti. E non è la prima volta che accade, in Colombia.
Ma andiamo con ordine. A metà dello scorso mese, dicevamo, il governo ha presentato una riforma fiscale per combattere una congiuntura economica nera dove il PIL è -6,8% rispetto al 2020 e la disoccupazione in costante aumento. La riforma prevedrebbe, visto che è attualmente bloccata, un abbassamento della soglia tassabile dei salari, un aumento delle tasse alle aziende, l’imposizione dell’iva ad un numero maggiore di prodotti e una riduzione generica di sostegni e convenzioni per i cittadini. Una serie di misure che sarebbero dovute entrare in vigore dal 2022 ma che hanno suscitato la reazione immediata dei sindacati dei lavoratori e della classe media e impiegatizia.
Nelle strade di Bogotá si sono riversati in diverse decine di migliaia ma anche altri centri più piccoli sono stati ampiamente coinvolti e dopo 4 giorni di manifestazioni il Presidente Iván Duque ha annunciato la sospensione del testo. Anche il Ministero delle Finanze, Carrasquilla, autore del piano, si era dimesso ma ormai la miccia era accesa e gli animi troppo caldi per raffreddarsi subito: e questo perché i manifestanti sono stati attaccati indebitamente dalle forze dell’ordine.
Da qui, l’escalation che ha spostato il centro dell’attenzione. Il Difensore del Popolo, organo costituzionale che vigila sul rispetto dei diritti umani, ha denunciato almeno 43 morti tra i civili ad opera delle squadre antisommossa impiegate in strada. Human Right Watch sostiene la denuncia: “Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto segnalazioni allarmanti di abusi da parte della polizia, compreso l’uso indiscriminato e letale di armi, detenzioni arbitrarie e percosse”, ha dichiarato il direttore per le Americhe, José Vivanco.
E la tensione è alta perché non è la prima volta che in Colombia si verificano abusi da parte delle forze dell’ordine. Quasi due anni fa, a fine 2019, durante una prima ondata di manifestazioni contro la politica di Duque era stato un ragazzo, uno studente, a cadere per mano di una Squadra Antidisturbo. Lo scorso autunno, invece, una pattuglia torturò a morte a colpi di teaser un altro giovane che teneva in custodia, scatenando l’ira del popolo e trascinandosi altri tredici morti.
Da allora la polizia è nell’occhio del ciclone ed ora i manifestanti richiedono lo scioglimento delle squadre antisommossa ed il processo dei responsabili in tribunali civili, non militari. La richiesta a Duque, quindi, è di una riforma del corpo di polizia: che non dipenda più dalla Difesa ma dagli Interni, che preveda una formazione specifica sull’utilizzo delle armi e che venga istituito un ente di vigilanza esterno che controlli e prevenga eventuali abusi.
Sulla grave tensione socio-politica è intervenuta la comunità internazionale: l’ONU ha ricordato il diritto di manifestazione e protesta nonché l’obbligo di rispettare i diritti umani nell’esercitare il potere da parte della polizia. Tra le nazioni critiche verso l’operato del governo Duque, l’Argentina è forse quella che più duramente si è espressa. Il Presidente Fernandez ha dichiarato: “Spero che il popolo colombiano torni alla pace ed esorto il suo governo a rispettare i diritti umani ed a cessare la violenza istituzionale”.
Pronta e dura la reazione della ex Ministra degli Esteri, ormai dimissionaria, Claudia Blum: “La Colombia rimarrà aperta al controllo internazionale, ma rifiuteremo sempre le dichiarazioni esterne che non riflettono l’obiettività”.
Mentre il dissenso perde l’iniziale carattere pacifico delle prime settimane, si delinea all’orizzonte una crisi politica del governo Duque su palcoscenico internazionale.