Cosa si gioca il Cile il 4 settembre con il plebiscito sulla nuova Costituzione
Dal risultato del referendum della nuova Costituzione cilena non dipende solo il lascito e il futuro del governo di Gabriel Boric, ma quello di tutto il paese.
Lo scorso 4 luglio, con una cerimonia solenne celebrata nel Congresso della Repubblica, è stata presentata la proposta della nuova Costituzione cilena. La Magna Carta, redatta in un anno dalla Convenzione Costituzionale*, dovrà essere votata dal popolo cileno il prossimo 4 settembre, così come stabiliva l’Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione. Un momento cruciale per la democrazia in Cile, in cui si deciderà se viene approvato un testo che si presenta al voto con molte più critiche di quello che avrebbero desiderato i suoi promotori.
Ad oggi** quasi tutti i sondaggi danno in vantaggio il No e, anche se le cose possono cambiare molto nel corso del prossimo mese, ci sono serie possibilità che la proposta non vada avanti. A prima vista questa situazione potrebbe sorprendere, dopo il risultato tanto ampio (80%) che ha ottenuto il Sì nel referendum iniziale di ottobre 2020, ma non sorprenderà quanti hanno seguito il processo da vicino. Anche se ha svolto il proprio compito nel tempo stabilito, e anche se il processo è stato portato a termine con tutte le garanzie democratiche, la Convenzione Costituzionale è giunta al traguardo con molte critiche, il che contribuisce ad aumentare lo scetticismo sul testo.
Non sono stati d’aiuto i comportamenti di alcuni membri della costituente, il cui atteggiamento fuori e dentro l’aula ha finito per compromettere il buon lavoro di un’ampia maggioranza di deputati costituenti. Menzione speciale meritano i casi di Nicolás Núñez, che ha iniziato giurando per l’incarico cantando, chitarra alla mano, una canzone contro Piñera e ha terminato il suo lavoro come costituente votando una mozione dalla doccia, e quello ancora più grave del deputato Rodrigo Rojas Vade, che per anni ha mentito dicendo di avere il cancro e ha basato il suo attivismo sulla lotta contro una malattia che non aveva.
Tali episodi hanno creato un po’ alla volta un clima di sfiducia intorno al lavoro dell’assemblea costituente, che è aumentato nelle ultime settimane con l’opposizione al testo di alcuni gruppi di centro-sinistra. Attualmente la Costituzione conta tra i suoi detrattori tutta la destra politica e alcune figure del centro sinistra come l’ex presidente Eduardo Frei o ex ministri di Bachelet come Isidro Solís o la democristiana Ximena Rincón. Una coalizione che può mettere in pericolo il Sì se questo non riesce ad attrarre elettori oltre a quelli che appoggiano incondizionatamente il presidente Gabriel Boric, che oggi sono intorno al 30%.
I problemi non sono stati solo di forma e, di fatto, quanti argomentano il No fuori dalla destra, lo fanno riferendosi soprattutto a divergenze sul contenuto del testo. Lo Stato Plurinazionale, il Senato e la Giustizia sono stati alcuni dei punti della proposta costituzionale più criticati. E, ben oltre le campagne diffamatorie fomentate dai settori più radicali della destra, esiste un dibattito rispetto a molti punti del testo che merita di essere preso in considerazione.
Cosa dice la Costituzione?
La proposta costituzionale cilena, con i suoi 388 articoli, è un testo lungo, in linea con il nuovo costituzionalismo latinoamericano, che include un ampio catalogo di diritti civili e sociali. Su questo punto l’opinione pubblica è praticamente unanime, e a parte la destra più radicale, tutti gli schieramenti riconoscono che il testo rappresenti un progresso considerevole in materia di diritti rispetto al testo vigente redatto ai tempi di Pinochet.
Gode di un ampio consenso anche l’istituzione di uno Stato sociale e democratico, che getterebbe le basi del futuro Welfare cileno. Rispetto allo Stato sussidiario della Costituzione del 1980, la proposta costituzionale contrappone uno Stato sociale e democratico di diritto che, inoltre, è plurinazionale, interculturale, regionale e ecologico, secondo quanto recita il primo articolo del testo. Stabilisce anche che la democrazia cilena è inclusiva e paritaria, e tutela in modo particolare la natura, un punto reclamato da anni in un paese in cui l’industria estrattiva e la mancanza di controlli in settori come quello minerario hanno causato danni ingenti in molte località.
Uno dei punti che ha creato maggiori divergenze è il riconoscimento dello Stato cileno plurinazionale. Nel testo gli 11 popoli indigeni che abitano il Cile e che hanno partecipato alla formulazione della Costituzione attraverso i seggi a loro riservati sono riconosciuti come “popoli e nazioni indigene preesistenti”. Un riconoscimento che secondo i suoi detrattori genera insicurezza a livello giuridico e che metterebbe a rischio l’unità del paese, nonostante negli articoli 3 e 7 si faccia esplicito riferimento all’indivisibilità del territorio del Cile.
Questo punto si lega in maniera diretta ad uno di quelli che ha sollevato maggiori polemiche: la configurazione del sistema di giustizia. La nuova Costituzione cambia il nome del potere giudiziario con “sistema di giustizia” e riconosce a livello costituzionale l’esistenza di un sistema dei Popoli Indigeni. Il testo lascia ancora molte questioni aperte e i meccanismi di coordinamento, cooperazione e risoluzione dei conflitti di competenza tra i sistemi giuridici indigeni e le entità statali rimangono in mano al legislatore. In ogni caso, la Magna Carta fissa importanti limiti e stabilisce che i sistemi di giustizia dei popoli indigeni funzioneranno a un livello di uguaglianza con il Sistema Nazionale di Giustizia, dovranno rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e saranno gerarchicamente inferiori alla Corte Suprema, che sarà l’interprete ultimo delle decisioni che verranno adottate nella giurisdizione indigena. Questi punti non sono riusciti a evitare aspre critiche secondo le quali la proposta è lesiva del principio di uguaglianza davanti alla legge e genera un’importante insicurezza giuridica.
La giurisdizione indigena non è stato l’unico punto, nell’ambito della Giustizia, oggetto di critiche. La maggior parte di quanti sostengono il No si oppongono anche alla modifica del nome, e mettono in guardia da una possibile politicizzazione attraverso il Consiglio della Giustizia, un organo incaricato di nominare i giudici, adottare misure disciplinari e realizzare diversi compiti amministrativi. Questo organismo, analogo al Consiglio Generale del Potere Giudiziario in Spagna, è stato bersaglio di molte critiche, soprattutto per quanto riguarda la sua composizione. Il Consiglio sarebbe formato da 17 membri, otto giudici e due alti funzionari eletti dai loro pari, cinque membri eletti dal Congresso e due membri dei popoli indigeni. Una composizione troppo politica che, secondo i suoi detrattori, potrebbe mettere a rischio l’indipendenza della Giustizia.
La riduzione dei poteri del presidente o la sostituzione del Senato a favore di una Camera delle Regioni sono state altre questioni molto dibattute all’interno di una discussione che non sempre è stata condotta nei migliori termini. Le esagerazioni, la diffusione di articoli falsi da parte di deputati della destra o l’evidente disconoscimento di articoli del testo da parte di alcuni membri della costituente hanno intorbidito la conversazione pubblica necessaria per il futuro di un paese. Tutto questo ha contribuito a creare una situazione nella quale il No sembra rafforzarsi in mezzo a tanto rumore.
No, e poi?
Anche se è chiaro che la battaglia non è ancora perduta, molti fanno supposizioni su quello che potrebbe succedere se il 4 settembre venisse bocciata la nuova Costituzione. Uno degli ultimi a intervenire è stato il presidente Gabriel Boric che, in un’intervista sul canale Chilevisión, ha affermato che qualora la Costituzione non venga approvata, il processo costituente andrà avanti, poiché la volontà del popolo cileno, manifestata da quell’ 80% che ad ottobre 2020 ha votato a favore della redazione di un nuovo testo, è di avere una nuova Costituzione. Queste dichiarazioni, che sono state criticate da molti e interpretate come una storpiatura, hanno una spiegazione demoscopica. Secondo numerosi sondaggi, il No di molti cileni non è verso il processo in sé, ma verso il testo nel concreto. Ovvero, si desidera una nuova Costituzione ma non questa.
Questa posizione, che potremmo chiamare “dire No per avviare un nuovo processo”, è stata accennata da alcuni gruppi di centro-sinistra, come l’ex presidente Ricardo Lagos o lo stesso Boric, senza chiarire come si procederebbe in quel caso. Boric nella sua intervista su Chilevisión ha affermato che il nuovo processo verrebbe convocato dal Parlamento. Una formula che risulta ambigua e senza garanzie, dal momento che dipenderebbe dalla volontà dei membri del parlamento e avverrebbe fuori dall’accordo di ottobre 2019, che non dice niente sulla strada da percorrere nel caso il testo finale non venga approvato.
L’unica cosa certa è che se il testo non viene approvato rimarrà in vigore la Costituzione del 1980, redatta dai collaboratori del dittatore Augusto Pinochet. Pertanto, di fronte a questa situazione giuridica, più che iniziare un nuovo processo costituente sembra percorribile la posizione di quanti sostengono il “no per riformare”, che chiedono di respingere il testo e introdurre modifiche in quello vigente. Qui si incontrano settori del centrosinistra e della destra politica, che dopo decenni di immobilismo ora sembrano disposti a raggiungere compromessi su materie centrali del testo.
Questa posizione, anche se avrebbe un meccanismo giuridico più semplice – riforme da attuare in aula attraverso meccanismi che la costituzione del 1980 prevede – , dà adito a molti dubbi in campo politico. Dal momento che la destra non è mai stata disposta a riformare nulla, per quale motivo dovrebbe farlo ora? E, soprattutto, cosa la spingerebbe a farlo dopo una vittoria alle urne?
Per quanto dicano coloro impegnati a convincere del contrario, se vince il No chi ne beneficerà maggiormente sarà la destra, che da mesi è impegnata ad attaccare il testo ed è perfino ricorsa a profili internazionali come Mario Vargas Llosa o Cayetana Álvarez de Toledo per intensificare la sua offensiva. È curioso che nelle ultime settimane la sua campagna sia completamente cambiata e si sia convertita in una destra travestita da agnello, che non si mostra più così belligerante come durante il processo di redazione del testo e sembra aperta al No per riformare alcuni passaggi del testo, accettando rivendicazioni storiche del centro sinistra come lo Stato sociale e democratico di diritto. Che garanzie offre però uno schieramento politico che per decenni si è spesa per vanificare qualunque possibilità di cambiamento?
Gli schieramenti che lavorano in Cile per la trasformazione e le riforme non devono essere ingenui. È che, se non si approva la Costituzione del 2022, inizierà un cammino incerto e tortuoso, che potrebbe alla fine portare il Cile ad andare avanti con il testo del 1980 praticamente integro. Ad essere pragmatici, le opzioni che oggi sono sul tavolo sono o scegliere il Sì per riformare gli aspetti più problematici del nuovo testo o scegliere il No per riformare leggermente quello del 1980. Nel caso si verifichi questa seconda opzione, la destra tornerà ad essere l’arbitro di qualunque modifica costituzionale, e proposte come la salute e l’educazione pubblica o l’acqua pubblica rimarranno nel cassetto.
Il 4 settembre si giocano molte cose in Cile. Non solo il lascito e il futuro del Governo di Gabriel Boric, ma quello di tutto il paese. Se vince il Sì il Cile avrà concluso un processo costituente con piene garanzie democratiche, ma se vince il No, implicitamente si starà dando alla Costituzione di Pinochet la legittimità democratica che le manca, il che sarà il pretesto della destra per tornare a imporre decenni di immobilismo.
Traduzione di Valentina Cicinelli via elsaltodiario.com
* Viene così chiamata l’Assemblea Costituente nell’ambito del processo democratico di redazione della nuova Costituzione in Cile
**Articolo del 30 luglio 2022
Immagina di copertina di Jose Pereira via thewisemagazine.it