Somalia, è ancora scontro tra Farmajo e Roble

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Con lo spoglio dei risultati elettorali ancora in corso, Presidente e Premier si accusano reciprocamente: il rischio è lo stallo delle presidenziali. Intanto, i jihadisti di Al Shabaab avanzano.

Si è aperto un nuovo capitolo della grave crisi istituzionale che affigge la Somalia da quasi un anno. Il Presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, conosciuto come Farmajo dal suo popolo e all’estero, ha inferto un altro colpo dei suoi. A farne le spese, ancora una volta, è stato il Primo Ministro Mohamed Hussein Roble, sospeso dalle sue mansioni il 26 dicembre. Il premier somalo, infatti, sarebbe accusato di acquisizione fraudolenta di alcuni terreni assieme al Capo della Marina Abdihamid Mohamed Dirir – anch’egli sospeso dai suoi incarichi.

Secondo fonti presidenziali, Roble sarebbe coinvolto in un sistema di corruzione nella gestione di terre demaniali. Pronta è arrivata la risposta del Premier, che ha accusato il Presidente di aver messo in atto “un colpo di Stato indiretto e un’azione contraria alla nostra Costituzione”. Al momento, Roble non ha intenzione di recedere dalla propria posizione e, anzi, ha alzato il tiro incitando le forze armate a non rispondere agli ordini presidenziali.

Per il Presidente, “Roble rappresenta una seria minaccia per il processo elettorale e oltrepassa i compiti del suo mandato“. Di rimando, l’ufficio del Premier ritiene che Farmajoabbia speso così tanto tempo, energia e risorse finanziarie per contrastare le elezioni che è quasi riuscito nell’intento“.

La tensione di questo inizio anno non è che conseguenza di un contrasto tra due parti, Farmajo e Roble appunto, che si è esteso ai vertici politici di tutte le entità statuali federali e che, adesso, sta avendo ripercussioni su una estenuante e controversa tornata elettorale.

Ma andiamo con ordine, cercando di spiegare l’origine di questa crisi che divide la Somalia. Lo scorso febbraio, Farmajo (in carica dal 2017) procrastinò la convocazione delle parlamentari, con l’evidente scopo di ritardare la scadenza del proprio mandato. Non a caso, nel mese di Aprile il Presidente indisse in modo unilaterale la proroga del proprio mandato per altri due anni. L’opposizione, spalleggiata da Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito, aveva rigettato la decisione definendola incostituzionale. La proroga, infatti, fu approvata solamente dalla Camera Bassa, mentre il Senato ha bocciato il provvedimento. Di fatto, la legittimità della presidenza Farmajo venne meno.

A quel punto, scoppiò una tensione politica le cui ripercussioni andarono ben oltre gli interessi della classe dirigente. A Mogadiscio, e in altre città della Somalia, gli scontri furono numerosi e violenti. Per calmare le acque, Farmajo dovette accettare di indire le elezioni per l’autunno, incaricando Roble dell’organizzazione delle stesse. Ma a Settembre arrivò un nuovo colpo di scena: Farmajo esautorò Roble, inibendolo della capacità di assumere e licenziare funzionari statali. Tuttavia, il Presidente tornò ancora una volta sui propri passi, restituendo i poteri al Premier.

Sullo sfondo delle recenti accuse di corruzione verso Roble, per l’opposizione si profila l’intenzione di prendere tempo. Il sistema elettorale somalo prevede l’elezione diretta dei 275 deputati della Camera Bassa, mentre i cinque stati federali eleggono i 54 rappresentanti alla Camera Alta. Successivamente, le due ali del Parlamento saranno chiamate ad esprimere congiuntamente la propria preferenza per la nomina del Presidente.

Le elezioni sono state indette a novembre e lo spoglio si sarebbe dovuto concludere per il 24 dicembre. Tuttavia, al momento sono stati confermati solo 24 deputati su 275. Un susseguirsi di irregolarità procedurali continua a minare la credibilità dell’intero processo elettorale, rischiando di arrestarlo definitivamente.

La Somalia conta circa 15 milioni di abitanti e, lo ricordiamo, è indipendente dal 1991, da quando si liberò della dittatura di Siad Barre, che durava dal 1969. Il percorso di stabilizzazione del Paese non è mai stato semplice. Dall’indipendenza ai giorni nostri, diverse sono state le fazioni in guerra tra loro, che si sono alternate al governo lasciando il Paese in uno stato di perenne divisione e di continua crisi umanitaria.

In questo vuoto di potere, nel 2006 ha trovato terreno fertile il gruppo jihadista di Al Shabaab. Radicato soprattutto nelle aree rurali della Somalia, l’organizzazione ha seminato il terrore, lasciando migliaia di morti in attacchi terroristici con obiettivi civili, militari e governativi. L’ultimo episodio si è verificato lo scorso 1° gennaio a Balcad, 30 chilomentri a nord di Mogadiscio, provocando 4 vittime e 8 feriti.

L’impasse elettorale non farà che aggravare questo scenario. Anche per questo la comunità internazionale si è dimostrata critica. L’ambasciata USA, ad esempio, ha esortato su Twitter “i leader della Somalia ad adottare misure immediate per ridurre le tensioni a Mogadiscio, astenersi da azioni provocatorie ed evitare la violenza“.

Sara Gullace

Immagine di copertina via twitter.com/NationAfrica

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