Il Salotto Home Restaurant di Crotone, dove la socialità è di casa
Assaporare la cucina tradizionale immersi nella natura. La nostra intervista a Veronica Otranto Godano de Il Salotto, home restaurant di Crotone.
Veronica, la tua idea è letteralmente fatta in casa. Com’è nato il tuo home restaurant?
L’idea de Il Salotto è nata nel 2015, quando vivevo ancora in Calabria. Tra il 2014 e il 2015 gli home restaurant spopolavano in Italia. Fu l’anno dell’Expo a Milano, e mi ricordo che ne provai uno proprio in quella città. Sono sempre stata una persona attenta a queste tendenze e gli home restaurant sono stati forieri della mia futura professione: infatti proprio nel 2018 presi il patentino da giornalista, e oggi scrivo di cibo.
Per quanto riguarda il nostro home restaurant, all’epoca coinvolsi mia madre. Lei è un’ottima cuoca e voleva far diventare questa sua passione un lavoro, o un hobby remunerato. Nonostante mia madre abbia fatto, fino all’anno scorso, un lavoro completamente diverso, da noi l’ospitalità è sempre stata fisiologica. Lei ha sempre amato cucinare, e ha sempre detto che dieci persone sedute a tavola sono poche, è quasi triste. Noi siamo una famiglia numerosa, casa mia è sempre stata un porto di mare, aperto a tutti, da amici e parenti. Per me è quasi impossibile, soprattutto d’estate, non vedere persone a cena a casa mia. E non parlo di home restaurant, parlo proprio di amici, di famigliari: c’è sempre qualcuno. La socialità è sempre stata di casa. Quindi, nel 2015 parlo a mia madre di questa opportunità e decidiamo di provare.
Ma in breve, qual è la storia degli home restaurant?
Gli home restaurant sono nati all’inizio del nuovo millennio a Cuba, in quelle che sono chiamate le casas particulares. I cubani invitavano a mangiare proprio nella loro casa i turisti. È un moda che dal 2000 si è diffusa prima nell’isola, poi in America e infine in Europa. In particolare, nei paesi europei tra il 2014 e il 2015 si diffusero i supper club, ossia dei luoghi nascosti, misteriosi e non convenzionali dove si poteva mangiare, come per esempio in giardini segreti. L’home restaurant ne rappresenta una costola, perché dietro non ci sono solo cuochi, ma appassionati di cucina. Quindi non necessariamente chef, ma gente che sa cucinare bene.
Qual è la differenza con un classico ristorante?
La differenza sta nella valorizzazione della cucina tradizionale e regionale, con la possibilità di trovare pietanze che non vengono offerte nei ristoranti. Però in Italia è difficile portare avanti un’attività di home restaurant. Questo fenomeno appartiene al filone della sharing economy. Negli ultimi anni se ne è parlato tantissimo, e infatti sono nati diversi servizi per la condivisione: basti pensare a Uber. In sostanza, dovrebbe essere la frontiera del nuovo millennio per far risparmiare gli altri e per favorire la sostenibilità ambientale.
L’home restaurant rappresenta una parte di questa sharing economy. Tuttavia, come dicevo in Italia non ha vita facile perché, a differenza degli altri paesi dell’Unione Europea, dove ormai sono considerati superati, non c’è una legge che li regola. Infatti, negli anni alcuni hanno anche avuto problemi a livello legislativo. Anche noi dopo il primo anno ci siamo dovuti fermare, perché non sapevamo come inquadrarci, nonostante avessimo tantissimi turisti. Al momento, anche se questo fenomeno si è assestato, non c’è una legge, ma dei pareri del ministero dell’Interno. Ogni tanto lo Stato si è espresso per evitare di sanzionare, e alcune regioni, come la Sardegna, hanno legiferato su questo fenomeno, perché vorrebbero che in futuro diventassero una strategia turistica.
In generale, però, gli home restaurant vanno inquadrati come attività occasionali, che significa che non si possono fare più di un certo numero di pranzi o cene all’anno. Ovviamente bisogna essere in regola su tutto: rilasciamo ricevute e abbiamo tutti certificati in ambito sanitario. Mia madre ha ottenuto tutto il necessario per un’attività di ristorazione: la licenza per le bevande, per gli alimenti, l’HACCP, etc.. Ma ci sono continue diatribe: ad esempio, non si capisce se gli home restaurant debbano richiedere la certificazione SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), che serve appunto per cominciare. Inoltre, in Italia sono nate diverse associazioni per tutelare questo fenomeno, come ad esempio Le Cesarine oppure la Home Restaurant Italia.
All’inizio ci furono anche delle proteste da parte dei ristoranti, che vedevano questo fenomeno come una sorta di concorrenza sleale, quando sono due cose assolutamente diverse, quasi un hobby pagato. Stiamo parlando di un tavolo una volta ogni tanto, non ci sono tanti coperti come in un ristorante normale, per non parlare di un certo reddito che non può essere superato.
Come funziona il vostro home restaurant?
Dietro a tutto c’è mia madre, che cucina. Nel corso del tempo ha fatto corsi, si è specializzata, è anche andata in tv per partecipare a Cuochi D’Italia, il programma di Alessandro Borghese: rappresentava la Calabria e ha vinto due manche. A mano a mano la sua cucina si è evoluta, proponendo piatti della tradizione, ma anche piatti di altre regioni, da lei rivisitati. Ad esempio, una delle cose che si fa a casa mia sono i pizzoccheri, una pietanza della Valtellina. Siamo aperti a ogni tipo di cucina, ma ovviamente si cerca di proporre cose tipiche del territorio. La qualità è fondamentale, anche perché sono figlia di un imprenditore agricolo e spesso i prodotti che usiamo sono quelli delle terre di mio padre. Inoltre, giù in Calabria abitiamo in campagna, la casa è circondata da orti e da qualsiasi cosa tu possa immaginare. Mia madre allunga la mano e prende l’aglio, per dire, o qualsiasi altra cosa che le serva: compriamo poco, e questa è una bella cosa.
A livello di portate, ci differenziamo da un ristorante perché prevediamo due menù a prezzo fisso, uno di carne e uno di pesce, che includono dall’antipasto al dolce. Ma la differenza è che viene tutto concordato al telefono con mia madre, in base alla stagionalità dei prodotti, preferenze, allergie e gusti. Si concordano proprio le pietanze. È per questo che si viene minimo in quattro e si prenota almeno due giorni prima, non ci si può presentare così.
In media facciamo una cena al mese, d’estate un po’ di più. D’inverno ospitiamo nel nostro salotto, e l’atmosfera è bellissima: spesso i miei genitori si siedono con i commensali, perché sono proprio loro a volerlo, è capitato anche a me quando ero giù. Si serviva ai tavoli e spesso gli ospiti chiedevano di bere l’amaro con loro. Perché questo è il fine dell’home restaurant: è un’esperienza che carpisce il gusto, ma che fa anche superare limiti che abbiamo. Non è semplicissimo andare a mangiare a casa di altri.
Tua madre come vive questa esperienza? È diverso avere a pranzo o cena delle persone che si conoscono rispetto a dei turisti? E i turisti come vivono quest’esperienza?
Le persone che sono venute venivano specialmente dal Sud, magari si erano trasferite fuori regione ed erano venute da noi a mangiare con amici del Nord. La maggior parte dei turisti la vive con curiosità, fanno domande, complimenti, si sentono a loro agio. Per altri invece è più strano andare a mangiare proprio a casa di altri, soprattutto se non si è abituati a questo tipo di condivisione: secondo me è una questione di attitudine. Chi viene con curiosità si mette in gioco e sperimenta. Spesso nascono anche delle amicizie, e ci sono persone che tornano più volte durante l’estate.
Prima hai detto che in Italia gli home restaurant si sono assestati, mentre negli altri Paesi dell’Unione europa sono superati. Magari questo assestamento non è negativo.
No, assolutamente: il fatto che non ci sia una legge che li regoli non li ha fatti sparire. C’è stato un boom all’inizio e ora ce ne sono di famosi. È per questo che dico che il legislatore deve agire per riempire il vuoto: in Italia non si capisce se l’home restaurant sia permesso o meno. Si passa dal vedere programmi televisivi totalmente dedicati al fenomeno, a leggere articoli che riportano di home restaurant chiusi dalle autorità. Noi stiamo ristrutturando casa per cercare di inquadrare al meglio la nostra attività.
State pensando di trasformare Il Salotto in un’altra attività?
Sì, stiamo pensando di farla diventare un’impresa alimentare domestica. Stiamo ingrandendo gli spazi e migliorando la cucina, ma non pensiamo di trasformarla in un vero e proprio ristorante. L’impresa alimentare domestica è un’altra cosa che si può fare in Italia. Mi viene in mente ad esempio la Forneria di Nonna Mirella a Roma. Da quando ha avuto il Covid-19, questa famiglia ha cambiato la propria vita. Moglie e marito hanno lasciato il lavoro e hanno aperto un biscottificio in casa: hanno aperto un e-commerce e adibito parte della loro casa alla produzione alimentare. Vendono sia in Italia che all’estero e fanno le consegne a Roma a bordo di una macchina degli anni ’60.
Noi, avendo molta richiesta soprattutto d’estate, stiamo pensando di trasformare Il Salotto in qualcosa del genere. Dopo due anni di pandemia, il settore della ristorazione non è messo benissimo, figurarsi gli home restaurant. Noi dopo essere andati avanti un anno, dal 2014 al 2015, ci siamo fermati fino all’estate del 2021. Siamo stati fermi per più di quattro anni: in questo periodo, non è che il fenomeno sia sparito. È solo che c’era un po’ di ansia per capire come inquadrare l’attività. Ma l’estate scorsa è andata molto bene, anche perché avendo un giardino meraviglioso, la gente non vedeva l’ora di festeggiare diverse occasioni all’aperto.
Che cos’è per te Il Salotto?
Il Salotto è la mia famiglia, siamo noi quattro. Mia madre Teresa, mia sorella Roberta, che vive con me a Roma ma quando è giù in Calabria è la regina dei dolci, mio padre, che si occupa dell’accoglienza, ed io.
Casa mia in Calabria è soprannominata l’Industria, perché i miei genitori non stanno mai fermi, nemmeno nei giorni di festa.
Intervista a cura di Graziano Rossi con la collaborazione di Chiara Romano
Il Salotto Home Restaurant
Crotone (KR) Tel: +39 328 82 28 878
Infot: veronica.godano@libero.it
Immagine di copertina via instagram.com/salottohomerestaurant.kr