Argentina e FMI: un accordo che preoccupa il Paese

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Nuove manifestazioni di dissenso per la ristrutturazione di un debito che la piazza vuole annullare.

L’Argentina scende in piazza per dire “no” al patto con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Lo scorso 8 febbraio un corteo di 200 raggruppamenti ha sfilato fino a raggiungere la casa Rosada e gridare “No al debito esterno” e “No al Patto con il FMI”. Tra i movimenti scesi in piazza, vari gruppi sindacali, sociali e studenteschi oltre a formazioni e partiti di sinistra.

Lo scontento è dovuto al mantenimento del debito con il fondo, che per larga parte della popolazione è recepito come soffocante oltre che illegittimo. Già lo scorso Dicembre, quando la negoziazione tra governo e FMI era nel pieno dello sviluppo, si respirava aria di sommossa: nella capitale, ma anche a Rosario ed a Salta, organizzazioni sindacali e politiche si erano posizionate contro il processo di negoziazione.

All’epoca, era stata Celeste Fierro, leader del Movimento Socialista dei Lavoratori, a riassumere il dissenso contro un sistema che, a detta dei manifestanti, affamava la popolazione argentina. La portavoce del MST ha affermato che “il debito è una truffa: si tratta di soldi usciti con la fuga di capitali per sostenere la campagna elettorale di Macri. Soldi che non sono mai stati spesi per risolvere i problemi strutturali del Paese”. Oggi, l’opposizione è ancora preoccupata che il piano porti più miseria e inflazione, più licenziamenti e più povertà per la maggioranza degli argentini.

Il debito in questione è legato al prestito di 57 miliardi di dollari che nel 2018 l’allora presidente Mauricio Macri contrasse per far fronte alla crisi monetaria, da cui il Paese ha recepito 44 milioni. Secondo quanto pattuito quattro anni fa, tra capitale e interessi l’Argentina avrebbe dovuto restituire al FMI 19 miliardi quest’anno, 19,27 nel 2023 e 4,856 nel 2024: oltre 40 miliardi in 3 anni. Un piano proibitivo, per cui è stato necessario intervenire con una ristrutturazione.

Dopo due anni di trattative, il governo guidato dal Ministro dell’economia, Martín Guzmán, ha concordato con il Fondo Monetario Internazionale un nuovo programma per cui i pagamenti si spalmano nel prossimo decennio, fino al 2032 – ma partono dal 2024. Il compimento del percorso sarà monitorato dallo stesso FMI trimestralmente, pena la sospensione dell’accordo.

La ristrutturazione comporterà un serio impegno da parte del governo argentino. Innanzitutto, significherà un progressivo abbattimento del deficit fiscale, che nel 2025 dovrà essere pari a 0,9% del PIL (oggi è al 3%). Dunque si tradurrà in una progressiva deflazione: nel 2021 l’inflazione argentina ha sfiorato il 51%, per l’aumento della spesa in ambito tecnologico e scientifico e la parallela riduzione dei sussidi nel comparto energetico. L’accordo prevede, inoltre, l’implementazione della politica monetaria, un ulteriore appoggio finanziario dei partner esteri del Paese e la definizione di tassi di interesse reali.

Per il presidente Alberto Fernandez, in carica dal dicembre 2019, è stato raggiunto un accordo “ragionevole, che non prevede restrizioni che ritardino il nostro sviluppo. Il patto – ha spiegato – non ci obbliga a riformare il lavoro né di rinunciare alla spesa sociale. Avevamo un debito impagabile – ha ammesso – un cappio al collo”.

Ma il sistema di “aiuti”, chiaramente, comporta una relazione di dipendenza che scontenta e preoccupa parte della popolazione, generando scontento anche in parlamento: Maximo Kirchner si è dimesso da capogruppo alla camera di Frente de Todos, partito di coalizione che sostiene il Presidente. Direttamente da Plaza de Mayo anche Myriam Bregman, voce di spicco della coalizione socialista Frente de Izquierda, accusa la maggioranza al governo di aver scelto la strada peggiore per la popolazione: “Ma noi rispondiamo chiaramente che non ci convinceranno che l’unica opzione che ci resta è quella di piegare la testa”.

L’impegno che il Paese ha preso nei confronti del fondo suscita perplessità, tensioni e malcontento: è stato lo stesso FMI, del resto, a sottolineare l’insuccesso del piano precedente stilato da Macri. Il prestito avrebbe dovuto correggere problemi strutturali quali la finanza pubblica, gli squilibri fiscali e la dollarizzazione, rinforzando le politiche monetarie e l’esportazione e riducendo l’elevata inflazione che da anni affligge il Paese.

Difatti l’inflazione è un tasto dolente per gli argentini: secondo gli analisti della Banca Centrale le previsioni sono ancora aspre. Si parla, infatti, del 55% per l’anno in corso, del 45% per il successivo e del 35% nel 2024. E il tasso di povertà, che nel 2021 superava il 40%, è in rialzo rispetto al 2018 (anno del prestito) quando stava al 32%.

In questo scenario e con questi precedenti, gli argentini non si fidano più di accordi esterni mentre il Governo è abbastanza sicuro che il Congresso ratificherà l’accordo entro la fine di Marzo.

Sara Gullace

Immagine di copertina via twitter.com/AmerQuarterly

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