India in rivolta contro la riforma agraria
Da quasi un anno gli agricoltori indiani manifestano contro una riforma che liberalizza il mercato lasciandoli al confronto con il grande business.
É stata definita la più estesa e duratura protesta della storia dell’India libera: scioperi, manifestazioni e sit-in sono diventati la normalità. É da quasi un anno – dallo scorso novembre – che i contadini indiani scendono in strada in tutto in Paese, a Dehli così come dal Kerala all’Utter Pradesh e dal Punjab all’Hiryana, per chiedere la revoca della riforma agraria voluta dal Bharatiya Janata Party (BPJ) del Primo Ministro Narendra Modi.
Il malcontento tra gli agricoltori, possidenti e non, era stato immediato per una riforma approvata dal governo senza una previa contrattazione con sindacati ed organizzazioni di settore. Da quel momento sono iniziate chilometriche marce dal nord al sud del Paese a bordo di bus, trattori e motociclette, che hanno coinvolto decine di migliaia di manifestanti, agricoltori insoddisfatti e loro simpatizzanti: col perdurare della situazione la repressione da parte delle forze dell’ordine è diventata sempre più aspra e gli animi hanno finito per scaldarsi e portare a un’escalation di tensione che ha contato almeno 200 morti, a inizio anno.
Domenica 2 ottobre, a seguito di uno sciopero di alcuni giorni prima, la situazione è tornata a farsi grave: durante una manifestazione in Utter Prasdesh, lo stato più popoloso situato nel nord dell’India, un’auto aveva volontariamente investito un gruppo di manifestanti, uccidendone quattro. Il veicolo era di Ashish Mishra, figlio del ministro degli Interni Ajay Mishra, attualmente agli arresti. Altre quattro persone sono morte negli scontri che ne sono seguiti – si trattava del conducente della vettura, dei passeggeri e di un giornalista.
Pryanka Ghandi, leader dell’opposizione al Congresso Nazionale (INC), ha chiesto allo stato federale le dimissioni del Ministro per il coinvolgimento del figlio nell’accaduto e per il fatto che il veicolo fosse a lui intestato. Oltre all’INC, principale forza oppositrice, in questi mesi altri schieramenti politici hanno sostenuto i contadini – tra essi, il Partito dell’uomo comune (AAP), e le formazioni socialiste e comuniste.
Il malcontento degli agricoltori – 650 milioni di individui, sostanzialmente la metà della popolazione indiana – è dovuto alla liberalizzazione del mercato agricolo. La riforma – denominata “tre leggi” – prevede che la trattazione tra contadini e commercianti si svolga senza vincoli di prezzo, al di fuori da mercati regolamentati dallo stato o da sedi fisiche previste dalle varie legislazioni statali e a diretto contatto con i privati (catene di supermercati, grandi drogherie, rivenditori online).
Uno stravolgimento in un mercato che, fino ad un anno fa, era stato fortemente gestito da intermediari e regolamenti statali. Per Modi l’atto di riforma è una “Legge che libererà gli agricoltori da vincoli predeterminati, garantendo investimenti privati e introiti maggiori”. Di avviso differente i principali “beneficiari” della riforma, i contadini: dobbiamo tenere in considerazione che la stragrande maggioranza dei coltivatori in India non arriva a possedere due ettari di terreno.
Farmers in India vowed to intensify their months-long protest against laws aimed at liberalizing agriculture as tension flared a day after eight people were killed in clashes between growers and ruling party supporters https://t.co/l1f6lZxNNV 1/6 pic.twitter.com/j15xgg2o0h
— Reuters (@Reuters) October 4, 2021
Si tratta, quindi, di piccole realtà che adesso temono di non poter fronteggiare con le proprie forze il mercato privato appena istituito in India: il timore è che i grandi distributori riescano a fare scorte e gestire, di conseguenza, i prezzi a seconda della disponibilità da loro stessi determinata andando al di sotto dei “prezzi minimi” ad oggi garantiti. La riforma, inoltre, non prevede una regolamentazione articolata circa la gestione dei “rapporti diretti tra privati”.
L’interventismo statale, insomma, aveva fino ad oggi protetto i contadini che, comunque, non hanno mai versato in una rosea situazione. L’agricoltura, infatti, non rappresenta che il 6% del PIL: la produttività è in declino da anni, gli appezzamenti si stanno riducendo e il settore non è modernizzato. I prezzi, anche se con un minimo garantito, sono comunque erratici. Gli agricoltori, per lo più, faticano ad arrivare ad una soglia di dignità e la riforma agraria è percepita come un attentato a questo minimo.