Arte Liberata 1937 – 1947: in mostra a Roma i capolavori salvati dalla guerra
Fino al 10 aprile 2023 le Scuderie del Quirinale ospitano oltre cento opere. Una storia, più che una mostra, un racconto di fatti e di persone straordinarie.
Perché sono gli uomini e le donne i protagonisti della vicenda, il loro impegno, la devozione verso il loro ruolo e persino l’amore che nutrivano verso oggetti che rimandano a concetti astratti come arte, patrimonio, Stato. Astratti fino a un certo punto. Per quanto oggetti, essi erano vivi, di un valore talmente universale da spingere tali uomini a rischiare la vita per salvare e salvaguardare tali opere. In un periodo storico più che mai concretamente brutale.
Ma andiamo ai fatti
Come ogni buona storia c’è bisogno di un contesto che faccia da “arena”, da cornice agli eventi che si susseguono. Come si può bene intuire dal titolo tale scenario è la guerra. Ma – attenzione! – le date riportate vanno oltre i confini canonici della seconda guerra mondiale. La nostra storia comincia alcuni anni prima dell’effettivo scoppio del conflitto.
Il conflitto era nell’aria, sebbene, memori della grande tragedia che era stata la Grande guerra, ogni potenza si prodigava per evitarla. Ben prima del 1939 tutto faceva pensare che in Europa stesse per accadere qualcosa che avrebbe sconvolto l’immagine del mondo che i contemporanei conoscevano. Certo, non potevano immaginare la portata degli orrori che si sarebbero susseguiti. Il continente era in fermento. Attività diplomatiche, colloqui, trattative a vari livelli. Quasi stupisce pensare che tra faccende di tale gravità si inserisca la vicenda di un piccolo gruppo di uomini e di donne che si occupavano di arte -niente di più lontano dall’esercizio bellico -, funzionari dello Stato, piccoli a giudicare da lontano, ma che in quegli anni hanno fatto la differenza nella salvaguardia del nostro patrimonio. I nostri protagonisti.
Sullo sfondo il nemico
Come in un film entriamo nella storia partendo dalla semi oscurità di un corridoio e ci imbattiamo subito in un piccolo cerbiatto in bronzo. Niente di più pacifico. Sullo sfondo campeggia la foto di due uomini, davanti a una casina di caccia, che conversano placidamente guardando l’orizzonte. L’idillio campestre si interrompe non appena riconosciamo i volti delle figure ritratte. Hitler e Göring, in un momento di riposo con a fianco proprio il cerbiatto. Una statua, il Cerbiatto di Ercolano, che in quel momento doveva essere altrove.
Al Museo archeologico di Napoli. E invece lo ritroviamo svilito, come un nano da giardino, di fronte alla sontuosa tenuta estiva di Göring. Preda della cupidigia di quest’ultimo, che non si faceva scrupoli a razziare opere d’arte da Napoli, Ercolano, Pompei, dai grandi musei di tutta Italia. Un meraviglioso Tiziano si ergeva nella sua stanza da letto. E pensare che erano i nostri alleati!
L’Italia, per quegli uomini senza scrupoli, era terra di conquista, e così l’immenso patrimonio culturale e artistico di cui si volevano appropriare. Il Cerbiatto di Ercolano è un simbolo, così come il famoso Discobolo Lancellotti che ci viene mostrato subito dopo. Il monumento al vigore ariano, dono del Führer al popolo tedesco, forzatamente sottratto al legittimo proprietario e al popolo italiano.
Ma, come dicevamo, oltre alle meravigliose opere d’arte esposte, la mostra ci racconta degli uomini che le hanno protette e degli sforzi che hanno dovuto compiere. Attraverso le testimonianze di atti ufficiali e lettere private, pagine di diario di uomini che, di fronte al pericolo che la guerra avrebbe potuto costituire per l’arte, hanno sentito l’esigenza di difendere le nostre innumerevoli opere.
Un lavoro enorme
Uomini che appaiono ordinari, in tempo di pace, con mansioni lavorative apparentemente normali, semplici studiosi dell’arte, in quel frangente diventano uomini e donne di azione. Straordinari. Atti ufficiali, lettere private, pagine di diario ci testimoniano l’immenso sforzo e la passione con cui questi “piccoli” funzionari dello Stato hanno difeso la nostra identità culturale.
E vediamo il ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, che in tempi non sospetti ha cura di fare una legge sui Beni Culturali che ancora oggi funge da base alla tutela del nostro patrimonio; vediamo tramite le foto e i video la fatica degli operai che riempiono di sacchi e di rivestimenti tutte le cattedrali d’Italia, un enorme cantiere che ci rimanda all’immagine dei loro omologhi del passato che, invece, le hanno costruite.
Non ci stupirà più se ci capiterà di vedere una foto successiva, del 1976, in cui l’allora sindaco di Roma, Carlo Giulio Argan – futuro pilastro della storia dell’arte -, in visita ufficiale in Vaticano, ride e scherza con il Papa – futuro santo – Paolo VI, perché ora sappiamo che durante la guerra, quando l’uno era un giovane studioso e l’altro un cardinale, più di ogni altro si sono prodigati a nascondere, celare, restituire tutte le opere che oggi abbiamo l’opportunità di vedere.
Immaginiamo un Pasquale Rotondi che letteralmente sottrae dei furgoncini alle prefetture marchigiane e svuota Urbino di tutte le opere per spostarle nella più nascosta Sassocorvaro. Sentiamo il sudore di un Pietro Zampetti in bicicletta che fa su e giù da Modena a Guglia con quadri di immenso valore incartati e messi in un portapacchi. Allo stesso modo una giovanissima Palma Bucarelli che sfida la consuetudine fascista che vuole la donna dimessa e sottomessa (lei, ispettrice della Galleria Borghese a soli 23 anni) alla guida di una Fiat Topolino e svuota Palazzo Farnese a Caprarola dove erano ricoverate le “sue” opere della Galleria d’Arte Moderna.
Nomi, questi e molti altri, che fino a ieri erano quasi dimenticati. La storia in mostra alle scuderie del Quirinale ci restituisce questi personaggi. “Monuments Men“, degni di un film hollywoodiano. Un film di cui per una volta apprezziamo lo spoiler.
Perché grazie a loro quest’Arte, oggi è qui. Liberata.
Articolo a cura di Andrea Pezzullo