Mito, fantastico e distopia in “Mantide”, esordio di Julia Armfield

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L’autrice londinese ci offre un mosaico di storie misteriose e sconcertanti, dove i confini fra reale e irreale, fra umano e animale, sono labili e cangianti.

Julia Armfield è una giovane autrice londinese di grande talento, selezionata nel 2019 tra i finalisti del Sunday Times Young Writer of the Year Award. La sua prima raccolta di racconti, salt slow, è pubblicata in Italia da Bompiani con il titolo “Mantide”, nella traduzione di Pietro Lagorio.

Nelle nove storie che compongono la raccolta si intrecciano mito, fantastico e distopia e i corpi hanno un ruolo centrale. Specialmente quelli che cambiano, che intraprendono un qualche passaggio di stato. In quei casi si evidenzia una paurosa e intrigante porosità fra l’umano e l’animale.

Nel primo racconto, “Mantide” – che dà il titolo alla versione italiana del libro – la protagonista è una ragazza con la pelle che gradualmente si sfalda per schiudere un inquietante corpo nuovo. Sebbene la sua metamorfosi sia fuori dal comune, a pagina 11 si legge “siamo tutte bizzarre”: anche le sue compagne sono in fase di cambiamento. Se ci pensiamo, la pubertà è una trasformazione vera e propria. Nel caso di un corpo di donna arrivano le forme, le mestruazioni: fluidi corporei che per la prima volta si manifestano, corpi che si riempiono, si allungano, che emanano nuovi odori, persino pungenti.

Spesso nell’incertezza e nella paura. Forse non è un caso che la protagonista del racconto frequenti una scuola cattolica e che Madre e Nonna abbiano l’iniziale maiuscola. Simboli di un’autorità che non offre delucidazioni? La Madre fornisce unguenti e rimedi estetici, ma non dà troppe spiegazioni: la metamorfosi della figlia è ineluttabile, ma inspiegabile.

A questa storia sembrano fare eco due altri racconti della raccolta.
In “Non più selvatico” torna infatti prepotente il tema della crescita, dell’adolescenza come età di metamorfosi e torna anche quella parte di ferocia che sembra accompagnare il processo di crescita. In questo racconto una ragazzina selvatica e rissosa stringe un rapporto sempre più intenso con la sua sorellastra-lupo, allevata dalla matrigna come una bambina. L’umano e l’animale – che paiono qui a ruoli invertiti – condividono però un’anima selvaggia e pian piano si avvicinano fino a quasi non distinguersi più. Fino a compenetrarsi.

Adolescenti ferine sono anche in “Tappa le orecchie delle tue donne con la cera”, racconto psichedelico dove fra odori di carne, sangue, corpi che si allacciano, folle agitate di ragazzine, una girlband viaggia per il suo tour tenendo concerti che sanno di riti misterici, con le fan assatanate che paiono trasformarsi al suono di una musica penetrante che sa di fame e desiderio. Il richiamo alle sirene dell’Odissea è abbastanza evidente già nel titolo e nel canto ammaliante della band che, inoltre, dissemina piume nere in giro. Le sirene nella tradizione greca erano proprio creature metà donna e metà uccello – creature apparentate alle Arpie e alle Erinni, il cui animo vendicativo serpeggia tra le fan in delirio.

Nel corso del primo racconto, c’è un indizio per la lettura: la protagonista ama “i miti greci e le storie di fantasmi, racconti che durano al massimo quattordici pagine e finiscono con lezioni violente […] storie di cigni e ragni, allori, narcisi, ragazze trasformate in mostri da rivali che giocano sporco” (p. 14). Come spiegava bene Jude Ellison Sady Doyle nel suo saggio sul Mostruoso femminile, i corpi femminili in transizione verso l’età adulta sono mostruosi (agli occhi dell’uomo, del patriarcato) perché acquisiscono un potere. Ma nel mistero, nel desiderio, nella fame che possiedono non c’è mostruosità. C’è vita. C’è forza.

Abbiamo lasciato indietro “La Grande Veglia”, secondo racconto della lista, che si sviluppa come una profezia. In città i Sonni si staccano dai corpi delle persone (un “dislocamento di massa”, p. 25). Espulsi dai corpi, prendono a vivere di vita propria e aleggiare come fantasmi dispettosi accanto ai proprietari. Non sembra proprio il nostro possibile futuro? All’insegna della produttività già oggi si dorme sempre peggio e sempre meno. Espellere definitivamente dal corpo il Sonno – e magari anche i sogni, l’inconscio ‘ribelle’ che non sottostà alle leggi dell’io – è il naturale e terribile passo successivo.

I racconti di Julia Armfield sono anche percorsi da un filo di sofferenza, legata alle difficoltà delle relazioni interpersonali, specialmente quelle sentimentali. In ∫Pezzi da collezione” dal falò dei ricordi di un amore finito si passa al progetto (macabro) di creare l’uomo perfetto. In “Granito” una novella Medusa è alle prese con la delicatezza di una relazione sentimentale stabile. ∫Schiaffo” – il cui titolo deriva dal termine inglese usato per indicare un gruppo di meduse (smack) – Nicola rifiuta il divorzio dal marito barricandosi nella casa al mare infestata di ricordi e vagheggia di fondersi con un banco di meduse spiaggiate. “Cassandra dopo” è una donna tornata dalla morte con il corpo umido e cadente che si manifesta alla fidanzata insieme con l’esigenza di dare un senso a quel ritorno.

Resta il racconto di chiusura, che nella versione originale dà il titolo alla raccolta. È interessante notare come sia l’edizione originale sia quella italiana scelgano di intitolare il libro con una storia di metamorfosi. “Salmastro e lento” si svolge in un scenario post-apocalittico in cui tutto è stato sommerso da acqua salata. Una coppia su una barca, in una deriva senza tempo, fra animali smisuratamente cresciuti e una creatura che si agita nel ventre di lei. La protagonista ricorda frammenti di Under Milk Wood, di Dylan Thomas (edito da Einaudi nel 2021 nella nuova traduzione di Enrico Testa). È da lì d’altronde che viene il titolo del racconto. Così come la notte “senza stelle e nera come una Bibbia” (p. 155) – che tanti ricordano cantata nella meravigliosa Starless dei King Crimson. E il racconto di Julia Armfield sembra condividere quell’atmosfera liquida e onirica di Llareggub.

Affascinante come il canto delle sirene, la scrittura dell’autrice parla una lingua carnale, corporea. Il corpo è innegabilmente protagonista delle storie raccontate.
Corpi che si trasformano, corpi desideranti, corpi affamati, corpi insonni, corpi in decomposizione o in composizione, corpi addolorati, corpi gelati.
Anche le relazioni fra i personaggi passano molto per i loro corpi (odori, intrecci) e, in particolare, la loro esuberanza può assumere tratti animaleschi. Ma persino il non umano e il non corporeo sono raccontati in modo carnale. Il cielo può avere il colore del polpastrello (p. 159) e la notte quello del fegato (p. 34). I Sonni hanno un odore (p. 37), il mare può mostrare i denti (p. 118) e le settimane possono trafiggere (p. 137).

Bellissima la copertina, che sembra dipingere a colori l’inventiva potente della scrittrice. Un’immaginazione feconda, che può dire di un cielo notturno che “sanguina stelle, come le viscere di una notte sventrata” (p. 164).

Sara Concato

Julia Armfield
Mantide
Bompiani, 2022
168 pagine

Immagine di copertina con sfondo via Unsplash

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