“I figli del diluvio”: riusciranno i ragazzi a salvare il mondo?
Adulti che non sanno stare al mondo e bambini e ragazzi lucidi, arrabbiati e disillusi. Una favola dal sapore biblico per sperare nel futuro.
Mentre leggevo questo libro, più volte mi è tornata alla mente l’immagine di Greta Thunberg che con faccia disgustata e arrabbiata guarda Donald Trump che passa a qualche metro da lei.
Ma andiamo con ordine.
Alcune famiglie trascorrono insieme le vacanze in una vecchia villa sull’Oceano. Genitori e figli sono due insiemi separati, l’unico momento di aggregazione la cena. I figli (bambini e adolescenti) si vergognano e disconoscono gli adulti cui si accompagnano, tanto da aver persino inventato un gioco in cui nessuno sa chi è figlio di chi. E cercano di nascondere il legame il più a lungo possibile.
A interrompere il fragile equilibrio, fatto di fughe e avventure in mezzo alla natura per i figli e di alcol, tanto alcol e musica imbarazzante per i genitori, arriva un uragano. La villa è allagata, i figli decidono di andarsene: mentre i genitori non dimostrano la minima capacità di reazione, i figli fanno un piano, rubano un paio di macchine, caricano gli animali che ha raccolto il piccolo Jack, novello Noè, e se ne vanno. Ovviamente la situazione è più critica delle aspettative e il loro piano ripiega su una fattoria nell’entroterra. Qui la piccola comunità tenta di sopravvivere.
Tutto viene raccontato dalla voce di Eve. E quindi dal punto di vista dei figli. Lucidi, arrabbiati. Disillusi. C’è una nettissima contrapposizione del “noi” a “loro”.
I genitori sono i colpevoli, hanno rovinato tutto, non perché fosse direttamente colpa loro ma perché non hanno lottato.
Hanno trovato ognuno un angolino, una nicchia e lì si sono chiusi, rinchiusi, perdendo totalmente – se mai ne hanno avuta – capacità di adattarsi e sopravvivere al di fuori del loro circolo ristretto e del loro piccolo mondo. A loro discolpa, ma evidentemente insufficiente, il fatto che siano stati persuasi sin dalla loro nascita che il modo in cui hanno vissuto fosse l’unico percorribile. È stato offerto loro un futuro che non aveva reali possibilità di essere come le migliori televendite lo dipingevano. Hanno creduto in quel sistema e continuano a farlo (come nella scena in cui invece che combattere vogliono fare causa agli uomini che stanno facendo razzia nella fattoria).
Ma la realtà è scollata dal resto, dal desiderio e dall’ambizione di cui possono essersi nutriti e da qualunque posto sicuro che pensavano di aver trovato: da lì la fuga in alcol, droghe e antidepressivi. Gli adulti non hanno gli strumenti per stare al mondo.
Fortissimo nella narrazione è ovviamente il riferimento biblico alla storia di Noè e al diluvio universale.
I titoli – sia quello originale A children’s Bible, sia quello italiano dell’edizione di NN Editore – sono di per sé evocativi. Il tutto rafforzato dal fatto che il piccolo Jack possiede una Bibbia illustrata e la consulta spesso come un libro giallo perché, dice, ha indizi per decifrare il mondo.
Jack ha letto attentamente il libro e ha chiaro che quando si parla di Dio si intende la Natura e Gesù è la Scienza (tenerissima la tabella in cui confrontano, a riprova, le cose che entrambi, Gesù e la Scienza, sanno e possono fare).
Al lettore non possono sfuggire quindi le altre allegorie in cui gli uomini empi del testo biblico sono tutti coloro che nel corso dei secoli non hanno rispettato la Natura, hanno rovinato il mondo o non hanno lottato per esso. Sono gli adulti responsabili di quello che sta succedendo.
I figli, soprattutto i bambini più piccoli, sono i nuovi Noè che, a differenza degli adulti, hanno capito cosa è importante.
E accanto a loro possono stare solo gli adulti che sono rimasti più vicini alla Natura, come il minuto Burl che vive nella foresta e fa il custode per la fattoria, o gli angeli dei sentieri che percorrono chilometri e chilometri per lasciare sulle vie cibo e acqua. Sono persone, Burl e gli angeli, che la nostra società, ancora troppo permeata di una visione del mondo dura a morire, considera un po’ freak, strambi, fuori dal mondo. Quando forse sono tra i pochi che ci sanno stare, al mondo.
La scrittura si adegua al punto di vista dei ragazzi, anch’essa dritta, con l’uso del presente storico e le incursioni del passato a raccontare eventi precedenti. È il racconto di ciò che è stato ma raccontato da un dopo imprecisato. Eppure proprio l’utilizzo del presente storico della traduzione di Gioia Guerzoni ci immerge nelle vicende.
Forse ci sono un paio di ingenuità nella struttura narrativa che però non ne minacciano l’impianto complessivo e anzi contribuiscono a rafforzare l’elemento fantastico di questa storia. E non ne negano al contempo la verosimiglianza con la realtà o con quello che la realtà potrebbe restituirci.
I figli del diluvio
Lydia Millet
NN Editore, 2021
pp. 208, € 18