Behrouz Boochani: “Sento una vera connessione con la Nuova Zelanda”

Tempo di lettura 5 minuti
Il giornale neozelandese Stuff ha intervistato Behrouz Boochani, attivista politico, giornalista e scrittore, perseguitato per essere a favore dei diritti dei curdi.

Chiunque segua Behrouz Boochani su Twitter sa che non è un grande fan dei politici australiani. In particolare, per quanto riguarda la loro abitudine di incarcerare i richiedenti asilo in posti inospitali come l’isola di Manus (noi di Ghigliottina ne avevamo parlato qui), nella quale il trentottenne ha trascorso sei anni di prigionia, agli arresti per conto del governo australiano.

Ex giornalista investigativo nella sua terra d’origine, l’Iran, Boochani è stato perseguitato per essere a favore dei diritti dei curdi, è fuggito in Australia nel 2013 dove è stato rinchiuso nella struttura di detenzione della Papua Nuova Guinea, struttura che in seguito è stata dichiarata illegale. Boochani è arrivato a Christchurch nel 2019 e qui nel 2020 gli è stato garantito lo status di rifugiato.Boochani continua la sua lotta a favore dei richiedenti asilo, delle persone marginalizzate e dei diritti degli indigeni in tutto il mondo.

Behrouz Boochani lo scorso gennaio ha incontrato Sharon Stephenson per parlare del proprio lavoro e della sua partecipazione al prossimo Womad Festival (cancellato, si sarebbe dovuto svolgere dal 18 al 20 marzo 2022, ndr).

Dove sei nato?
Sono il secondogenito di cinque figli, nato in Kurdistan, nell’Iran occidentale. La mia era una famiglia di allevatori di pecore e capre.

Cosa avresti voluto fare nella vita?
Il mio cuore era deciso a diventare un giocatore di calcio! Seguo il Barcellona e Ronaldinho era il mio giocatore preferito. Volevo vincere una coppa del mondo.

Invece sei diventato giornalista e attivista politico.
In un certo senso sono stato costretto a diventarlo perché i curdi sono stati esclusi dal sistema e noi stavamo perdendo la nostra cultura. Avevo 18 anni quando ho iniziato a resistere. Scrivevo di nascosto perché avevo paura per la mia vita.

Perché hai lasciato l’Iran?
Nel 2012 lavoravo per una rivista culturale quando alcuni dei miei colleghi furono arrestati. Presi un volo per l’Indonesia a maggio del 2013 e pensavo che il mio caso sarebbe stato gestito dall’Alta Commissione per i Rifugiati delle Nazioni Unite. Ma ciò non accadde e non fu sicuro per me vivere in Indonesia, per questo motivo sono salito su un barcone diretto in Australia.

È stato un viaggio pericoloso?
La prima barca si è spaccata dopo 40 ore di navigazione. Fui arrestato in Indonesia ma scappai di prigione e salii su un’altra barca. C’erano 65 persone a bordo e ci volle una settimana per arrivare in Australia. Fummo arrestati non appena arrivammo e ci portarono sull’isola di Manus.

Lì hai trascorso sei anni di quello che tu chiami trattamento disumano.
Ho visto amici morire uccisi da colpi di arma da fuoco o pugnalati dai secondini mentre altri sono morti per mancanza di cure mediche o si sono suicidati. Anche la tortura psicologica dell’essere privati della speranza è stata immensa.

Ti ha spinto a raccontarlo a tutto il mondo.
Ho iniziato a scrivere articoli per il Guardian Australia e per il Sydney Morning Herald su un telefono di contrabbando, inviando messaggi che venivano tradotti. Volevo che il mondo sapesse in che modo erano trattati sia i detenuti che i nativi del posto.

Suppongo che non sia andata a finire bene con le autorità.
Mi confiscarono il telefono due volte e dovetti introdurre di nascosto altri telefoni. Ma sapevo che dovevo continuare a scrivere.

Questa scrittura si trasformò alla fine in un documentario?
Per sei mesi ho girato di nascosto materiale sulla vita nel centro di detenzione, inviando le ore di girato a un collega iraniano nei Paesi Bassi che lo ha trasformato in “Chauka, Please Tell Us the Time”. Un critico lo ha definito “un film indispensabile per tutti gli australiani” e il documentario è stato proiettato nei festival di cinema in giro per il mondo, inclusi Londra, Berlino e Gothenburg.

In seguito, è arrivata la tua autobiografia Nessun amico se non le montagne – Scritti dalla prigione di Manus.
Ho scritto circa 100.000 parole per questo libro, battute nei messaggi di testo. Ho scritto tantissimi messaggi.

Sei stato invitato a parlare del tuo lavoro al Word Christchurch nel 2019. In che modo questo ha cambiato la tua vita?
Quando sono arrivato in Nuova Zelanda ho fatto richiesta di asilo politico e finalmente nel 2020 mi è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Che cosa hai fatto quando sei arrivato qui?
Ho trascorso un anno presso il Centro di Ricerca di Ngāi Tahu e ho lavorato a due progetti. Uno di questi è uno spettacolo teatrale sul numero sproporzionato di aborigeni australiani in custodia e sulla vita nei centri di detenzione di immigrazione australiani. Lo spettacolo si chiama Jurrungu Nga-ga ed è in collaborazione con la prima Compagnia Interculturale di Danza degli Aborigeni Australiani. La prima mondiale sarà al Sydney Festival alla fine di gennaio.

Stai ancora scrivendo?
Un altro progetto in cui sono stato coinvolto è stato fare da redattore ospite per un quotidiano australiano che si chiama Southerly. Il numero riguardava il lavoro dei rifugiati e di coloro che sono stati in prigione nei centri di detenzione. Sto lavorando anche ad un libro di narrativa ma sono talmente impegnato che mi sembra sempre di non avere abbastanza tempo per scriverlo. Spero di terminare entro il 2022.

Sei anche richiesto come speaker in tutto il mondo, giusto?
Parlo in tutto il mondo attraverso Zoom, specialmente nelle università, del problema della marginalizzazione delle culture indigene e dei rifugiati. La scorsa settimana ho tenuto un discorso per un’università svedese.

Cosa fai quando non lavori?
Le persone di Canterbury potrebbero avermi visto in bici in giro per la città. Mi piace andare in giro per Hagley Park. Qualche volta gioco anche a calcio.

La Nuova Zelanda attualmente è la tua casa?
Sebbene gran parte del mio lavoro sia basato in Australia, fisicamente mi trovo a Christchurch. Qui sto bene e ho fatto amicizia in tutto il Paese. Sento una sincera connessione con la Nuova Zelanda e sto imparando tanto sulla resistenza degli indigeni e sul processo di decolonizzazione in questi luoghi.

Di cosa parlerai al Womad*?
Della storia della colonizzazione che ancora esiste in Australia. Il loro governo esilia le persone verso le isole ed espropria le terre dei nativi di quei posti per farvi abitare queste persone. Siamo entrambi trattati male, perciò insieme possiamo farcela, possiamo opporre resistenza al sistema.

Traduzione di Maria Laura Canori via stuff.co.nz

Immagine di copertina via facebook.com/stoptheboatsmovie

*evento cancellato come abbiamo già scritto in questo articolo

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