In India l’odio di religione è un affare di Stato, impunito
Ancora tensione tra induisti e musulmani nella capitale Nuova Delhi, con il governo di Modi e la Magistratura che stanno a guardare. Arrivano però, piccoli segnali di riconciliazione.
Un’altra giornata di violenza e di tensioni a sfondo religioso ha scosso l’India. Sabato 16 Aprile, nove persone (tra cui sette poliziotti) sono rimaste ferite durante scontri avvenuti a Nuova Delhi tra parte della comunità musulmana e parte di quella induista. Solamente una settimana prima, un altro festival aveva avuto uguale epilogo. Nei giorni successivi, poi, c’è stato un seguito che sa di rappresaglia: numerosi palazzi, negozi e abitazioni di persone di fede musulmana nel municipio di Jahangirpuri sono stati rasi al suolo dall’ente civico locale. Secondo quest’istituzione si trattava di “costruzione illegale”, ma l’azione non era mai stata previamente notificata.
Quali sono le ragioni specifiche di quest’attrito, poi diventato scontro? Imprecisate le motivazioni, visto che, ad oggi, entrambe le parti si rimpallano responsabilità. Si sa solamente che l’occasione è stata la marcia Hindū per celebrare l’anniversario del dio Hanuman: un corteo pacifico fino a quando è arrivato all’altezza della moschea locale, dove sono iniziati gli scontri a base di lanci di pietre e oggetti contundenti. Per i manifestanti si è trattato di un agguato messo in atto dai musulmani, ma questi ultimi negano asserendo di essere stati provocati e insultati dagli induisti in marcia (fonti: BBC).
Sukhen Sarkar, organizzatore dell’evento commemorativo, spiega: “Eravamo disarmati e senza intenzioni violente. A un certo punto – continua – una doccia di pietre e bicchieri rotti”. Mohammed Salahuddin, leader della moschea, ha addotto una versione diversa: “Abbiamo (i musulmani) reagito quando i manifestanti ci hanno lanciato pietre ed hanno provato a forzare l’entrata alla moschea”. Immediatamente dopo gli scontri sono stati arrestati in 23, ma le indagini sono ancora in corso.
Quale che sia stato l’evento scaturente, l’episodio non è isolato ma si accumula ad altri avvenuti negli ultimi anni, i più gravi nel nord del Paese in Rajasthan e Madhya Pradesh. Due anni fa, ad inizio 2020, sempre Delhi era stata scena di violenze religiose: la comunità musulmana fu presa d’assalto durante un sit-in pacifico di proteste contro la Legge sulla cittadinanza firmata dal Partito BJP di maggioranza e approvata nel Dicembre 2019.
Il governo aveva varato un piano per accogliere come rifugiati gli immigrati irregolari provenienti da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh escludendo, però, i migranti di fede musulmana. La nuova norma è stata vissuta come discriminante dalla minoranza musulmana, che in India conta circa 200 milioni di persone. Le violenze portarono 50 morti e 190 feriti cui si aggiunse un senso di mancanza di protezione e trascuratezza da parte del governo Modi, in carica dal 2014.
Oggi questi sentimenti non si sono affievoliti e crescono in misura proporzionale all’aumento di quello che è stato riconosciuto come odio religioso. Questo sentimento, tra l’altro, sta trovando ampia cassa di risonanza mediatica attraverso social di vario genere e ha coinvolto anche figure istituzionali. Nel 2021, in più di un’occasione, leader religiosi ma anche legislatori induisti sono stati protagonisti di discorsi d’incitamento alla violenza e alla discriminazione verso i cittadini musulmani. Il culmine è arrivato lo scorso 24 dicembre, quando alcuni capi religiosi indù hanno invocato il genocidio durante un evento pubblico.
Diversi sono gli esponenti politici, del BJP ma anche all’opposizione, ad essere accusati di aver parlato d’odio senza pagarne le conseguenze. Il governo di Narendra Modi raramente è intervenuto per condannare tali accadimenti e continua a non prendere una posizione in merito.
Un piccolo segnale verso la riconciliazione, tuttavia, è arrivato poco più di una settimana dopo gli scontri. Domenica 24 aprile, infatti, la sezione giovanile del BJP di Modi ha indetto il “Tiranga Yatra“, una marcia per la pace che ha percorso le strade del Jahangirpuri, quartiere epicentro degli scontri del 16 aprile. I membri delle due comunità hanno dunque sfilato congiuntamente, accomunati dai colori della bandiera nazionale, lanciando petali di fiore in segno di pace. “Un messaggio di speranza che dimostra quanto l’Unità nazionale sia importante” – come ha spiegato Usha Rangnani, Deputy Commissioner della polizia di New Dehli.
Riconciliazione e unità nazionale che, tuttavia, sembrano ancora lontane. Lo dimostra l’acceso dibattito politico e ideologico che ha fatto seguito alla decisione dell’Alta Corte del Karnatakadi vietare l’Hijab nelle scuole indiane, motivando che il velo non è essenziale per la religione islamica.
L’incitamento all’odio e la violenza religiosa, del resto, sono stati problemi in India per decenni. Nel 1990, alcune moschee del Kashmir fecero discorsi incendiari per fomentare la discriminazione contro gli indù, innescando il loro esodo dalla valle del Kashmir a maggioranza musulmana. Lo stesso anno, il leader del BJP LK Advani guidò un movimento per la costruzione di un tempio nella città settentrionale di Ayodhya, portando la folla indù a radere al suolo la secolare moschea Babri e scatenare rivolte mortali.
Ma la portata della questione, come dicevamo, è aumentata negli ultimi anni, e la popolazione vive polarizzazione piuttosto che integrazione, come dovrebbe essere di fronte a una moltitudine di etnie e credo religiosi. Ricordiamo, infatti, che l’India è un Paese popolatissimo e multietnico: un miliardo e 37 milioni di abitanti, di cui circa l’80% è di fede indù, i cristiani rappresentano il 2,3% della popolazione, ovvero circa 28 milioni di persone, oltre ai 200 milioni di musulmani di cui abbiamo già detto.
Secondo il report 2021 della Commissione internazionale Statunitense sulla Libertà Religiosa (USCIRF), un organismo indipendente e bipartisan che monitora le criticità a livello mondiale per quanto concerne religione e diritti umani, l’India si trova per il secondo anno di fila nella lista nera dei Paesi che destano particolare preoccupazione insieme ad altri 14, tra cui Arabia Saudita, Corea del Nord, Russia, Vietnam.
Per quanto riguarda la legislazione, L’India non ha una vera e propria definizione legale per l’incitamento all’odio. Esiste, però, una serie di disposizioni che vieta determinate forme di parola, scrittura e azioni che potrebbero promuovere “l’inimicizia tra diversi gruppi per motivi religiosi” e “atti deliberati e maligni, volti a oltraggiare i sentimenti religiosi di qualsiasi classe insultando la sua religione o le sue convinzioni religiose“.
La questione odio è stata spesso sollevata davanti ai tribunali indiani nel corso degli anni. Ma la magistratura e la Corte Suprema raramente sono intervenute con sentenze risolutive che costituissero un precedente e che dettassero legge con il pretesto di non voler imporre restrizioni alla libertà di parola. Decidono, in questo modo, di non porre un controllo ed un limite al potere istituzionale di legislatori e politici. Decidono, così, di lasciare gli indiani in balia di odio ed intimidazione.