Gli Stati Uniti annullano la sentenza sul diritto all’aborto: ma qual è la situazione nel mondo?
La Corte Suprema statunitense ha revocato una storica sentenza, la Roe v. Wade, che garantiva la possibilità di accesso ai servizi abortivi. Adesso, ogni Stato potrà decidere autonomamente se e come far abortire. La notizia è risuonata nel resto del mondo, e non tutti i paesi condividono la linea americana.
La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di revocare la sentenza Roe v. Wade, che garantiva la possibilità di aborto, è riverberata da venerdì 24 giugno in tutto il mondo, allontanando il paese dai suoi alleati sul tema della salute riproduttiva, come scrive CNN.
La risoluzione, che era stata preannunciata da una fuga di notizie a maggio, è stata, secondo il The Guardian, una scioccante ripercussione della presidenza di Donald Trump che sicuramente infiammerà le già presenti divisioni americane. Ha anche cementato la progressiva affermazione della Corte Suprema come centro di potere alternativo, che minaccia il delicato equilibrio governativo tra esecutivo, legislatura e magistratura.
Il primo ministro inglese, Boris Johnson, ha dichiarato che “ha chiaramente un impatto enorme sulla mentalità delle persone in tutto il mondo”, e ha definito la decisione della corte “un grosso passo indietro”. Anche altri leader mondiali hanno condannato la decisione, e nel weekend si sono tenute diverse proteste in diverse città europee.
La revoca della sentenza contrasta il trend globale che va verso un accesso più libero all’aborto, e posiziona gli Stati Uniti in un piccolo “club” di paesi che, negli ultimi anni, hanno limitato l’accesso a questa pratica.
Metà degli Stati americani potrebbero vietare l’aborto
Sono 26 gli Stati americani che hanno già delle leggi che indicano la loro intenzione di vietare gli aborti, secondo quanto riportato dal Guttmacher Institute. Nove Stati hanno divieti precedenti alla storica sentenza che potrebbero essere attuati ora che la Roe v. Wade è stata revocata. Inoltre, altri 13 Stati hanno dei “divieti a innesco” in atto, il che significa che non appena la legge non sarà più in effetto, gli aborti verranno quasi immediatamente vietati.
In seguito alla decisione della Corte Suprema, alcune compagnie statunitensi hanno deciso che copriranno i costi per gli impiegati che avranno bisogno di un aborto e dovranno pertanto spostarsi in uno Stato che lo consente. Si tratta, tra le altre, di Microsoft, Apple, Meta, Disney, Uber, Netflix, Condé Nast, Nike, Starbucks, Goldman Sachs e Accenture.
Alcuni alleati degli Stati Uniti hanno un più grande accesso all’aborto
Fino a venerdì, gli Stati Uniti erano uno dei 56 Paesi dove l’aborto era legale a richiesta della gestante, senza nessun bisogno di giustificazione, secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
In generale gli USA si allineavano alle altre nazioni occidentali, dato che sono pochi i Paesi sviluppati che vietano o limitano pesantemente le pratiche abortive. Dei 36 Paesi che il Dipartimento di Affari Economici e Sociali dell’ONU definisce economie sviluppate, tutti tranne due – la Polonia e Malta – permettono gli aborti a richiesta o su basi sanitarie e socio-economiche più ampie, secondo il Centro per i Diritti Riproduttivi, che si batte per migliorare l’accesso all’aborto e monitora le leggi in tutto il mondo.
Ma con la fine della protezione federale dell’aborto, parti degli Stati Uniti si uniranno a quei ranghi. I diritti abortivi saranno ora determinati dai singoli Stati americani, a meno che il Congresso non agisca diversamente. Secondo il Guttmacher Institute, ci si aspetta che più della metà degli Stati vieterà o potrebbe vietare l’aborto. I divieti sono già entrati in vigore in diversi Stati americani, da quando la Corte Suprema ha emanato la sua decisione.
La situazione ai confini degli Stati Uniti
La nuova decisione va contro l’ondata globale che vede molte nazioni, incluse quelle confinanti con gli Stati Uniti, liberalizzare le leggi abortive negli ultimi anni.
L’anno scorso, la Corte Suprema del Messico aveva deciso all’unanimità che sanzionare gli aborti era anticostituzionale. La disposizione aveva rovesciato lo stato legale dell’aborto a livello nazionale.
“Una donna o una persona con la capacità di avere un bambino non sarà mai più perseguita per legge” aveva dichiarato il giudice Luis Maria Aguilar dopo la decisione. “Da oggi sono vietate la minaccia di carcere e lo stigma che pesa sulle persone che decidono liberamente di porre fine alla loro gravidanza”.
Il Canada è uno dei pochi paesi che permette l’aborto in qualunque momento durante la gravidanza. Il Primo ministro, Justin Trudeau, ha criticato la decisione degli Stati americani di rendere l’accesso all’aborto sempre più difficile. Venerdì scorso ha definito “spaventosa” la disposizione della Corte Suprema. In Canada è possibile abortire in ospedali e cliniche private; nella maggior parte dei casi, la procedura è coperta dalle assicurazioni sanitarie dei governi provinciali, il che significa, essenzialmente, che è gratuita.
La situazione dell’aborto in Europa e nel resto del mondo
La maggior parte delle nazioni dell’Unione Europea – incluse quelle del G7 – permettono l’aborto entro un certo limite, di solito entro 12 settimane. Di solito, le eccezioni a quel periodo sono permesse in base ad alcune motivazioni, ad esempio se la gravidanza o il parto costituiscono un rischio alla salute della madre. In genere è meno comune che ci si opponga alla procedura in questi paesi rispetto agli USA.
Ed è raro trovare un paese sviluppato dove l’aborto venga negato in casi estremi, ad esempio quando la donna è stata vittima di stupro o incesto. Ma molti dei divieti sull’aborto che verranno approvati negli Stati Uniti non contengono tali eccezioni.
Occasionalmente si sono tenute delle proteste antiabortiste in paesi europei quali il Regno Unito, dove alcune commissioni hanno risposto riducendo la possibilità, per i manifestanti, di interagire con le persone che entrano nelle cliniche.
Gli attivisti europei hanno anche chiesto un ammorbidimento delle restrizioni relative all’aborto nei loro paesi. In Germania, per esempio, questa procedura è permessa fino alla dodicesima settimana di gravidanza, ma chi vuole abortire deve seguire un iter che include una sessione di terapia psicologica obbligatoria seguita da un periodo d’attesa, forzato, di tre giorni. Alcuni dottori sono stati anche perseguiti per aver condiviso i dettagli dei servizi abortivi che offrono, perché qualsiasi tipo di “pubblicità” sulla procedura è contro la legge.
Il Giappone, insieme a paesi come la Finlandia e l’India, attua delle disposizioni per l’aborto in caso di stupro o rischi per la salute della gestante, ma anche su più ampie basi socioeconomiche.
Nei paesi sviluppati dove l’aborto è legale, nessuno ha impostato il limite di gestazione a sei settimane – come ha invece fatto una legge del Texas approvata l’anno scorso. A dicembre, la Corte Suprema aveva permesso l’approvazione di tale legge, ma i giudici avevano aggiunto che chi fornisce servizi abortivi poteva contrastarla appellandosi alla corte federale.
Per quanto riguarda le democrazie simili agli USA, le leggi dell’Australia sono quelle più affini. Come negli Stati Uniti, l’accesso all’aborto varia in base ad ogni stato e territorio australiano – e fino a poco fa, alcune regioni criminalizzavano la procedura.
Ma mentre alcuni Stati americani hanno gradualmente limitato le loro leggi abortive, l’Australia si è mossa nella direzione opposta. Dal 2018 l’aborto è stato depenalizzato sia nel Queensland che nel New South Wales: entrambi gli Stati permettono l’accesso alla procedura fino alla 22esima settimana. Il South Australia è diventato l’ultimo Stato a depenalizzare l’aborto, quest’anno.
In quali Paesi è più difficile abortire?
Nei paesi dove questa pratica è limitata o illegale, i dati suggeriscono che il numero di procedure non diminuisce. Anzi, le donne ricorrono ad aborti poco sicuri, quelli clandestini. Nel mondo occidentale si tratta di qualcosa di raro, ma la revoca di Roe v. Wade potrebbe renderli più comuni negli Stati Uniti.
Quasi metà degli aborti mondiali sono pericolosi, e il 97% avviene nei paesi in via di sviluppo, secondo quanto riportato dall’OMS.
Ma gli Stati Uniti non sono l’unica nazione dove il diritto di aborto è sotto minaccia. In altre parti del mondo, più socialmente conservatrici, i governi populisti e autoritari si sono mossi in maniera simile per limitare l’accesso alla procedura.
Tra i più famosi c’è la Polonia, dove l’anno scorso è entrato in vigore il divieto di aborto in caso di malformazioni del feto, mettendo fine, essenzialmente, a quasi tutte le procedure. Adesso nel paese si può abortire solamente in caso di stupro o incesto, o se la gravidanza mette a repentaglio la vita della madre. Il governo polacco ha reso l’aborto un tema controverso sin dalla salita al potere, nel 2015, accattivandosi i conservatori sociali in una nazione sempre più cattolica, ma allo stesso tempo dando il via a numerose proteste nelle città più liberali.
La Slovacchia aveva provato a seguire la Polonia, ma il Parlamento del paese negli ultimi due anni ha respinto diverse proposte di legge che proponevano restrizioni sui diritti riproduttivi.
Altri paesi europei come l’Italia prevedono l’uso estensivo dell’obiezione di coscienza, che permette a chi fornisce questo tipo di servizio di rifiutarsi sulla base di obiezioni morali, secondo Human Rights Watch.
In America Latina e nei Caraibi in genere le leggi abortive sono molto restrittive. In Brasile, per esempio, la procedura è illegale se non in circostanze estreme, quali malformazioni del feto o in caso di stupro. Le donne e le ragazze che mettono fine alle loro gravidanze per qualsiasi altro motivo rischiano fino a tre anni in carcere, secondo HRW.
In Nicaragua e El Salvador l’aborto è totalmente illegale, in qualsiasi circostanza, e nel secondo paese si rischiano fino a 40 anni di carcere. “Queste leggi sono paragonabili alla tortura, alla discriminazione e alla negazione di alcuni dei diritti umani di base alla vita e alla dignità” ha dichiarato l’anno scorso Amnesty International, parlando di El Salvador. Negli ultimi anni alcune decisioni sono state rovesciate e molte donne sono state rilasciate dopo aver scontato parte della loro pena.
Ma altri paesi latinoamericani si stanno muovendo per rendere l’aborto legale. Il Senato dell’Argentina ha votato per legalizzarlo fino alla 14ª settimana a dicembre 2020, rendendo il paese la più grande nazione dell’area a rendere possibile la pratica.
Aveva fatto seguito la Colombia a febbraio. La sua Corte Costituzionale aveva votato a favore della legalizzazione dell’aborto fino alla 24ª settimana. E, di recente, anche l’Ecuador ha iniziato l’iter per allentare le restrizioni sull’aborto in caso di stupro.
Traduzione di Chiara Romano via cnn.com, theguardian.com
Immagine di copertina via twitter.com/IndivisibleBUX