Sudan: si prova a cercare una tregua, ma la popolazione è allo stremo

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Nonostante sia stato avviato un tavolo di incontro, la guerra nel paese africano continua: oltre 700 i morti.

Il Sudan sta vivendo uno dei momenti più tragici della sua storia, dopo la guerra civile nella regione del Darfur di vent’anni fa. Sin dalle prime battute, il progredire di scontri e violenze ha coinvolto anche i civili. La guerra in Sudan, ad oggi, ha prodotto 700 morti, 5mila feriti, almeno 335mila sfollati e 115mila persone fuggite dal paese. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che ha fornito questi dati, è arrivata sul posto per offrire il supporto necessario per gestire accoglienza, nutrizione e cure mediche.

La situazione diventa sempre più critica con il passare delle ore: scarseggiano cibo, acqua potabile, carburante per la fornitura di energia elettrica e le strutture ospedaliere del Sudan sono in larga parte fuori servizio o poco agibili. Tale scenario è reso ancor più critico dallo stato in cui versano le vie di comunicazione: le strade e i sistemi di trasporto, infatti, sono a forte rischio a causa degli attacchi e anche le partenze risultano sempre più complicate a causa dell’aumento dei costi di spostamento,

In più di un’occasione sono state pattuite tregue o cessate il fuoco, ma questi accordi non sono mai stati rispettati – se non per poche ore. Lo scontro è tra l’Esercito del Generale Abdel Fattha al-Burhan, a composizione maggiormente islamista, e le Rapid Support Forces (Forse di Supporto Rapido, RSF) guidate dal Generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti.

Domenica 7 maggio è iniziato un tavolo di discussione tra le parti in Arabia Saudita, a Jeddah, ma la tregua sembra lontana e i bombardamenti a Khartoum e nelle zone limitrofe non sembrano diminuire. L’incontro – voluto da Arabia e Stati Uniti che si sono proposti come mediatori – non pretende di trovare un accordo politico tra i disputanti, ma spera di riuscire a definire un cessate il fuoco stabile e organizzato, per permettere il soccorso e la messa in sicurezza dei civili.

Al tavolo della trattativa, inoltre, si cercherà di capire come trattare i crimini di guerra: è possibile che si cerchi un compromesso a base di amnistie reciproche.

Per capire le ragioni di questa guerra in Sudan bisogna ricordare che l’esercito sudanese e le RSF sono stati protagonisti dell’ultimo Colpo di Stato dell’ottobre 2021, quando hanno arrestato il primo ministro Abdallah Amdo esautorandolo dei sui poteri. L’evento ha messo fine al processo di transizione verso la democrazia che stava cercando di svilupparsi in seguito alla precedente sovversione del dittatore al-Bashir del 2019.

Da allora Esercito e RSF hanno governato insieme, con al-Burhan Presidente ed Hemetti suo Vice. L’obiettivo del governo di coalizione militare avrebbe dovuto essere l’approdo a un regime democratico, ma le intenzioni sono state più volte deluse – nel Dicembre 2022 e lo scorso 6 Aprile. In entrambe le occasioni sembrava che i generali fossero sul punto di firmare un accordo con le Forze per la Libertà e il Cambiamento, organizzazione della società civile che lotta dal 2019 per la democrazia in Sudan. In entrambe le occasioni, però, è stata fumata nera: contrari alla firma gli islamisti dell’Esercito, perché un accordo avrebbe significato unificare le due realtà militari.

Da qui il contrasto, degenerato in tensione, confitto e disastro umanitario. Il motivo della tensione è legato all’integrazione delle Forze paramilitari nell’esercito e su chi, in seguito, guiderebbe la neo costituita realtà militare. Una lotta di potere, insomma.

E quando i militanti delle RSF hanno cominciato a sparpagliarsi per tutto il paese presiedendo diverse regioni e città, l’Esercito non ha visto di buon occhio l’iniziativa, pensando si trattasse di un tatticismo per avanzare territorialmente. Il 15 Aprile la tensione è esplosa e la guerra ha coinvolto da subito anche la popolazione civile, visto che non ha risparmiato la capitale Khartoum così come altri villaggi.

La RSF si è costituita nel 2013 sulla base della tristemente nota milizia Janjaweed, che combatteva brutalmente i ribelli in Darfur – evento per cui furono accusati di pulizia etnica. Da allora, il Generale Dagalo ha costruito una forza potente che è intervenuta nei conflitti in Yemen e Libia.

Originario del Sudan dell’Ovest, Mohamed Hamdan Dagalo non è un personaggio avvezzo a climi e relazioni politiche, piuttosto ha costruito la sua posizione sugli appoggi economici di alleati come Egitto ed Arabia Saudita e al controllo di alcune miniere d’oro del Sudan (il principale bene esportato della Nazione).

Adesso, il suo obiettivo è sostituire al-Buhran alla guida del paese e, nel suo piano, la strada per la democrazia non è contemplata.

Sara Gullace

Immagine di copertina via twitter.com/amnestyitalia

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