La vera storia dell’invenzione della pittura astratta
Intorno al 1910 vari artisti in Europa prendono le distanze dal reale. Dietro le quinte si gioca allora una gara per decidere chi rimarrà nella storia come l’inventore dell’arte astratta: Kandinsky, Kupka, Delaunay o Picabia? Lista a cui vanno aggiunte d’ora in poi le donne, come Hilma af Klint e Georgiana Houghton.
Chi ha inventato l’astrazione? Buffa domanda, il mistero sembra risolto da sempre… È stato Kandinsky, direte voi, nel 1911, in una prodigiosa epifania. Osservando un suo quadro poggiato di traverso, l’artista non riusciva a riconoscere la sua composizione. Fu però soggiogato da quell’opera, che gli sembrò tanto bella e nettamente superiore a ciò che aveva dipinto fino ad allora; concluse che “l’oggetto nuoce al quadro”. Forte di questa rivelazione quasi mistica, Kandinsky abbandonò la rappresentazione e inventò un paradigma inedito che sconvolse l’arte: l’astrazione.
Un’avventura collettiva
Tutti gli studenti di arte hanno sentito almeno una volta questa storia, peraltro a lungo accettata dalla storiografia. Bisogna dire che questa visione demiurgica del genio solitario si concilia bene con una storia dell’arte che trae vantaggio dal culto della personalità e con una logica della tabula rasa. Oggi sappiamo che la realtà è più complessa, e più interessante anche. E che questa invenzione non è un’epopea personale, ma, al contrario, il frutto di un’avventura collettiva; un’ispirazione nutrita congiuntamente da un nugolo di artisti all’inizio degli anni 1910 sparsi un po’ ovunque in Occidente, ma riuniti nella rete iperconnessa delle avanguardie.
Questa tendenza si è tradotta in una sfrenata effervescenza creativa, contraddistinta da una grande eccitazione, ma anche dalla presa di coscienza di un salto nel vuoto. Vuoto che numerosi pionieri tenteranno di colmare per mezzo di aneddoti e trattati. Kandinsky, Kupka, Mondrian, Larionov, Malevich, solo per citare i più celebri, firmeranno tutti dei testi teorici, come se questo fiume di parole e di concetti potesse contrastare le inevitabili critiche alla mancanza di senso. C’è da dire che si trattava nientemeno che di rompere con una tradizione secolare: rinunciare alla rappresentazione della realtà per fabbricare opere di un’essenza radicalmente nuova, dove forme e colori diventavano l’unico soggetto.
La querelle degli inventori
Se Kandinsky ha tanto romanzato questa maieutica, è perché era consapevole di partecipare a un’avventura eccezionale, una rottura di cui bisognava reclamare la leadership. Ma una rottura che bisognava anche legittimare, ragion per cui dal 1912 pubblica un trattato sull’astrazione, Lo spirituale nell’arte, appena qualche mese dopo l’esposizione della sua prima opera astratta, Composizione V, presentata alla fine del 1911 nella mostra inaugurale del gruppo Il Cavaliere azzurro, a Monaco. Qualche mese dopo, al Salon d’Automne a Parigi, altri pittori entrano in campo. Picabia espone La Source, Léger presenta La donna in blu e Kupka esibisce Anamorpha. Quest’ultima opera è così spettacolare che viene persino filmata per il cinegiornale. Ma la cronologia si complica quando Kupka spiega in seguito che questo quadro non è la sua prima opera astratta. Il primato spetterebbe a Notturno, opera del 1910 esposta solo decenni più tardi. Idem per Picabia che rivendica a sua volta la paternità dell’astrazione con Caoutchouc, un guazzo del 1909 presentato però in pubblico solo durante gli “Anni folli”.
Entrano in gioco altri pittori, promuovendo opere che aspirano a farsi punto di svolta. Certe sono retrodatate, in particolare alcune firmate da Delaunay e Larionov, il che aggiunge opacità a questa ricerca delle origini. Fra i pionieri, quindi, la rivalità infuria. E in modo crescente man mano che la nuova arte viene riconosciuta. Non sentendosi messo abbastanza in risalto nella mitica esposizione “Cubism and Abstract Art”, nel 1936 Kandinsky prende la penna per chiedere giustizia ad Alfred Barr, il direttore del MoMA.
La guerra delle vedove
La querelle s’intensifica ancor più dopo la seconda guerra mondiale, quando l’astrattismo trionfa e si istituzionalizza con le prime mostre e storie redatte dai critici d’arte. E soprattutto perché molti suoi araldi scompaiono in quel periodo. “Dopo la morte di Kandinsky nel 1944, si inizia a fare il bilancio dell’arte astratta”, riferisce Arnauld Pierre, professore all’Università Paris I, coautore di L’Abstraction [Citadelles & Mazenod, 2021]. “È in questo contesto che Nina Kandinsky riesuma il famoso Aquerello del 1910 come opera canonica; opera su cui gli specialisti concordano nel dire che si tratti certamente di uno studio preparatorio per un quadro del 1913”.
La guerra delle vedove è dichiarata; Gabriële Buffet-Picabia tira fuori Caoutchouc, composizione che gli esperti oggi analizzano come natura morta molto geometrizzata in cui ancora si scorge la forma iniziale dei frutti e dei lembi del tavolo, mentre Sonia Delaunay-Terk conduce un’intensa campagna per il riconoscimento del ruolo di prim’ordine giocato dal suo defunto marito Robert nella nascita dell’astrattismo. Anche i biografi prendono parte al dibattito. Per Waldemar-George, Larionov ha inventato l’astrazione dal 1909, mentre Georges Annekov ne attribuisce la paternità a Čiurlionis. Quest’ultima ipotesi porta alle stelle un artista poco noto e non fa quindi molto furore. Tanto più che il pittore allora si inseriva più nel registro del simbolismo sacro, un’appartenenza che pare squalificarlo in partenza per il brevetto dell’invenzione.
Pioniere occulte e occultate
Questa iper-personalizzazione abbinata a una scrittura strettamente formalistica dell’arte moderna, di fatto ha distolto il dibattito dalla questione del terreno culturale su cui è emersa l’astrazione. Perché questa sensazionale rivoluzione non viene dal nulla; anzi, è il risultato di decenni di riflessioni che percorrono il pensiero occidentale tra interrogativi filosofici ed esoterici. Questa dimensione è stata a lungo taciuta, non dai pionieri che affrontano senza giri di parole il loro radicarsi nel mistico e nelle pseudoscienze che pullulano alla fine del XIX secolo, con la promessa di svelare realtà invisibili, ma dai loro esegeti, che cercheranno di cancellare questo sostrato occulto e il suo universo estetico.
“Tutta l’ispirazione teosofica di Kandinsky, Mondrian e Kupka è stata, se non negata, quanto meno minimizzata”, conferma Arnauld Pierre. “Il racconto formalistico del modernismo così com’è stato elaborato, soprattutto dalla critica anglosassone, è stato talmente restio a questa cosa che in realtà interi pezzi di storia culturale dell’astrattismo sono stati occultati fino a poco tempo fa”. È stato infatti necessario attendere gli anni 1980 per una lettura alternativa. La mostra “The Spiritual in Art”, presso il LACMA nel 1986, fornisce nuove griglie di lettura sulla pregnanza di questa dimensione spiritualistica. Questo contropiede storico alle letture materialistiche ha anche permesso di scoprire nuovi attori in una storia che si pensava scolpita nel marmo. A partire da Hilma af Klint, pittrice svedese catapultata nel giro di qualche anno nel ruolo di madre dell’astrazione con una prima opera non figurativa realizzata nel 1906.
Hilma af Klint, dipingere attraverso di sé
Ieri sconosciuta, Hilma af Klint è divenuta in pochi anni il nuovo idolo dei musei e del pubblico. Con più di 600.000 visitatori, la retrospettiva su di lei al Guggenheim nel 2019 è stata la mostra più frequentata del museo newyorkese. Una vera success story, la sua vita possiede infatti tutti gli ingredienti per sedurre, per non parlare dell’opera, che spicca per la sua novità. Artista convenzionale proveniente dalla Royal Academy of Fine Arts di Stoccolma, conduce in apparenza una carriera tranquilla dipingendo sobri paesaggi. La sua vita prende un’altra piega quando incontra lo spiritismo. Convinta di essere in contatto con degli spiriti, fonda con altre artiste il gruppo delle Cinque. Nel corso delle loro sedute, le appaiono angeli che le affidano un progetto grandioso: realizzare una serie di quadri per un tempio. A partire dal 1907, dipinge quasi duecento grandi formati che evocano la materializzazione dell’anima e la geometria sacra dell’universo attraverso un repertorio di punti, linee, cerchi e motivi biomorfici e ornamentali. Queste opere colpiscono anche per la tavolozza vivace e acidula e l’opacità della superficie. Esegue peraltro migliaia di disegni e compila numerosi taccuini che custodiscono le chiavi di lettura di opere che definisce “dipinte direttamente attraverso di me senza schizzo preliminare e con grande forza”.
Quasi braccio armato di spiriti superiori, rifiuta di assumere pienamente si di sé la responsabilità di questo corpus radicale. Argomento che sembra squalificarla nella gara fra pionieri. D’altronde, non firma le sue creazioni spiritiche, a differenza della produzione commerciale. Altra circostanza aggravante, non assume pubblicamente su di sé queste opere, che vengono mostrate solo a una cerchia di iniziati. “Nel suo caso, si può davvero parlare di occultazione volontaria”, afferma Pascal Rousseau, professore all’università Paris I e coautore de L’Abstraction. “Temeva che il pubblico non fosse pronto ad accettare delle opere così radicali. Le ha nascoste e ha chiesto tramite testamento che non fossero mostrate se non vent’anni dopo la sua morte”.
Pratiche spiritiche mal tollerate
Bisogna dire a sua discolpa che tutto ciò che attiene all’occultismo è stato a lungo screditato e poco investigato dagli studiosi, che in tali pratiche vedevano solo “roba da donne”. Il genere femminile era, effettivamente, molto rappresentato nelle società spiritualistiche. Non tanto perché le donne fossero spiritualiste, ma perché questi circoli le accoglievano volentieri, contrariamente ad altri luoghi di socialità e perché le partecipanti trovavano in questi movimenti dei valori progressisti. La teosofia, per esempio, metteva il femminile e il maschile sullo stesso piano. Tuttavia queste pratiche sono state a lungo marginalizzate e verso queste artiste si nutre ancora sospetto. Il ricercatore americano Pepe Karmel nel suo recente lavoro Abstraction Art: a Global History trova deplorevole che, malgrado le conoscenze attuali, le opere di af Klint ancora non rientrino appieno nella “astrazione seria”.
L’invisibilizzazione è ancora più sorprendente nel caso di Georgiana Houghton – un’artista più che pioniera, visto che le sue opere astratte risalgono al 1860! Non erano angeli ad assisterla, ma spiriti, soprattutto quelli del Tiziano e del Correggio. Sotto il loro impulso realizza disegni di un’audacia sbalorditiva. Composti da intrecci di linee dinamiche, sono votati a “ripristinare il potere della comunione con l’invisibile”, come annota nelle sue memorie. Perché lei ha cercato tanto di mediatizzare la sua opera. Attraverso le sue memorie appunto, ma anche per mezzo di una mostra organizzata in una galleria londinese nel 1871, mostra accompagnata da un catalogo che permette di interpretare le opere che rappresentano concretamente nozioni di astrazione teologiche e un simbolismo sacro basato su un sistema di corrispondenze intorno al colore e alla forma.
Le “follie” di Georgiana Houghton
Georgiana Houghton si presenta come medium, rivendicando quindi pienamente la sua produzione e il suo procedimento, ma la sua pratica spiritica è mal tollerata. Sappiamo infatti che la famiglia aveva contattato un medico per verificare la sua salute mentale. L’artista però non si lascia abbattere e, certa delle sue qualità medianiche e artistiche, intende condividere i suoi talenti con il mondo intero. Perciò organizza questa esposizione: appende i 155 disegni e acquerelli, fissa i prezzi e assicura la promozione della sua mostra attraverso una campagna pubblicitaria. Nella galleria, si fa anche carico dell’intermediazione e propone ai potenziali clienti di andare a vederla in azione durante una sessione di lavoro. La sua opera visionaria tuttavia non viene accolta bene né compresa, la stampa parla di “assurdità”, di “follie”. Rovinata e ferita da tale accoglienza, spiega che la sua arte “non può essere criticata in funzione dei canoni accettati o noti”. Incompresa, la sua arte è presto dimenticata, così come la sua autrice, che sprofonda in un limbo finché non risorge nella mostra organizzata nel 2016 al Courtauld Institute. Da quel momento in poi torna nella genealogia dell’astrattismo.
Le pioniere dell’arte totale
L’incursione di queste nuove attrici fa vacillare una visione sclerotizzata, incentrata su un approccio materialistico alla pittura. “È importante non circoscrivere la storia dell’arte astratta a quella della pittura, cliché delle tradizioni moderniste, ma, al contrario, rivendicare una lettura più intermediale”, afferma Pascal Rousseau. “Dal momento che l’astrazione non è nata sulla tela, ma sulla scena, negli spettacoli di proiezioni cromoluminose oggi totalmente dimenticati”. Nel XIX secolo, una manciata di artisti, fra cui Alexander Wallace Rimington, sviluppano un procedimento futuristico che genera immagini nelle quali non c’è “né forma, né soggetto, ma solo il colore puro”. Un’esperienza a metà fra installazione e ambiente. Questa pratica si è tramandata poco per via della scrittura canonica della storia dell’astrazione, che ha ridotto all’estremo un perimetro di fatto più ampio e pluridisciplinare.
A questa inclinazione si aggiunge il vero e proprio terrore dei pionieri di finire nell’arte decorativa, quindi insignificante. La paura di scivolare in un’arte presuntamente minore ha gettato discredito su una produzione fiorente e su artisti che avevano raggiunto l’utopia delle avanguardie: realizzare la sintesi fra arte e vita. Questa mancanza di riconoscimento ha danneggiato essenzialmente le donne, che spesso erano relegate a pratiche meno valorizzate, come le arti applicate. “Penso che ci siano stati determinanti sociologici, educativi e ideologici che hanno orientato le donne verso certe attività. Basti pensare alle donne del Bauhaus che dovevano obbligatoriamente andare al reparto tessile”, ricorda Christine Macel, conservatrice al Centre Pompidou e curatrice della mostra “Elles font l’abstraction” presso il MNAM. “Il fatto di non aver considerato un certo numero di pratiche di queste donne come parte dell’astrazione le ha escluse da questa storia. Per esempio, tradizionalmente si citano spesso i quadri di Robert Delaunay, ma le creazioni tessili di sua moglie Sonia sono menzionate appena”.
Sonia Delaunay e Sophie Taeuber-Arp, impossibili da classificare
Il caso di Sonia Delaunay-Terk è di fatto esemplare, perché ha abbracciato l’astrazione prima di suo marito, a patto che si accetti di considerare un’opera tessile sullo stesso piano di un dipinto. Nel 1911, crea per la nascita del figlio Charles un patchwork colorato per coprire la culla del bambino. A riprova dell’importanza che dava a questo assemblaggio di tessuti, più tardi lo stende su telaio, lo incornicia e lo espone… come un quadro. L’opera rappresenta per l’autrice un punto cardine: un motore concettuale per la sua produzione, ma anche per quella del marito. Dopo averla realizzata, “cercammo quindi di applicare tale procedimento ad altri oggetti e quadri”, spiega in seguito.
La stessa constatazione vale per Sophie Taeuber-Arp. “È una delle pioniere dell’arte astratta, non ha mai posto confini tra le sue pratiche”, spiega Eva Reifert, conservatrice al Kunstmuseum di Basilea e curatrice di una retrospettiva su Sophie Taeuber-Arp. “Impossibile da classificare: ha realizzato sculture che sono anche oggetti e borsette astratte di perline fin dagli anni 10 del ‘900”. D’altronde sono le sue pratiche ad aver guidato il marito Jean Arp nella scoperta dell’astrazione. Questa libertà, questa fluidità fra i mezzi sono una costante che ritroviamo in tante di loro, particolarmente in Natalia Goncharova. Artista trasgressiva, conia la nozione di “tuttismo” per designare il suo approccio inclusivo e totale. Oggi riscopriamo che ha persino inventato la performance astratta sfilando per le strade di Mosca con il viso ricoperto di geroglifici astratti. Un atto sovversivo destinato a congiungere l’arte e la vita.
Traduzione di Sara Concato via lejournaldesarts.fr
Immagine di copertina via Wikimedia