I Santi Francesi a Largo Venue di Roma… bene, ma non benissimo
Dopo la vittoria dell’ultima edizione di X Factor i Santi Francesi hanno portato lo scorso 26 gennaio la loro musica sul palco del Largo Venue di Roma.
Per chi ha seguito X Factor 2022 sa bene che i Santi Francesi hanno conquistato tutti da subito con la loro presenza scenica, ottima competenza tecnico-musicale, gran voce e una buona capacità di scrittura.
Tanto che lo stesso Rkomi, il loro giudice, ha detto più volte di non aver molto da insegnare ai due musicisti di Ivrea, capaci anche di buoni arrangiamenti nelle cover (in primis Creep dei Readiohead).
Ma un conto è fare colpo e vincere a X Factor. Un altro è cavarsela nella giungla del music business contemporaneo.
Come molti concorrenti del talent show, firmato dalle case di produzioni inglesi FremantleMedia e Syco, anche i Santi Francesi hanno voluto battere il ferro finché era caldo. Si sono così lanciati, a poco meno di due mesi dalla vittoria, in un mini tour di sette date (con doppietta a Roma), partendo da Torino il 18 gennaio e chiudendo a Firenze a fine mese: quattro i sold-out, tre i cambi di location per questioni di capienza.
Insomma, i Santi Francesi piacciono. E sono piaciuti anche al pubblico del Largo Venue cui hanno regalato un live esaltante e adrenalinico. Il mio lavoro, però, è andare a cercare il pelo nell’uovo, non per il gusto di stroncare l’artista, ma con l’auspicio che questo possa prendere le critiche come spunti per migliorare.
Quindi passiamo alle note dolenti della serata.
Partiamo dalla setlist. Sedici canzoni e tra queste solo due cover: la già citata Creep e California, la canzone dei Phantom Planet del 2002 che ha avuto la fortuna di finire come sigla della serie televisiva The O.C. Per il resto hanno attinto dal loro repertorio di canzoni.
Canzoni, quelle dei Santi Francesi, che al netto delle tre eccellenze Pagliaccio, Un Ragazzo di Strada e Non è Così Male contengono pochi elementi di originalità e li collocano troppo vicino ai The Giornalisti (lascio al lettore e ai diretti interessanti catalogare questo accostamento). Però c’è da dire che la canzone fatta insieme ai Fast Animals and Slow Kids, Spaccio, rende tantissimo (anche se sul palco non ci sono i FASK…), anzi direi che l’altra sera sono riuscito ad apprezzare veramente questo pezzo che, ascoltato su Spotify, non rende come dal vivo.
Capisco che la volontà di un artista sia quella di presentare i propri lavori, ma se si ha un catalogo esiguo di canzoni da cui attingere forse conviene, in attesa di nuove canzoni, mettere più cover all’interno dello show. In quanto ad arrangiamenti e interpretazione di canzoni scritte da altri, come dicevamo, se la cavano alla grande. Perché allora non osare su questa strada almeno temporaneamente?
Il fiato e gli intermezzi sono un’altra cosa su cui lavorare. È vero, i Santi Francesi vengono da mesi molto intensi e sono stati preparati per dare il massimo in singole performance con molte pause tra un’esibizione e l’altra, ma quando vai in tour e la sera sali sul palco, anche se solo per poco più di un’ora, devi essere allenato altrimenti la capacità vocale ne risente.
Infine, è evidente l’affiatamento artistico tra Alessandro De Santis e Mario Francese, ma dovrebbero lavorare un po’ sugli sketch (sostantivo non troppo calzante, ma ci siamo capiti!) sia tra loro che con il pubblico: va bene che spontaneità e genuinità sono i loro punti di forza, ma se vuoi sopravvivere là fuori devi mettere a punto tutti i dettagli di uno show.
Ottima, infine, la scelta di farsi affiancare da un batterista per tutto il concerto. Chissà che in futuro il duo possa farsi accompagnare anche da altri musicisti per arricchire il sound live, ma sto mettendo troppa carne al fuoco.
Spero tanto che finito questo tour scrivano nuove canzoni, la stoffa c’è, il talento non gli manca e l’attitudine è quella giusta. Santi Francesi, ho tifato per voi e continuo a tifare anche fuori gara… non deludetemi.
Testo di Damiano Sabuzi Giuliani
Foto di Mirko Pizzichini
Ciao a tutti, in particolare all’autore della recensione, che ringrazio per aver dato risalto a questi “Giovani favolosi” (cit.). Approfitto comunque di questo spazio (mi dilungo un po’, perdonatemi) per condividere alcune considerazioni, che a mio parere arricchiscono i contenuti dell’articolo. In primo luogo, rispetto all’osservazione che con un ‘catalogo esiguo di canzoni da cui attingere forse conviene, in attesa di nuove canzoni, mettere più cover’, che condivido in parte, ma per il fatto che ne ho ascoltate un po’, nel corso del tempo, anche risalenti, che comunque mi hanno fatto venire, per così dire, l’acquolina in bocca e fatto sperare di ritrovarle ed ascoltarle lì, magari come fuori sacco nelle due serate romane (eh sì, troppo attraenti con quel timbro e quei suoni manco troppo vagamente prog contaminati in modo gustoso, per decidere di godere di quell’atmosfera per una sola sera).
Vale inoltre la pena precisare che oltre a “Creep” e “California” anche “Un ragazzo di strada” è una cover del pezzo del 1966 cantato da I Corvi, a sua volta versione italiana del brano “I Ain’t No Miracle Worker” cantato dai Brogues, gruppo americano dell’epoca.
Quanto al fiato, quindi alla sua gestione, è immaginabile che ci sia il supporto di un vocal coach, così come è evidente che Alessandro De Santis – così come il suo sodale Mario Francese – sia un perfezionista (e come tale forse quasi mai pienamente soddisfatto della sua esibizione) tanto che mentre cantava istintivamente indirizzava chi del pubblico cantava ad utilizzare toni più alti o più bassi in un dato momento (l’ho sentito con le mie orecchie rivolgersi a Mario e dire “buona eh?” quando un coro del pubblico era stato particolarmente ‘centrato’).
Gli intermezzi portano ricchezza all’esibizione e sono certamente importanti per loro per costruire nell’atmosfera della serata, per portare nella loro personalissima bolla (basta osservarli per capire dove sono mentre l’uno suona e l’altro canta) un’intimità luminosa con le persone che sono lì ad ascoltarli. E credo che il consiglio di mettere a punto i dettagli dello show sia corretto, purché nell’ottica dello showbiz loro non siano compressi fino al punto di non essere più spontanei: l’incantesimo si romperebbe.
Condivido pienamente che avere sul palco Daniel Fasano (che non è proprio un batterista qualunque), ben noto nel mondo live, anche lui come Alessandro e Mario polistrumentista e perfezionista che costruisce con attenzione i suoi set, curando particolarità dei suoni in modo non comune, sia stata una scelta corretta e illuminata, aggiungerei, che ha portato grande pienezza e – a volte – morbidezza ai suoni.
Quanto all’idea che i Santi possano farsi accompagnare da altri nelle performance live, confesso che sarebbe stato magnifico se almeno nelle venue romane, al momento di “Signorino” fosse comparso sul palco o in un’altra parte del locale Rodrigo D’Erasmo, che per quel pezzo, in studio, ha messo il suo violino (l’ho sperato, davvero).
Come giustamente conclude la recensione, la stoffa c’è e soprattutto è di qualità eccellente, il talento e l’attitudine sono lì e sono quelli giusti, quindi… bisogna solo aspettare fiduciosi!
Simonetta
Gentile Simonetta,
sono l’autore dell’articolo e ti rispondo in primis per ringraziarti.
Nel 2023, purtroppo, non capita spesso che ci siano commenti così articolati e ponderati. Spesso dimentichiamo che di fatto i commenti servono per migliorare la qualità degli scritti, a mettere l’autore in discussione, a fare precisazioni importanti, a offrire un altro punto di vista o comunque ad avviare un dibattito, senza tifoserie da stadio o censure poco educate.
Sarò sincero: prima di pubblicare il pezzo ho avuto diversi dubbi e non volevo che il testo passasse come una stroncatura, volevo bensì mettere in luce gli aspetti meno riusciti dello show affinché questi possano essere migliorati in futuro.
La criticità risiede secondo me nei tour di questo tipo, realizzati a stretto giro per sfruttare al massimo post talent l’attenzione che la band si è guadagnata in quel contesto. Ne ho visti diversi, come diversi sono gli artisti che sono stati portati sul palmo delle mani dal music business senza dare loro il tempo di adattarsi ai nuovi schemi.
Tanti sono gli artisti che ho visto bruciare in fretta perché, una volta usciti da X Factor (ma potrei citare anche altri talent show), non sono stati messi nelle condizioni di far crescere la loro arte.
Ora, probabilmente questo non sarà il caso dei Santi Francesi i quali hanno dimostrato capacità e carattere… ma non si sa mai.
Spero che dal pezzo si sia capito che ci credo davvero nei Santi e che, con il giusto lavoro, sapranno fare show più belli e coinvolgenti di quello che abbiamo visto. Come hai giustamente evidenziato anche tu, la presenza sul palco di Fasano è stata azzeccata e ha dato risalto a diverse parti dello spettacolo così come, e anche qui sono d’accordo con te, sarebbe stato interessante vedere sul palco del Largo Venue un “super ospite” come avvenuto nella data milanese in cui sono stati presenti addirittura 2 ospiti diversi (Tropea e FASK). Ma tutto questo non basta: c’è ancora molto da lavorare per mantenere alto il livello e non finire nel dimenticatoio.
Aspettiamo fiduciosi dunque, e se usciranno nuovi lavori inediti avranno tutta la mia attenzione così come, se torneranno Roma per uno spettacolo, mi vedranno in prima fila e mi auguro di scrivere un live report decisamente diverso da questo.
Grazie ancora e a presto.
Damiano