A Sfax in Tunisia il dramma della lotta tra disperati
Il Presidente Saied usa la retorica dello “straniero invasore” per fini politici, mentre sono centinaia i migranti sfollati tra violenze e soprusi
Dopo mesi di tensioni, l’ostilità tra tunisini e migranti subsahariani si è trasformata in un drammatico conflitto: scontri violenti, rappresaglie reciproche e proteste pubbliche da entrambe le parti sono costate la vita di una persona, la fuga o lo sfollamento di centinaia di altre.
Epicentro del dramma sociale è la città costiera di Sfax, terzo porto nazionale e secondo centro per grandezza dopo la capitale Tunisi, da dove partono le imbarcazioni dell’europea discordia. È da qui che transitano centinaia di migliaia di migranti in cerca di sopravvivenza, persone in cerca di asilo, di rifugio o migranti economici che sperano in una vita migliore. Prima meta di approdo, Lampedusa, a meno di 200 km dalla costa.
Ed è sempre a Sfax che lo scorso 3 Luglio è morto un tunisino di 42 anni, durante uno degli scontri tra quelle che ormai sono diventate due vere e proprie opposte fazioni. Da quel momento, ovviamente, la popolazione locale ha acuito il proprio rifiuto verso i migranti – sia in transito che stanziali – e continua a manifestare contro le autorità affinché cacci “gli africani”.
Il problema è che le istituzioni, avallate dalla retorica nazionalista del Presidente Saied, hanno accolto l’appello: secondo Human Rights Watch (HRW) sono 500 le persone di origine subsahariana che in queste settimane sono state prelevate con la forza e deportate verso la frontiera libica. Abbandonate in una zona militarizzata il cui accesso è bloccato a giornalisti, alle agenzie ONU e alla società civile. Lasciate con poco accesso ad acqua, cibo o cure mediche.
“Il governo tunisino dovrebbe fermare le espulsioni collettive e consentire urgentemente l’accesso umanitario ai migranti africani e ai richiedenti asilo già espulsi in un’area pericolosa”. Questa la posizione della ONG statunitense che, inoltre, ha esortato a un’indagine approfondita sugli abusi denunciati per individuare i responsabili tra le forze di sicurezza nazionali. HRW ha inoltre sottolineato che in “molti hanno denunciato violenze – torture e stupri – proprio da parte delle autorità durante l’arresto o l’espulsione”.
Testimonianze analoghe sono state raccolte dalla Lega tunisina per la Difesa dei Diritti Umani, per cui molti sarebbero stati trasferiti nel Sud del Paese, presumibilmente in centri per migranti nel governatorato di Medenine. Contro la Guardia Nazionale tunisina anche organizzazione umanitarie come Sea Watch ed Alarm Phone. Il Partito Repubblicano, all’opposizione, prende le distanze dalla linea governativa. Per il suo leader, Ahmed Nejib Chebbi, a Sfax si sta scrivendo “Una pagina nera della nostra storia“.
Se la situazione è esplosa nelle ultime settimane, è vero che la convivenza tra povertà autoctona e miseria in transito è diventata impossibile già da parecchi mesi. A rompere gli equilibri precari ci ha pensato direttamente il Presidente della Repubblica, Kais Saied. Lo scorso Febbraio ha pubblicamente parlato di “africanizzazione della Tunisia”, affermando la presenza di “un piano criminale per cambiare la composizione demografica del paese, ci sono alcuni individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani.”Il Presidente ha inoltre sentenziato che “La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili”, sollecitando la popolazione ad opporsi a questo tentativo.
Benché l’opinione internazionale si sia indignata, il governo tunisino ha difeso il discorso del di Saied, sostenendo che si rivolgesse solamente agli irregolari. Anche il Partito Nazionalista Tunisino, da cui viene Saied, ha incoraggiato l’uscita presidenziale ribadendo la propria retorica xenofoba secondo cui gli africani sub-sahariani sarebbero coloni che finiranno per espropriare i tunisini della loro terra.
La Carta Nazionalista, secondo analisti locali, è una mossa di isolamento dell’Islam politico, ad oggi maggior rivale di Saied, perché, di base, ha un’anima transnazionale. Quando il Presidente parla di “traditori”, in realtà, sembra rivolgersi ai propri oppositori, riscaldando i toni già accesi tra la popolazione.
Ci sono circa 20.000 migranti subsahariani in Tunisia, che ha una popolazione di 12 milioni.
Quanto accade a Sfax, evidentemente, è di interesse al di là del Mediterraneo: considerato il difficile momento politico-economico che sta attraversando la Tunisia, l’UE ha pensato a un accordo con il Paese nordafricano per rallentare le partenze verso il Vecchio continente e gestire internamente i flussi migratori.
L’intesa maturata la scorsa primavera prevedeva una prima tranche di aiuti per 150 milioni di euro con la prospettiva di erogarne altri 900 milioni in caso di sblocco da parte del FMI per un prestito da quasi 2 miliardi di dollari allo Stato nordafricano. Dopo una serie di battute di arresto, l’accordo non ha ancora visto luce. Del resto buona parte della popolazione tunisina sarebbe ostile ad una soluzione del genere. Lo stesso Presidente, di recente, ha sottolineato che il Paese non sarà disposto a “Essere zona di transito né custode dei confini di altri”.