L’Italia è Repubblica: la storia del 2 giugno
L’evento storico che segnò il destino del nostro Paese: il popolo italiano votò “Repubblica”. La nomina dell’Assemblea Costituente e l’esilio dei Savoia. Cronologia e cenni storici dei principali avvenimenti che condussero alle origini della Repubblica Italiana.
L’Italia – uscita da poco più di un anno dall’esperienza disumana, atroce ed angosciosa della Seconda Guerra Mondiale – si preparava a vivere quello che, forse, può esser considerato – almeno sotto un profilo istituzionale, politico e sociale – quale il momento più cruciale della sua plurimillenaria storia ossia: il referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Nel tentativo di meglio delineare la cornice storica che fa da sfondo all’avvenimento in narrativa, farebbe d’uopo procedere con una perspicua e sintetica ricostruzione di taluni degli avvenimenti più salienti vissuti dal nostro Paese, i quali culminarono appunto anche con l’indizione del referendum. Altresì, tali eventi concorrono a denotare l’esistenza, in quegli anni, di un clima politico domestico ed internazionale, a dir poco, “torrido”.
Naturalmente, l’incipit di tale excursus non può non essere identificato nell’inizio per l’Italia della Seconda Guerra Mondiale; il 10 giugno 1940, infatti, dal balcone di Piazza Venezia, il Duce pronunciò l’ormai nota “dichiarazione di guerra”, con la quale esortava il popolo italiano a “correre alle armi”. E così il Regno d’Italia “scendeva in campo” schierandosi a fianco della Germania Nazionalsocialista di Adolf Hitler ed avverso a quelle che il Duce medesimo definì apertamente quali «democrazie plutocratiche e reazionarie d’Occidente» (Francia e Gran Bretagna).
#2GIUGNO 1946
NASCE LA REPUBBLICA ITALIANA
77 anni fa più di 25 milioni di italiani hanno scelto col loro voto la Repubblica. Quel giorno, per la prima volta andranno a votare anche le donne.#festadellarepubblica #ANPPIA #Repubblica #2giugno1946referendum📷 pic.twitter.com/opvk2gO8GS— A.N.P.P.I.A. (@anppia2013) June 2, 2023
In poco tempo, l’esito della guerra per l’Italia fu assai chiaro e lampante: essa finì col capitolare rapidamente, a causa soprattutto della sua impreparazione militare. Ed eguale sorte spettò al regime fascista. Per dovere di cronaca, il 25 luglio 1943 a Villa Savoia, Vittorio Emanuele III fece arrestare Benito Mussolini ed, al contempo, nominò il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio alla carica di Presidente del Consiglio.
L’8 settembre 1943 lo stesso Badoglio comunicò a mezzo EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) l’avvenuta ratifica dell’armistizio di Cassibile, il quale fu siglato con le forze alleate anglo-americane poste sotto la direzione del Generale Dwight David Eisenhower. Ai microfoni dell’EIAR, il Maresciallo d’Italia così asseriva: «Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta…». Intanto, Mussolini – imprigionato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso – venne liberato dai tedeschi il 12 settembre 1943 e, successivamente, fondò, con l’aiuto dei nazisti, la Repubblica Sociale Italiana (ai più conosciuta con l’espressione “Repubblica di Salò”), che probabilmente costituì l’ultimo tentativo messo in atto dal Duce per risalire al potere.
🗓️ #8settembre 1943: con un proclama via radio, alle 19.42 il maresciallo Pietro Badoglio annuncia al paese l'armistizio tra Italia e Alleati 👉 https://t.co/PztXTwGUgp. pic.twitter.com/By7H9DKq3U
— Ghigliottina News (@Ghigliottina) September 8, 2022
Da qui, l’avvio della guerra civile tra fascisti e partigiani. Proseguendo la breve disamina storica, si ricorda che a seguito della liberazione di Roma, il 5 giugno 1944 Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III elevava il figlio Umberto alla dignità di Luogotenente Generale del Regno d’Italia. A Giulino (frazione di Tremezzina, in provincia di Como), il 28 aprile 1945 Mussolini veniva giustiziato assieme a Claretta Petacci, per mano del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
Più avanti nel tempo, segnatamente il 9 maggio 1946, a Vittorio Emanuele III abdicava al trono in favore del figlio, il quale decise di divenire sovrano con il nome di Umberto II di Savoia. Così questi diveniva il quarto ed ultimo Re d’Italia.
Tornando alla centrale questione referendaria, gli italiani furono alle prese con un dilemma, probabilmente, di proporzioni “amletiche”: “Monarchia o Repubblica?”. Già proprio così! Fu questa, infatti, la dicotomica opzione elettorale che i cittadini ebbero l’onore e l’onere di dover dirimere alle urne, con una votazione – per la prima volta in Italia – a suffragio universale e diretto. Una vera e propria novità politica che assunse anche i chiari connotati del significativo livello di maturità assunto da quello che, sempre più, poteva definirsi un evolutivo processo social-democratico del nostro Paese, ben attivato dal corso naturale di alcuni degli eventi testé citati.
Il 2 giugno 1946 il corpo elettorale italiano fu convocato al seggio per decretare, oltre alla forma di stato, anche i singoli membri della futura Assemblea Costituente, alla quale, appunto, veniva demandato l’alto incarico di stilare la Carta Costituzionale italiana, in luogo dello “Statuto del Regno” del 4 marzo 1848 (meglio noto con l’espressione “Statuto Albertino”).
Ebbene, il 10 giugno 1946, la Corte di Cassazione proclamò i risultati ufficiali del referendum: la Repubblica ottenne circa il 54,3% dei consensi (12.717.923 voti), per converso la Monarchia incassò circa il 45,7% delle preferenze (10.719.284 voti); i voti nulli ammontarono, invece, a 1.498.136 voti. Il primo giorno della nuova Repubblica Italiana – 11 giugno 1946 – fu dichiarato festivo. Il 2 giugno divenne, quindi, uno dei simboli patri ufficiali dell’Italia unitamente, tra gli altri, ad esempio: alla Bandiera d’Italia, all’Inno d’Italia (o Canto degli Italiani) ed al Vittoriano (o Altare della Patria).
Naturalmente, il verdetto finale del referendum fu aspramente stigmatizzato dai monarchici e dalla stessa Casa Savoia; non a caso, il 13 giugno 1946 Umberto II – prima di decollare per il Portogallo (Cascais), ove avrebbe vissuto gli anni dell’esilio – inviò un messaggio al popolo italiano con il quale esprimeva il proprio disappunto circa l’esito delle votazioni. Queste sono solo alcune delle parole proferite dall’ultimo sovrano del Regno d’Italia nell’ultimo messaggio rivolto al suo popolo: «Italiani! Nell’assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum. Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giungo il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risoluta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente…il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano…Con animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d’Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli. Viva l’Italia!».
Si chiudeva, quindi, una pagina importante della storia del nostro Paese: dopo ben 85 anni la forma di stato monarchica veniva “democraticamente scalzata” da quella repubblicana. Era la fine del Regno d’Italia; tra il 12 ed il 13 giugno Alcide De Gasperi assumeva l’incarico di Capo provvisorio dello Stato repubblicano.
Ben lungi, ora, dal voler intavolare delle oramai anacronistiche diatribe incentrate da un lato, sulla chiara contestazione – ad opera dei monarchici – sia dell’esito del Referendum sia delle relative modalità di determinazione della maggioranza, da altro, sulla decisione di confinare all’esilio i membri di Casa Savoia, riteniamo, forse, sia più interessante oggigiorno andare a porre mente sugli ulteriori sviluppi storici che hanno caratterizzato nel tempo la rilevanza assunta dalla festività in dissertazione.
La prima celebrazione commemorativa della festa della Repubblica avvenne il 2 giugno 1947; la prima parata militare in onore del Capo di Stato – in via dei Fori Imperiali – ebbe luogo, invece, l’anno successivo (2 giugno 1948).
Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, che alla XIII disposizione transitoria e finale (commi 1 e 2) recitava: “I membri e i discendenti di Casa Savoia non sono elettori e non possono ricoprire uffici pubblici né cariche elettive. Agli ex re di Casa Savoia, alle loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale”. In seguito, la Legge costituzionale n. 1 del 23 ottobre 2002 abolirà i commi 1 e 2 della succitata disposizione: “I commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione esauriscono i loro effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale”.
La festa della Repubblica fu definitivamente proclamata solennità festiva nazionale il 2 giugno 1949.
#Mattarella: L’Italia continuerà a lavorare affinché l’Unione europea possa essere sempre più attore capace di proiettare pace, stabilità e sviluppo a livello globale.
Con questi intendimenti auguro a tutti buona Festa della Repubblica Italiana pic.twitter.com/tOQJUqj88U— Quirinale (@Quirinale) June 1, 2023
Nel 1961 – in onore dei festeggiamenti per il centenario dell’Unità nazionale – la principale cerimonia festiva si svolse a Torino, prima capitale del Regno d’Italia. L’art. 1, commi 2 e 3, della Legge n. 54 del 5 marzo 1977 aboliva la festività della giornata del 2 giugno: “A decorrere dal 1977 la celebrazione della festa nazionale della Repubblica e quella della festa dell’Unità nazionale hanno luogo rispettivamente nella prima domenica di giugno e nella prima domenica di novembre. Cessano pertanto di essere considerati festivi i giorni 2 giugno e 4 novembre”.
Nel 2001, l’allora Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi ripristinò, in pianta stabile e definitiva, il 2 giugno quale giorno festivo nazionale.
Giunti al termine della nostra rapida analisi diacronica, è indubbio ritenere che la festività del 2 giugno sia vissuta dagli italiani con estrema passione e devozione. Infatti, il 2 giugno è anche la data in cui viene celebrata la festa delle Forze Armate Italiane: la ricorrenza in cui il Capo dello Stato depone una corona d’alloro al Milite Ignoto; successivamente, segue la tradizionale parata delle Forze Armate tricolori, le quali sfilano lungo un percorso ben preciso – da Via dei Fori Imperiali sino all’Altare della Patria – in onore del Presidente della Repubblica Italiana ed alla presenza delle più alte cariche dello Stato italiano. Alla parata prendono parte: tutte le Forze Armate Italiane, tutte le Forze di Polizia della Repubblica Italiana, il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, la Protezione Civile e la Croce Rossa Italiana. La parata militare si chiude poi col classico saluto delle Frecce Tricolori che sfrecciano nel cielo salutando le Autorità presenti e i cittadini che partecipano a tale manifestazione celebrativa.
Francesco Ciavarella