Annata nera in Palestina: mai così tante vittime dal 2008
Situazione drammatica in Palestina: cresce il numero di morti e di arresti, richiamata l’attenzione della Corte Penale Internazionale.
Quello che sta per chiudersi è stato un anno particolarmente drammatico in Palestina. Nel 2022, infatti, il conflitto arabo-israeliano ha registrato numeri che non si vedevano dal 2008. Sparatorie, conflitti armati, arresti, occupazioni ed evacuazioni forzate nei Territori Palestinesi hanno presentato un conto altissimo in termini di vite umane: secondo le Nazioni Unite, si tratta di 218 i palestinesi uccisi – 166 in Cisgiordania, 49 nella Striscia di Gaza – quasi tutti caduti per mano delle forze israeliane. Si tratta di civili e militanti armati. E una serie di attacchi palestinesi contro israeliani hanno ucciso più di 30 persone tra civili e truppe. Sempre secondo l’Osservatorio ONU, nel 2008 persero la vita 30 israeliani e 497 palestinesi.
Si parla quasi sempre di persone giovani: il caso più recente, il 12 Dicembre, è quello di Jana Zakarneh, 16enne di Jenin, rimasta uccisa sul tetto di casa quando, uscita in cerca del proprio gatto, è stata colpita dal fuoco dei tiratori israeliani. Le Forze Armate di Israele, secondo quanto dichiarato, stanno “indagando sull’avvenimento”.
Del resto, dovranno fare chiarezza anche rispetto all’uccisione di Raed Al – Naasan, 21 anni, colpito a morte pochi giorni prima durante gli scontri avvenuti a al-Mughayyir, villaggio a nord est di Ramallah, dove le truppe israeliane erano andate per l’ennesima demolizione di abitazioni palestinesi abusive. Suscitando, chiaramente, le proteste della popolazione. Secondo un filmato inviato alla BBC, poi pubblicato, e secondo alcune testimonianze, al – Naasan ed altri manifestanti non erano muniti di armi da fuoco ma lanciavano pietre contro le truppe che hanno risposto con la sparatoria.
L’accaduto è emblematico della forma che negli ultimi anni ha acquisito il rapporto di forza tra Israele e Palestina e dello squilibrio che continua a danneggiare la popolazione araba. La distruzione di case “senza permesso”, infatti, è uno dei pretesti più spesso usati dagli occupanti israeliani per continuare l’invasione del West Bank (Cisgiordania) e dei Territori.
A seguito di questi raid che solitamente mietono vittime in Palestina e Cisgiordania, la consueta risposta dell’esercito israeliano è che gli interventi hanno lo scopo di smantellare le reti militanti e contrastare futuri attacchi terroristici. A questa giustificazione, se così possiamo definirla visti gli esiti troppo spesso fatali, gli attivisti palestinesi e i gruppi di diritti umani in loco rispondono che è solamente una modalità per consolidare l’occupazione a tempo indeterminato da parte di Israele. Eppure la presenza di avamposti armati così come la repressione con l’uso di armi da fuoco davanti ad atti di sommossa dove i manifestanti sono muniti solamente di pietre sono situazioni illegittime per la Legge Internazionale.
Davanti alla mancata attuazione degli Accordi di Oslo del 1993 e del 1995, gruppi di attivisti e Organizzazioni che curano i diritti umani nel mondo – come Amnesty, Oxfam o l’Osservatorio sul Medio Oriente delle Nazioni Unite – più volte hanno richiamato l’attenzione Internazionale sulle continue violazioni dei Principi che vengono perpetrate nei Territori.
B’Tselem, gruppo israeliano per i Diritti Umani, ha chiesto alla Corte Penale Internazionale dell’Aia di intervenire per fermare Israele dall’intento di espellere le comunità palestinesi dalle loro case e terre nelle colline a sud di Hebron (nel sud della Cisgiordania).
B’TSelem accusa la legge israeliana di aver violato le norme internazionali. Secondo gli attivisti, “Israele ha cercato di cacciare le comunità palestinesi per decenni, ma ha recentemente intensificato le sue azioni – in portata, gravità e frequenza – in seguito alla sentenza del maggio 2022 della Corte Suprema israeliana”. Il riferimento è alla decisione della scorsa primavera e l’accusa è di “Aver violato le disposizioni del diritto internazionale e i principi morali fondamentali, permettendo che i residenti non hanno il diritto di vivere sulla terra e non ponendo impedimenti legali all’espulsione”.
La riflessione di B’Tselem è che sebbene Israele abbia evitato dal 1999 l’espulsione diretta, attualmente stia sottoponendo i residenti a condizioni di vita intollerabili nel tentativo indiretto di allontanarli. Rispetto a questo comportamento il Direttore Hagai El-Ad che ha firmato l’intervento non ha dubbi: “È una tattica implicita di Israele ma non c’è ambiguità al riguardo: è lo stesso obiettivo, ed è ugualmente un crimine di guerra”.
Scriviamo il banale nell’asserire che il conflitto non troverà a breve miglioramento. Il problema è che la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare: il prossimo Governo israeliano, infatti, sarà molto più aggressivo nel trattare con i palestinesi.
Benjamin Netanyahu, già Primo ministro tra il 2019 ed il 2021, solo ieri ha informato il presidente israeliano, Isaac Herzog, di essere riuscito a formare un governo, a pochi giorni dalla scadenza del mandato affidatogli. Il neonato Esecutivo sarà il più a destra della storia del paese, alimentato in gran parte dall’alleanza con partiti politici ebraici di estrema destra – i cui membri si distinguano per posizioni ultra-ortodosse, anti-arabe e anti-LGBTQ.
Un esempio di tale rappresentanza è il futuro ministro della Pubblica Sicurezza: si tratta di Itamar Ben-Gvir, un convinto sostenitore degli insediamenti e degli avamposti secondo cui ai palestinesi che lancino pietre spetterebbe la fucilazione. Mentre ai soldati israeliani coinvolti in raid mortali dovrebbe spettare l’immunità.