Archivio letterario: “Sorella del mio cuore”, l’India, le donne e la loro forza
Chitra Banerjee Divakaruni racconta un’India intima, la storia di due giovani donne che si sentono più che sorelle e la capacità degli esseri umani di lottare e cambiare il proprio destino.
Intenso.
Scritto nel 1999 da Chitra Banerjee Divakaruni e scovato per caso tra gli scaffali di una libreria, ‘Sorella del mio cuore’ ci immerge nella realtà di Calcutta negli anni Ottanta. Non è però la Calcutta delle strade affollate, del traffico ingestibile, dei clacson suonati all’impazzata e degli slum.
È bensì una Calcutta intima, vissuta all’interno delle mura domestiche, in un mondo fatto di donne e di gesti quotidiani: i capelli massaggiati con l’olio per districarli e renderli più lucenti, le fette di mango essiccate sulla terrazza al sole e sorvegliate per evitare che le scimmie le mangino, la casa che profuma di spezie e di pietanze appena cucinate.
Il romanzo ruota intorno alle figure di Sudha e Anju, due cugine che si sentono più che sorelle. Sono nate nello stesso giorno, il giorno in cui la terribile notizia della morte dei loro padri provoca il parto alle loro madri. E il romanzo si dipana lungo le tappe della loro vita, raccontata a due voci.
Sudha e Anju.
Hanno tre madri: le loro due madri naturali, Nalini e Gouri – quest’ultima si farà tenacemente carico della famiglia dopo la morte dei mariti -, e la zia Pishi, sorella vedova di uno dei loro padri che in quanto vedova dedica la sua vita alla famiglia del fratello.
Sudha e Anju.
Tanto diverse eppure legate da un sentimento profondissimo che supererà indenne, ma non senza tribolazioni, la fanciullezza, la rigidità della scuola cattolica, l’amore negato, i matrimoni combinati, le difficoltà della vita coniugale, i rapporti con i suoceri, la maternità.
Sudha e Anju.
Intorno a loro si dipinge la complessità di una realtà fatta al contempo di superstizione e modernità, di tradizioni e di rivendicazione di una propria volontà altrimenti disconosciuta.
Sulla loro pelle il lettore vive la difficoltà di essere donna nella società indiana: sognano l’amore e la realizzazione professionale ma sono costrette a scontrarsi con una società che lascia loro ben poco spazio.
I matrimoni vengono combinati (ancora oggi è la prassi nella maggior parte dei casi e sicuramente non l’eccezione): ci si affida ad un sensale che propone alla famiglia il curriculum di candidati presumibilmente idonei; la reputazione delle ragazze e la dote che la famiglia può garantire sono ancora dirimenti. E dopo il matrimonio le ragazze devono spesso andare a vivere con la famiglia del marito e prendersene cura.
La maternità mancata è sempre colpa della donna. Si preferisce affidarsi alla benevolenza degli dèi piuttosto che alla scienza. E non parliamo della maternità ‘sbagliata’, quella che genera una bambina invece che un maschio: in una società ancora molto legata a tradizioni e superstizioni, gli esami di diagnostica prenatale sono paradossalmente diventati alla portata di molti e scoprire che la futura madre aspetta una femmina spesso porta la famiglia a imporre l’interruzione della gravidanza.
Ma ‘Sorella del mio cuore’ non è un romanzo di critica alla società indiana o di denuncia.
È un romanzo colorato come i sari preziosi delle bellissime donne indiane dai capelli lunghi e lucenti. È profumato come un piatto esotico cucinato da una cara amica in visita. È fresco come la pelle di una ragazza e luminoso come un gioiello.
Ma è anche cupo come i corridoi bui di case antiche, a tratti tenebroso come un antro celato nel mezzo di una foresta monsonica e oppressivo come l’ombra di un passato da cui non ci si può liberare e come un destino che gli dèi hanno già deciso.
E’ il romanzo di un amore, quello tra le due sorelle, più forte di ogni ostacolo che la vita mette loro davanti. E’ un romanzo sulle donne e sulla loro forza. E sulla capacità degli esseri umani di guardare avanti, di guardare oltre, di lottare e cambiare il proprio destino.
Sorella del mio cuore
Chitra Banerjee Divakaruni
Einaudi, 2016
pp.378, € 12