Come la gif è diventata una roba da antichi

Tempo di lettura 4 minuti
Onnipresente su Internet, i giovani ormai non la usano quasi più, l’immagine animata è ormai associata ai «boomer», come racconta Vice.

«Ogni volta che vedo qualcuno postare una reaction gif, so subito che quella persona ha più di 33 anni». Frasetta divertente, ma crudele, che qualche mese fa ha scatenato le ire di migliaia di persone su Twitter.

Però bisogna farsene una ragione. Dopo l’emoji che piange dal ridere, ora tocca a un altro emblema degli anni 2010 uscire di moda. «Spiacenti, le gif ormai sono per i boomer», scrive Vice in un articolo dedicato alla perdita di prestigio di questo formato di immagine animata (pronuncia «jif»), nato negli anni ’80 e tornato alla ribalta agli inizi degli anni 2010 – è stato d’altronde parola dell’anno nel 2012 per i lessicografi dei dizionari di Oxford University Press.

«Non serve andare lontano per trovare tweet o video di TikTok che prendono in giro le gif, come appannaggio delle persone attempate – eh sì, oggi, anche i millennial sono vecchi», racconta la giornalista Amelia Tait sul sito statunitense. «Con l’aumento della popolarità dei meme [oggetti culturali ripresi e riorientati] e di Instagram, le gif si sono fatte più rare e sono passate di moda», testimonia una ventottenne produttrice di podcast londinese, interrogata dai nostri colleghi.

Ma in che modo la gif, così popolare e onnipresente nelle nostre chat, è diventata così antiquata? In effetti, arguisce Vice, è proprio questa popolarità ad aver causato la sua rovina. Per anni la gif è stata un segreto condiviso da quello che in fondo era un gruppetto di utilizzatori. Alcuni le creavano da sé. Altri con assiduità le depositavano in cartelle dopo ore passate a cercare, soprattutto su Tumblr, per tirar fuori la perla rara al momento giusto con lo scopo di esprimere un preciso umore, una reazione.

Democratizzazione

Poi Google nel 2013 ha creato uno speciale filtro per cercarle. Sono anche apparse banche dati di gif, che hanno reso più facile il lavoro di ricerca. D’altronde è nel 2013 che è nata Giphy, la più famosa di tutte. Queste gigantesche biblioteche – che hanno reso la «gif di reazione» tanto comune che alcuni marchi hanno creato le proprie immagini pronte da riusare, per un po’ di pubblicità facile – hanno finito per essere integrate a chat per il grande pubblico come WhatsApp e sui social network come Facebook, preoccupati di aggiungere nuove funzionalità. «Il tasto gif su Twitter? Funziona (in parte) grazie a Giphy. Facebook? Ancora Giphy. Le tastiere dei telefoni? Idem. Le applicazioni di messaggistica? Ovviamente. Le e-mail? Naturalmente. Tinder? Sì. Slack? Ovvio…», sintetizzava il sito Popular Mechanics nel 2018. Non è un caso se Facebook ha sborsato 400 milioni di dollari per acquistare Giphy nel 2020.

Vice sottolinea peraltro che durante i lockdown molti papà, molte mamme, e anche nonni, hanno, anche loro, scoperto le gioie della condivisione di gif. Ad aprile 2020 Giphy d’altronde annunciava un rialzo del 33% dell’uso di gif rispetto al mese precedente.

Questa democratizzazione è avvenuta però senza una fetta della popolazione più giovane, che non ha voluto riprendere i codici delle persone più anziane: «La generazione Z forse pensa che le gif siano riverite dai millennial, ma, al tempo stesso, molti millennial iniziano a vedere le gif come il giocattolino dei boomer», scrive Vice.

E alcuni erano tanto più nauseati di vedere nuove persone adottare le gif, dal momento che non ci si impegnavano quanto loro avevano fatto in passato. «La democratizzazione crea un sentimento di disgusto in persone che si sentono come degli iniziati. È da anni una questione centrale nel processo di produzione culturale su Internet», spiega Whitney Phillips, docente di comunicazione all’università di Syracuse (New York).

«Pessimo tentativo di battuta»

Questo fenomeno non riguarda solo le gif. Nel suo libro This is Why We Can’t Have Nice ThingsEcco perché non possiamo avere cose gradevoli», MIT Press, 2015, non tradotto), l’insegnante racconta lo sgomento di certi internauti che vedevano i loro meme svuotarsi di ogni senso nel corso della loro diffusione, specialmente al loro arrivo su Facebook.

Le gif a volte sono anche viste come un modo un po’ pigro di rispondere, spiega a Vice Linda Kaye, docente di cyberpsicologia all’università Edge Hill (Gran Bretagna). Per Erika Gajda, produttrice di podcast londinese citata da Vice, inviare una gif in reazione a qualcosa somiglia a «un pessimo tentativo di battuta… come se una persona non fosse abbastanza originale da trovare da sola qualcosa di simpatico». E, come ricorda Whitney Phillips, «più gif ci sono, meno vengono considerate come piccoli tesori o regali che si fanno. Ormai basta cliccare sul tasto di ricerca e digitare una parola».

Ciò spiega anche perché vengano fuori sempre le stesse gif. D’altronde il giornalista americano Casey Newton, specialista in tecnologie, avanza questo argomento per spiegare, in parte, la perdita di appeal della gif: «Credo che uno dei motivi per cui le persone pensano che le gif siano una roba da vecchi è che il risultato delle ricerche su Twitter fa venire sempre fuori le stesse sei o sette e nient’altro».

Quindi è il caso di abbandonare le gif? Non necessariamente, arguisce Jenny Zhang, che aveva provocato le ire di migliaia di utenti Twitter col suo post a marzo 2021: «Potete esprimervi come volete on line purché in maniera sana. Bisogna giusto che sappiate che persone più giovani penseranno probabilmente che abbiate più di 33 anni», affermava, divertita, ad aprile 2021, in un podcast di Slate.

E per chi non vuole abbandonarle c’è forse un segnale di speranza. Come nella moda, su Internet tutto è ciclico. E la gif non sarebbe alla sua prima resurrezione. Come conclude Vice, «può darsi che gli alti e i bassi della popolarità della gif siano un riflesso ironico del formato stesso, destinato a ripetersi continuamente». In un loop infinito.

Traduzione di Sara Concato via lemonde.fr, vice.com

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