Con 8 miliardi di persone l’impatto sul clima non si dovrebbe discutere
È tempo di lasciar perdere la disputa, che va avanti da generazioni, tra coloro che se la prendono con la sovrappopolazione e coloro che si preoccupano del consumo.
Per una straordinaria coincidenza, proprio mentre governi, campaigner e uomini d’affari sono riuniti oggi* in Egitto per affrontare la crisi climatica, la popolazione mondiale ha ufficialmente abbattuto il record degli 8 miliardi. Significa che la popolazione mondiale è sulla buona strada per arrivare a 10 miliardi per la fine del secolo.
Non ci sarà però nessun tentativo, da parte dei paesi della COP27, di mettere in relazione l’inesorabile crescita del numero di esseri umani con un rialzo in apparenza inarrestabile nelle temperature.
Nonostante i molti miliardi di persone, che saranno presumibilmente in vita da qui a 70 anni, eserciteranno una maggiore pressione sulle risorse e produrranno molte più emissioni, l’esplosione della popolazione viene ancora ignorata, elusa o negata dai leader mondiali.
In parte è dovuto al fatto che parlare di numeri di esseri umani è una questione un po’ delicata. La Storia è disseminata di governi violenti che hanno provato a costringere le persone vulnerabili alla sterilizzazione. L’idea che il numero di esseri umani vada ridotto è spesso stata diffusa anche dai regimi autoritari e dagli estremisti di destra, e l’odierna genuina preoccupazione nei paesi ricchi incontra spesso accuse di razzismo o eco-fascismo.
Lo scienziato James Lovelock amava dire che chiunque non fosse in grado di vedere lo stretto collegamento tra clima e popolazione era “ignorante o fuggiva dalla verità” e aggiungeva: “Questi due enormi problemi ambientali sono inseparabili ed è irragionevole discutere dell’uno senza considerare l’altro”.
Fino ad ora, la tradizionale argomentazione degli intellettuali occidentali è stata che il numero di persone non è importante quanto il modo in cui le persone utilizzano le risorse. Consumo e diseguaglianze sono il problema, non la dimensione della popolazione. Vero, il 10% più ricco consuma in totale quasi 20 volte più energia che il 10% più povero. Perciò sicuramente i ricchi devono modificare il proprio comportamento.
Ma fare della crisi climatica una questione tutta incentrata sul consumo è diventata per i paesi una scusa per non fare neanche lontanamente abbastanza per ridurre la propria popolazione.
La verità è che in un’epoca di crisi climatica, il numero di esseri umani conta. E l’impatto di altri 2 o 3 miliardi di esseri umani dal punto di vista ambientale sarà immenso.
Questo riguarda anche i diritti delle donne. Ignorando la questione della popolazione, le necessità di donne e ragazze vengono messe da parte dai governi troppo ossessionati dai consumi per notare quanto sia vitale l’educazione e la pianificazione familiare per affrontare l’emergenza climatica.
Il premio Nobel Malala Yousafzai l’ha riassunto bene l’anno scorso. “Quando le ragazze ricevono un’educazione e vanno a scuola si sposano più tardi, quindi hanno meno figli e questo aiuta a ridurre l’impatto del cambiamento climatico che la crescita della popolazione implica”, aveva affermato.
“Se ogni ragazza potesse avere accesso ai diritti e alla salute sessuale e riproduttiva attraverso un’educazione di qualità e avesse accesso alla contraccezione moderna, potrebbe ridurre le emissioni”.
Secondo UNFPA (United Nations Population Fund), 257 milioni di donne hanno un bisogno inevaso di appropriata contraccezione, metà delle gravidanze a livello globale non sono pianificate, e quasi un quarto di tutte le donne non hanno sufficiente agency per rifiutare rapporti sessuali.
Eppure annualmente i paesi più ricchi del mondo contribuiscono, messi insieme, con poche centinaia di milioni di dollari all’UNFPA, e ora alcuni di questi promuovono politiche “pro-natalità” per aumentare i propri numeri. Nel 2017, Donald Trump ha tagliato il finanziamento degli Stati Uniti per l’UNFPA e lo stesso ha fatto il Regno Unito l’anno scorso, riducendo dell’85% il contributo all’agenzia, dai 200 milioni di dollari che erano previsti a miseri 32 milioni. Il finanziamento statunitense da allora è stato in parte ripristinato ma, si stima, il denaro britannico da solo avrebbe contribuito a prevenire la morte di circa 250mila tra mamme e bambini, 14,6 milioni di gravidanze indesiderate e 4,3 milioni di interruzioni di gravidanza in condizioni non sicure.
Va abbandonata la disputa, che va avanti da generazioni, tra coloro che se la prendono unicamente con la sovrappopolazione e coloro che sostengono che il consumo è il più grande fattore dell’emergenza climatica.
Infine, e scarsamente preso in considerazione, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, che a livello mondiale raccoglie le opinioni degli scienziati che si occupano di clima, identifica nella crescita della popolazione globale uno dei due principali fattori responsabili delle crescenti emissioni di CO2, affermando qualche tempo fa nel corso di quest’anno che “globalmente, negli ultimi dieci anni il PIL pro capite e la crescita della popolazione sono stati le cause principali di emissioni CO2 da fonti combustibili fossili”. E mette in guardia dal fatto che se la popolazione continua a crescere, “sarà molto più difficile limitare il riscaldamento di 1.5°C”.
Questa dovrebbe essere una prova sufficiente per chiunque che la crescita di popolazione e il suo futuro impatto ambientale sono ora crisi globali gemelle – e le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni della società civile che si riuniscono in Egitto devono urgentemente riconoscere che entrambi stanno portando alla distruzione planetaria, e alla povertà.
Traduzione di Valentina Cicinelli via theguardian.com
*articolo del 15 novembre 2022
**Titolo originale tradotto: “Affermare che una popolazione di 8 miliardi di persone avrà un serio impatto sul clima non dovrebbe essere messo in discussione“
Immagine di copertina via Pixabay