A Lucciano è nato “Il Nostro Giardino” della Memoria
A Lucciano, piccolo borgo in provincia di Macerata, rifiorisce una pratica antica, quella di piantare alberi in memoria dei propri cari.
Lucciano, frazione di Pieve Torina, è un piccolo nucleo di quaranta abitanti nell’entroterra maceratese, un borgo di edifici a schiera sistemati per gruppi e poche case in pietra arenaria a vista collocate a macchie nel territorio circostante.
Tutto il paese si articola intorno alla piazzetta irregolare nella quale si trova la chiesa di San Giuseppe, anch’essa in pietra arenaria a vista, con un piccolo campanile a vela che campeggia sulla facciata di ingresso.
Il terremoto del 2016 che ha violentemente colpito il Centro Italia, non ha risparmiato i suoi abitanti, che ancora oggi pagano le conseguenze della sua devastazione e dei ritardi burocratici.
Eppure, in questa località immersa nella natura e distaccata dalle dinamiche metropolitane, le persone rimangono e resistono, perché il paese possa continuare a vivere e a prosperare.
Tra le tante attività avviate a Lucciano, si è sviluppata la pratica del piantare alberi (o semi di albero) in memoria dei cari scomparsi.
Un processo che è partito dalla singola esperienza di un uomo qualche anno fa, che ha pensato di riprendere una tradizione atavica locale per rendere voto alla sorella che intendeva ricordare; piantò una quercia a suggellare il patto di comunanza e di continuità tra l’uomo e la natura.
Poi un ulivo è stato piantato successivamente in sua memoria, e così via fino ad oggi, che l’evento viene praticato come modalità diffusa, richiamando la presenza e la partecipazione di gente al di fuori del nucleo originario del paese, persone che diventano nuovi ‘seminatori’ andando a rimpolpare e modificare fisicamente e socialmente l’assetto del piccolo borgo.
La tradizione si è riproposta nella giornata del 19 settembre 2021, in relazione ai 100 anni di Vincenzo Scapeccia e di Giovanni Salvi, giornata vissuta ancora più intensamente dopo i traumi del terremoto e della pandemia da COVID-19, che hanno distrutto le nostre case e ci hanno isolato dai nostri affetti.
Per l’occasione si è tenuta una Messa celebrata da Don Candido, in cui si sono riuniti parenti, amici e le autorità del luogo, incluso il Sindaco, A. Gentilucci.
Con queste parole, ho accompagnato l’evento:
“Carissimi mi fa piacere stare qui con voi in questo posto, in un luogo tanto amato e che i nostri genitori ci hanno insegnato ad amare.
Ogni volta che torno qui mi sembra di tornare in me stessa nel luogo dove ero io e in cui stavo bene.
E’ qui che ho trascorso tutte le mie vacanze estive ho imparato ad andare in bicicletta, ho trascorso ore a giocare a nascondino, a palla ma anche e soprattutto a badare a me stessa.
Oggi si celebra il compleanno di Vincenzo che avrebbe compiuto 100 anni e anche di Giovanni.
Hanno sempre collaborato insieme.
La parola lavoro era sinonimo di amore.Me li immagino ancora a discutere di qualche progetto, contenti di vederci tutti riuniti.
Vincenzo caro, anzi Scape,
Tuo figlio Marco, continuando la tradizione di questo paese ti ha dedicato un giardino piantando delle camelie.
La tradizione è nata quando morì zia Wanda e il fratello Mario piantò una quercia simbolo di forza tranquilla.
I miei cugini, Guido e Francesca, quando lui è venuto a mancare hanno piantato un ulivo simbolo di pace, speranza.
Più’ guardo queste colline e più mi sembrano le più belle del mondo piene di ricordi di pace di forza e penso ma forse l’eternità è proprio questa”
Ci si è poi diretti verso il giardino del paese, riqualificato e curato per tenere viva la tradizione locale e coltivare uno spazio comune tanto caro ad ogni partecipante.
Tante sono state le nuove piante donate per questa celebrazione, simbolo del rinnovamento e della cura al cuore verde di questo paese.
È stato un momento di comune condivisione e scambio nella riscoperta vera ed autentica armonia tra uomo e natura, tra gli affetti e la condivisione, in quello che oggi possiamo chiamare Il Nostro Giardino.
Di fronte ad un evento traumatico molteplici possono essere le reazioni, dalla rabbia alla paura, in cui la nebbia dell’evento offusca la vita del momento presente.
È l’accettazione attiva, l’integrazione dell’evento nella propria storia che libera l’uomo dalla gabbia del trauma, riscrivendolo all’interno di sé.
Tale accettazione richiede tempo, pazienza, va coltivata, come una pianta, un albero.
Esiste per tutti un luogo dentro e fuori di noi dove rimane intatto l’incanto dell’infanzia, l’io semplice e autentico.
Ed è proprio in quel giardino che ci siamo ritrovati, e che abbiamo scoperto, anche dietro ad una simile celebrazione, un luogo forte della memoria, in cui ci siamo scoperti meno soli.
di Laura Salvi