“Primo piano interno tre”, romanzo di Valentina Evangelista dalle diverse sfumature
Primo piano interno tre, esordio di Valentina Evangelista per la casa editrice romana, è un romanzo molto godibile. Ma non non lasciatevi ingannare dalle prime pagine: analogamente a quello che spesso avviene nella vita, non sempre la prima impressione è affidabile. O, se non altro, la realtà è più complessa di ciò che può sembrare a primo acchito.
“Primo piano interno tre” di Valentina Evangelista, pubblicato da Edizioni Ensemble (casa editrice che avevo già avuto modo di apprezzare) nel giugno 2021, è un romanzo un po’ sornione che si presenta nei primi capitoli come una commedia contemporanea. Scene da interno, i personaggi che interagiscono tra loro attraverso le finestre dei rispettivi appartamenti situate l’una di fronte all’altra. E questa è una prima identità del romanzo, condita tra l’altro da un pizzico di surrealismo.
Al centro della scena, infatti, ci sono la voce narrante, Livio, e il suo vicino di casa, entrambi passati a miglior vita un paio d’anni prima.
Sono morti a breve distanza l’uno dall’altro, il primo si è tagliato le vene nella vasca da bagno, il secondo ha avuto un infarto qualche tempo dopo. Ma non sono andati da nessuna parte: sono rimasti intrappolati nel luogo in cui è avvenuta la loro dipartita, ovvero le loro abitazioni. I due, che in vita non si sopportavano e litigavano a ogni occasione, ora sono costretti l’uno alla compagnia dell’altro e, anche da morti, continuano a bisticciare.
Si unisce a loro un terzo defunto, la signora Moretti che, uscita in cortile a cercare il gatto, cade e batte la testa e in quello stesso cortile il suo spirito rimane così intrappolato.
L’aria da commedia prosegue, con i due protagonisti che interagiscono attraverso le finestre e commentano la vita che scorre nel cortile di sotto e sbriciano i vivi che occupano ora i loro appartamenti. Il fratello di Livio, Sandro, dopo aver affittato l’appartamento a diversi inquilini, ogni tanto vi passa del tempo nei periodi in cui è libero. Fino a quando non lo affitta a Giulia.
Man mano che la narrazione prosegue si aggiunge una riflessione più profonda sulla famiglia, le relazioni, l’inadeguatezza alla vita.
Livio non è stato in grado di affrontare la vita, ha assunto per tutta la sua breve durata un approccio nichilista e spesso autodistruttivo.
Non solo non ho mai avuto amici, ma neanche un animale domestico, e la ragione è che avrei dovuto prendermene cura e avrei rischiato di affezionarmici. Sempre in difesa io. […] La vita era una merda, tanto valeva accettarlo e continuare a galleggiarci tenendo la testa più sollevata possibile per non farmi una disgustosa bevuta.
A un certo punto ha trovato uno sfogo nella scrittura creando, sotto pseudonimo, una fortunata serie di romanzi polizieschi con una protagonista bella e tosta.
Si somma dunque alla commedia e al romanzo più introspettivo una terza sfumatura di shelliniana (Mary, non Percy B.) memoria, con una riflessione sul rapporto tra creatore e creatura.
La storia si dipana così in modo assolutamente imprevedibile. Ma l’impianto narrativo tiene, a patto ovviamente che il lettore accetti l’elemento non realistico della presenza di spiriti e non metta troppo in discussione almeno un altro elemento che non svelo. Il risultato è un romanzo con diverse sfumature, che passa attraverso i colori più scuri nella parte centrale per poi lasciare intravedere una nuova luce nel suo finale.