“Il confine” di Silvia Cossu: la realtà è una questione di prospettiva

Tempo di lettura 4 minuti
Esiste una realtà univoca, una realtà oggettiva? O la realtà esiste solo nelle nostre percezioni e pertanto non può che essere soggettiva e mutevole?  

La verità esiste? I nostri sensi sono affidabili? La vista ci restituisce gli elementi del reale? E la memoria? Cosa c’è di vero nel ricordo e quanto l’esperienza soggettiva del vissuto altera nella nostra mente i contorni di un evento generando un ricordo fallace che però noi tratteniamo come assolutamente affidabile?

Silvia Cossu, ne Il confine, ci pone di fronte queste ed altre domande. Il romanzo (Neo edizioni) è stato nominato per lo Strega praticamente ancor prima che uscisse nelle librerie.

Le domande non sono nuove e sono innumerevoli gli esempi di libri o film che hanno già messo in discussione l’oggettività della realtà e che hanno giocato con l’(in)affidabilità delle nostre percezioni. Penso a Ubik, o a Abre los ojos (la versione spagnola più che il suo famoso remake USA, Vanilla Sky). E cito solo questi anche se potremmo stare qui a fare a gara a chi tira fuori più titoli, sia di carta sia di cellulosa tra quelli che nel tempo hanno indagato questi temi.

Fin qui, quindi, niente di particolarmente nuovo o originale, sebbene sia un ambito di riflessione sempre stimolante e sempre più attuale.

Silvia Cossu inserisce queste domande all’interno del suo romanzo, o meglio queste domande costituiscono l’ossatura del suo romanzo.

Protagonista una donna, una scrittrice che ha abbandonato le sue ambizioni e le sue velleità dopo alcune pubblicazioni non troppe fortunate e ha deciso di guadagnarsi da vivere scrivendo biografie.

Non dovete immaginarvi il lavoro di studio e ricerca storico-bibliografica per scrivere la biografia di un personaggio del passato. In questo caso si tratta di uomini viventi, con qualche eccesso di vanità e altri difetti, che pagano la protagonista affinché lei scriva la loro storia. 

Sono precisamente il senso che si vuole attribuire all’insieme, alla successione di azioni che hanno definito la propria esistenza, o una parte di essa. Aderisco a ciò che il mio interlocutore vuole raccontare.[…] Posso reinventare ogni cosa di sana pianta.

Già in questi primi frangenti emerge, nella (ri)elaborazione che la protagonista scrittrice fa della storia di questi uomini, l’inaffidabilità della narrazione, il racconto di una verità che non è detto che sia la verità.

Si comincia a intravedere la labilità della versione univoca della realtà.

Le vicende narrate nel romanzo prendono avvio quando, per passaparola, viene contattata da Mosco, uno psichiatra molto famoso e ricchissimo. Mosco ha negli anni sviluppato metodi assolutamente alternativi rispetto alla psichiatria tradizionale. È un personaggio che è già diventato leggenda e che è già una “figura sospesa tra fantasia e realtà”. 

Il suo metodo si basa sulla manipolazione, mette in scena a beneficio dei suoi pazienti vere e proprie rappresentazioni più o meno elaborate, e talvolta con l’utilizzo di comparse, che immergono completamente il paziente in una realtà altra. Una realtà, quella costruita in maniera posticcia ma verosimile, in grado di fornire alla persona degli stimoli che dialogano direttamente con l’inconscio e alterano schemi precostituiti. Con questo approccio un timido cronico che crede di non suscitare alcun interesse nelle donne – perché nella sua vita non si è mai verificato che una donna mostrasse interesse o magari è stato rifiutato -, immerso in una realtà in cui le donne lo vedono, lo guardano, gli parlano e provano a sedurlo, ribalta i suoi schemi inconsci, acquista sicurezza e finisce per trasformarsi in un latin lover.

Manipolazione della realtà dunque, messe in scena, illusioni da prestigiatori: in ogni caso si sottolinea l’importanza di un rovesciamento di prospettiva.

Come quei disegni bicromatici che abbiamo visto tutti almeno una volta nella vita: cosa stai guardando, due volti di profilo o un vaso? 

Il merito dell’autrice e la forza del romanzo sta nell’aver dichiarato sin da subito che qualcosa è andato storto, aver lasciato intendere da subito che qualcosa non torna. 

Anche nella scelta delle parole si ritrovano molti riferimenti che riportano alla vista (affidabile o ingannevole?), alla memoria (altra grande distorsore), a specchi, rappresentazioni, teatro. C’è spesso qualcuno che guarda e qualcun altro che è guardato, e l’uno e l’altro attribuiscono valenza diversa all’azione altrui.

Il lettore è subito messo in allerta e assume quindi sin dal principio esattamente la postura mentale della protagonista, con i sensi tesi a capire cosa c’è che non quadra o dove si nasconde l’inganno.

Così come l’ultima parte, prima della chiusura, con l’incursione nel mondo dei sogni, nella pornografia, nel voyeurismo (ancora guardare), ha pagine confuse che in realtà restituiscono perfettamente l’idea della confusione della protagonista, confusione che è lì lì per sfociare in paranoia.

Avrei preferito una conclusione diversa, qualcosa assimilabile alla trottola di Inception che continua a girare, almeno fino a quando la videocamera si trattiene. Ma anche con il finale voluto dall’autrice, il romanzo alla fine tiene. 

@vivileggiama

Il confine
Silvia Cossu
Neo edizioni, 2022
pp. 154, € 15

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