Il mondo osserva con preoccupazione l’attacco del bolsonarismo alla democrazia brasiliana

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Migliaia di sostenitori di Bolsonaro hanno occupato nel pomeriggio di domenica le sedi del potere giudiziario, esecutivo e legislativo a Brasilia, portando all’estremo la contestazione di vocazione golpista contro il presidente Lula da Silva. Agenti della Polizia Militare di Brasilia, con l’appoggio delle truppe dell’Esercito, hanno sgomberato l’accampamento.

L’occupazione, durata circa cinque ore, della sede dei tre poteri democratici del Brasile si è conclusa per il momento con 400 arresti, dopo che Lula ha ordinato l’intervento federale a Brasilia, sospendendo il governatore Ibaneis Rocha dalle sue funzioni per 90 giorni, e ha assicurato che i responsabili di questo attacco non rimarranno impuniti.

Dopo ore di tensione, forze di sicurezza della Corte Suprema e poliziotti antisommossa in formazione d’assalto hanno alla fine sgomberato il Congresso Nazionale, il Palacio de Planalto – sede dell’esecutivo – e la Corte Suprema, occupati da migliaia di bolsonaristi le cui azioni nel corso di domenica 8 gennaio sono finite su tutte le prima pagine, e sui social network, con un chiaro riferimento a quanto successo il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, quando un’altra moltitudine, in quell’occasione composta dai sostenitori del presidente Donald Trump, volle contestare la vittoria elettorale di Biden occupando la sede del potere legislativo statunitense vestendo abiti vistosi e inediti.

Chi è in arresto rischia fino a 12 anni di carcere per tentato colpo di Stato. Nel corso della mattina di lunedì 9, quando agenti della Polizia Militare di Brasilia hanno bloccato gli accessi, è stato sgomberato l’accampamento che da ottobre – dopo le elezioni – si trovava di fronte al quartier generale dell’Esercito. Senza l’utilizzo della forza, in mezz’ora era vuoto. 

Domenica, i diversi edifici erano vuoti. Finestre rotte, mobili distrutti, e un clima di impunità e arroganza, questo è quanto hanno lasciato dietro di sé migliaia di sostenitori dell’estremista Jair Bolsonaro, che sono potuti entrare negli edifici delle istituzioni di Brasilia senza quasi resistenza da parte della polizia, secondo quanto ha denunciato ore dopo lo stesso Luiz Inácio Lula da Silva. Dopo essere stato avvertito dell’avanzata golpista nella capitale amministrativa del paese, il leader veterano, insediatosi come presidente lo scorso 1 gennaio, ha convocato una conferenza stampa da San Paolo, dopo una riunione d’emergenza con i suoi ministri.

Il presidente, in particolare, si trovava ad Araquara, dove si era recato insieme ai ministri del Lavoro, Luiz Marinho, delle Città, Jader Filho, e dello Sviluppo Nazionale, Waldez Góes, dopo l’alluvione che aveva colpito la località causando la morte di 6 persone. Oltre ai ministri che si trovavano con lui, il presidente eletto si sarebbe riunito in videoconferenza con i ministri della Difesa, José Mucio Monteiro, della Giustizia, Flavio Dino, e delle Relazioni Istituzionali, Alexandre Padilha. Ha inoltre messo in chiaro via twitter che considera Bolsonaro e i partiti che lo appoggiano responsabili di quanto accaduto.

L’offensiva bolsonarista segna l’apice di mesi di tensioni dopo la vittoria di misura del candidato del Partito dei Lavoratori al ballottaggio, lo scorso 30 ottobre, a conclusione di una campagna elettorale segnata dall’aggressività dei sostenitori dell’allora presidente Jair Bolsonaro che, nei lunghi mesi che hanno preceduto l’ultimo appuntamento alle urne, hanno continuamente messo in dubbio che Lula potesse vincere senza imbrogliare alle urne. Con questa stessa narrativa come vessillo, centinaia di manifestanti hanno superato domenica sera la barriera della polizia che proteggeva l’area istituzionale, invadendo la Explanada de los Ministerios, e salendo per la rampa che conduce agli edifici del Parlamento e del Senato.

I manifestanti si erano riuniti nel quartier generale dell’Esercito – di fatto, negli ultimi mesi si sono accampati all’entrata delle caserme per richiedere un “intervento” militare che impedisse l’insediamento di Lula – da dove si sono diretti alle sedi della democrazia brasiliana. Secondo quanto riportato da alcuni testimoni, sembrerebbe che i simpatizzanti di Bolsonaro siano stati guidati dalla polizia militare fino a raggiungere il loro obiettivo.

Bolsonaro è andato via

Durante l’insediamento dello scorso 1 gennaio, emozionato davanti a centinaia di migliaia di persone Lula ha pronunciato un discorso molto critico nei confronti del suo predecessore nel quale affermava di farsi carico di un Brasile “in rovina”, e accusava il presidente uscente di aver saccheggiato le risorse del paese:

“Lo Stato è stato distrutto in nome di ipotetiche libertà individuali (…) Hanno svuotato le risorse destinate alla salute. Hanno smantellato l’educazione, la cultura, la scienza e la tecnologia. Hanno distrutto la tutela ambientale. Non hanno lasciato risorse per le mense scolastiche, vaccinazioni, sicurezza pubblica, tutela forestale, assistenza sociale”. 

Bolsonaro non era presente all’insediamento, partito per gli Stati Uniti qualche giorno prima. Prima aveva rotto il silenzio che aveva mantenuto dopo la sua sconfitta, esortando i suoi sostenitori a esprimere una dura opposizione. Mesi di agitazione della destra e la stoccata finale di Bolsonaro sembrano aver dato i frutti, in un chiaro parallelismo con quanto avvenuto negli Stati Uniti quando Trump perse il potere, come in tanti hanno ricordato sui social network: seminare sospetti sulla correttezza delle elezioni, lasciando che gli esponenti più estremisti tra i propri fedeli attacchino le istituzioni democratiche arrogandosi la missione di proteggere le libertà del paese, sembra essere il modus operandi di un’estrema destra che non si rassegna a perdere il potere.

Gli oppositori di Lula sostengono un’argomentazione che viene ripetuta ancora e ancora dalle masse che hanno invaso gli edifici istituzionali a Brasilia, e che è facile trovare ovunque sui social network. “Il popolo ha preso il potere, i brasiliani non accetteranno il risultato fraudolento di elezioni che hanno designato come presidente un criminale”, così una delle manifestanti sintentizzava in un tweet la narrativa.

Già nel corso del 7 gennaio, dopo giorni di mobilitazione, l’attivista Thiago Dos Reis metteva in guardia dalla modalità esplicita con la quale i simpatizzanti di Bolsonaro incitavano al Colpo di Stato. Altri mezzi di comunicazione fanno notare che il movimento potrebbe essere stato incoraggiato direttamente da Orlando dove si troverebbe, oltre a Bolsonaro, l’allora segretario di Sicurezza di Brasilia, Anderson Torres, rimosso oggi dal suo incarico dal governatore Ibaneis Rocha ritenendolo responsabile degli eventi di domenica. Tanto Torre quanto Rocha sono alleati di Bolsonaro.

Traduzione di Valentina Cicinelli da elsaltodiario.com

Immagine di copertina via twitter.con/Gizmodo

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