“L’anima degli altri”, il tesoro ritrovato di Alba de Céspedes
Ripubblicato di recente da Cliquot il libro d’esordio di una fra le più importanti autrici del Novecento.
Lo abbiamo detto per Anna Maria Ortese e per Grazia Deledda, lo ripetiamo per Alba de Céspedes. È davvero tempo di forzare i cardini di un canone parziale e stantio, facendo sì che queste voci entrino di diritto nei manuali e nei programmi scolastici.
Ci risuona nella testa una frase, dalle ultime pagine del saggio di Valeria Palumbo, Non per me sola: «Le ragazze, oggi, siedono sulle spalle di giganti. Ed è bene che lo sappiano» (p. 205). Il saggio di Palumbo è un mirabile affresco della storia delle donne italiane attraverso i romanzi che le donne hanno scritto. Perché esiste un racconto diverso da quello dominante, un racconto finora poco ascoltato che si scolla dalla visione prettamente maschile, miniera di archetipi e stereotipi che hanno plasmato e continuano a plasmare la nostra mentalità e le nostre idee. Un racconto che ha il diritto di entrare nelle scuole e nelle antologie.
Se avessi voluto cercare Alba de Céspedes sul manuale di letteratura del liceo, non ne avrei trovato traccia. Neanche un trafiletto. Eppure è stata un’autrice eccezionale, di successo, dal talento precoce e sbalorditivo. «Dovrebbero esserci residenze e festeggiamenti e biografie, e i suoi testi dovrebbero essere studiati a scuola», ci dice Loredana Lipperini nella prefazione de L’anima degli altri. Su di lei, invece, è calata una specie di nebbia. Non è neanche facile trovare i suoi libri. Per quanto esista un Meridiano Mondadori a lei dedicato, l’opera di Alba de Céspedes è al limite dell’oblio, forse anche perché su di lei avevano attaccato la fastidiosa etichetta di letteratura «rosa», un’etichetta che probabilmente mirava a svilirne il talento.
Non è facile riassumere in poche righe la vita intensa e impegnata di Alba de Céspedes. Possiamo sottolinearne due tratti, importanti e interconnessi: il cosmopolitismo e la passione politica e culturale. Figlia di madre italiana e padre cubano, ambasciatore di Cuba a Roma, trascorre l’infanzia fra Roma e Parigi, ma spostamenti geografici e permanenze all’estero (Cuba in primis) la accompagneranno per tutta la vita, dandole la dimestichezza linguistica e l’ampio respiro di una mente che oltrepassa i confini. Alba de Céspedes era anche nipote di Carlos Manuel de Céspedes y Borja del Castillo, leader indipendentista e primo presidente della Repubblica cubana. Il contesto familiare in cui nasce ci fa capire come la passione politica e civile l’animasse fin da piccola. E fin da piccola manifesta la propensione per la scrittura. In un’intervista a Sandra Petrignani disse: «Avevo sei anni: scrissi una poesia sulle donne che lavorano e soffrono» (da Le signore della scrittura, La Tartaruga, recentemente ripubblicato).
L’impegno di Alba de Céspedes prosegue nella vita adulta e si dispiega in vari modi. Partecipa alla lotta partigiana parlando da Radio Bari con lo pseudonimo di Clorinda, la guerriera della Gerusalemme liberata. Nel 1944 fonda la rivista politico-culturale Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze, un importante spazio di confronto su cui intervengono intellettuali di alto livello nella direzione di una rinascita, di un rinnovamento che la fine del conflitto mondiale poneva come necessità.
Non solo. L’impegno traspare anche nella sua attività di narratrice. I suoi romanzi di successo raccontano donne in metamorfosi, donne nuove che aspirano alla libertà e all’autonomia. Nessuno torna indietro infastidisce il regime fascista, che cercherà di ostacolarla e censurarla. Dalla parte di lei fa i conti con le aspettative deluse delle donne per la sopravvivenza della norma patriarcale anche dopo la fine del fascismo e la lotta partigiana. La guerra e la Resistenza avevano dato alle donne un assaggio di indipendenza che successivamente viene spinta a dissolversi affinché ognuno riprenda i ruoli prestabiliti a seconda del genere di appartenenza.
L’impegno civile e politico, come accennato prima, coesiste e s’intreccia con l’indole letteraria, emersa in lei molto presto. L’anima degli altri è il primo libro di Alba de Céspedes ed è una raccolta di brevi racconti. Pubblicata per la prima volta nel 1935 – aveva poco più di vent’anni – non ha più avuto riedizioni. È quindi una perla rara e preziosa quella che oggi ci offre Cliquot, casa editrice dedita alla riscoperta di capolavori dimenticati: l’esordio letterario di una fra le penne più felici della letteratura italiana. E la bellissima illustrazione di copertina di Silvia Franchini rende questa perla ancor più bella.
La raccolta contiene «Il dubbio», che è il primo racconto pubblicato di Alba de Céspedes. Uscì nel 1934 sul Giornale d’Italia, con un titolo diverso: «Il segreto». Parla di Max, un marito alle prese con il sospetto di un tradimento da parte della moglie Ornella. Max inizia a seguirla per le strade di Roma, ma il pedinamento sarà bruscamente arrestato da un incidente fatale. Il dubbio di Max si addensa attorno al mistero di Ornella, al segreto che celava dietro il sorriso di moglie devota.
Spesso i personaggi di Alba de Céspedes assistono all’apertura di una crepa da cui si intravede l’irriducibile parte di estraneità dell’altro. L’inquietudine di Max fa eco al tormento di Carlo, protagonista de «Il tempio chiuso», altro marito ingannato che intuisce un’ombra sconosciuta nella figura luminosa della moglie. In «Signorina Teresa» è una sorella a percepire la crepa: Ortensia scopre le lettere nascoste di Teresa, testimonianza di un amore vissuto e non sognato, custodito dietro quell’immagine mite e dimessa che ora agli occhi della sorella si sforma. Capiamo che nell’anima dell’altro c’è sempre qualcosa di estraneo. Un senso di estraneità è anche quello che provano i due ex amanti protagonisti di «Disincanto», che si scoprono irrimediabilmente diversi dalle persone che erano in passato.
La varietà di personaggi – uomini, donne, giovani, vecchi – e di situazioni che sfilano in questo mosaico narrativo testimoniano una grande capacità di osservazione e abilità nel rendere sulla pagina le sfaccettature della vita e dell’animo umani. La scrittura si nutre della vita, persino della cronaca. D’altronde, sull’aletta di copertina leggiamo che la prima edizione del libro presentava le novelle come storie di immaginazione ispirate però a fatti accaduti.
A questo proposito, la raccolta si apre significativamente con un racconto intitolato «Il ladro» in cui il cassiere di banca Marco Stolfi si presenta a casa dello scrittore Dario Cordero, affermando che nel romanzo a puntate in corso di pubblicazione sul giornale la storia del protagonista coincide con la sua vita. Disperato, prega lo scrittore di cambiarne il finale. Scrittore «ladro» di vita è anche il protagonista de «Il capolavoro»: «Neppure il bello della vita aveva avuto per sé, poiché di ogni cosa, come un ladro, aveva rubato la parte migliore per portarla ai suoi versi ed all’arte sua» (p. 49). In «Nudo dell’Ottocento» è la pittura a compiere il furto: Maria, ormai anziana, si reca alla Biennale di Venezia per rivedere il quadro per cui da giovane modella ha posato ed è come se quel giovane corpo dipinto le avesse rubato la vita.
Colpisce la brevità dei racconti. Sono come quadri che fissano una scena sulla tela. Composizioni in cui poche efficaci pennellate colgono accuratamente turbamenti e sensazioni, restituendoli con tratto disinvolto, senza sbavature. La giovane Alba de Céspedes sa rendere ugualmente l’intensità della adolescenza («La camicia da sposa», «Arsura»), la dolcezza di una serenità raggiunta («Serenità», «La casa sul laghetto azzurro»), lo strazio di una madre («Il miracolo»). Questo mosaico di anime affamate, desiderate, desideranti, generose, inquiete, rassegnate, nostalgiche, felici, disperate è una prima sintesi del suo enorme talento e della sua grande profondità psicologica. Non solo. La sua scrittura è già estremamente moderna e se non fosse per alcuni indizi linguistici sembrerebbe a noi contemporanea. Le sue frasi parlano oltre il tempo a lei contingente e questo dono sarà affinato nei romanzi che verranno.
Emergono insieme una grande cura del testo e un acume di visione, fin nei dettagli più piccoli. In «Serenità», Lisetta indossa un cappello di paglia in inverno. Com’è incisivo e attuale un semplice commento come «sono le cose permesse alla gente ricca e fuori posto nei poveri» (p. 59)? Una minuzia. Ma in senso estetico: un particolare che rivela l’attenzione dell’artista. Una minuzia estetica che coglie ed esprime una verità etica.
Sara Concato
Immagine di copertina via fondazionemondadori.it