Ondata di proteste in Perù: il popolo chiede le dimissioni di Boluarte
Numerose manifestazioni in Perù: la presidente lascerà il posto di comando del Paese sudamericano?
Continua l’ondata di proteste in Perù contro la presidente Dina Boluarte: le proteste sono cominciate a dicembre dello scorso anno, sebbene in questi ultimi giorni la partecipazione si è ridotta considerevolmente – gli Interni parlano di non oltre 1.500 persone nella capitale e di 21mila in tutto il Paese.
Le posizioni, tuttavia, restano ferme: dimissioni della presidente Boluarte ed elezioni anticipate. Queste, in estrema sintesi, le richieste della popolazione peruviana scesa in strada a Lima e in altre 59 province.
Di certo, non si tratta di pretese dell’ultim’ora: sono mesi, appunto, che la popolazione esprime il proprio malcontento verso Dina Boluarte. La Presidenta, subentrata a Pedro Castillo dopo un fallito colpo di Stato voluto proprio da lui stesso, si era instaurata con la promessa di imminenti presidenziali per anticipare le consultazioni previste a Giugno 2026.
Indigenous women and police clash in Peru protest https://t.co/MpKqNtqcfY
— BBC News (World) (@BBCWorld) July 31, 2023
Invece, è stato presto chiaro come Boluarte fosse interessata a restare al posto di comando. Al punto che, a metà giugno, è uscita allo scoperto dichiarando che non ci sarebbe stato un anticipo del voto, scatenando un forte malcontento. Alla presidente, inoltre, non si perdona la truculenta gestione della prima ondata di manifestazioni, avvenuta tra gennaio e marzo: 68 morti e 531 feriti sia tra i civili che tra le forze dell’ordine e 329 arresti era stato il bilancio.
In quel frangente, diverse organizzazioni non governative denunciarono un uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine peruviane. Amnesty International incoraggiò l’ufficio del procuratore generale ad indagare chi avesse ordinato o tollerato l’uso illegittimo della forza da parte delle istituzioni.
“L’uso di armi da fuoco contro i manifestanti mostra un palese disprezzo per la vita umana. Nonostante gli sforzi del governo per dipingerli come terroristi o criminali, le persone uccise erano manifestanti, osservatori e passanti. Quasi tutti provenivano da ambienti poveri, indigeni e contadini, il che suggerisce un pregiudizio razziale e socioeconomico nell’uso della forza letale”. Con queste parole Agnes Callamard, Segretario Generale di Amnesty, aveva voluto denunciare non solo l’inadeguatezza dei mezzi ma anche l’abitudine del Governo di screditare e, addirittura, tacciare di terrorismo quanti esprimessero dissenso verso le istituzioni. Ovvero persone nel pieno delle loro libertà di espressione.
Uso ed abitudine, questa, non ancora perduta dal gabinetto Boluarte: “Una minaccia alla democrazia” secondo la stessa presidente. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro della Difesa, Jorge Chavez, che ha dichiarato: “Sono convinto che i bravi cittadini non si presteranno al gioco”. E rincara la dose Romero, il titolare degli Interni, per il quale “più del 90% della popolazione vuole lavorare. Ci sono organizzazioni dietro questa nuova presa di Lima, ma la popolazione non raccoglie oltre la provocazione”. In questo modo, e con altre simili uscite, l’entourage di Boluarte ha cercato di delegittimare argomenti e protagonisti del dissenso di questi mesi.
Indigenous Peruvian women and the police violently clashed during an anti-government protest, demanding President Dina Boularte's resignation and new elections. #Peru #Protest #Clash #Indigenouswomen #police pic.twitter.com/NjPW1j3akL
— CGTN America (@cgtnamerica) July 31, 2023
Un recente sondaggio dell’Istituto di Studi Peruviani, invece, ha confermato la partecipazione del popolo: il 58% degli intervistati si identifica con le manifestazioni. Il 78% concorda nelle dimissioni di Boluarte, il 77% nello smantellamento del Parlamento, il 69% chiede una nuova Costituente e l’80% nuove elezioni. In generale, oltre l’81% della popolazione disapprova la condotta della presidente, che ottiene l’appoggio solamente del 10%.
Anche in questi ultimi giorni, come in passato, in strada sono scesi elettori ed elettrici indipendenti, organizzazioni politiche e gruppi di attivisti di diversa estrazione e differenti colori. E anche se tutti concordavano sullo stop a Boluarte e sull’urgenza delle elezioni, su altre richieste c’è stata più divisione. Situazione che non giova, evidentemente alla stessa protesta.
Il tema che genera più divisioni e incomprensioni è la scarcerazione dell’ex presidente Castillo, detenuto nel carcere di Barbadillo con due pene detentive preventive. Uno per essere il presunto capo di un’organizzazione criminale e l’altro per ribellione dopo il tentativo di sovversione del Governo dello scorso inverno.
Facciamo un passo indietro: lo scorso 7 dicembre, Pedro Castillo, presidente dal luglio 2021, sciolse il Parlamento e il Governo di emergenza nazionale, mentre il Congresso stava per votare la terza mozione di impeachment nei suoi confronti. Un autogolpe, in sostanza. Tuttavia, i deputati approvarono la mozione in emergenza e proclamarono la sua vice, Boluerte, come nuova presidente.
Poco dopo scoppiò la prima rivolta nelle aree rurali di Cuzco, Ayacucho, Apurímac, Arequipa y Tacna, dove più alto è il numero di elettori vicini a Castillo. Da allora le tensioni rallentano e accelerano periodicamente senza mai risolversi del tutto. Del resto, perché dovrebbero? Le richieste di scioglimento del Congresso, l’immediata liberazione di Castillo, le dimissioni di Dina Boluarte e l’indizione di elezioni legislative a stretto giro non sono state accolte né all’epoca, né oggi.
Immagine di copertina via twitter.com/GreenLeftOnline