“Autostop per la rivoluzione”: i sognatori sono tutti giovani e belli
Una giovane, aspirante giornalista, parte dal Cile di Pinochet per scoprire un altro modo di stare al mondo. Destinazione Nicaragua, dove la rivoluzione ha trionfato solo qualche anno prima.
Ho recentemente tentato, senza grande successo per la verità, di mettere ordine in casa. Ho svuotato armadi e cassetti e mi sono disfatta di parecchia roba. Chi si sia mai dedicato a un riordino di quelli corposi, in realtà è sufficiente aver traslocato almeno una volta nella vita, sa bene che le operazioni che potrebbero durare un tempo circoscritto (sempre troppo!) si protraggono ben più a lungo. Mentre spostiamo cose da un punto A a un punto B, fosse lo scatolone di turno o il cestino dei rifiuti, saltano fuori carte, diari, fotografie. Tralasciando i discorsi nostalgici su buste piene di carta kodak, di negativi da guardare in controluce e di lettere e cartoline scritte a mano, capita in questi momenti di passare ore a rileggere le parole di chi, per un motivo o per l’altro, non c’è più – incluso il lettore stesso in una sua versione precedente -, ma la cui voce in quel momento ci pare di sentire. In una specie di esperimento volto a confermare la teoria quantistica dello spazio-tempo, le realtà, quella passata e quella presente, tendono a sovrapporsi e confondersi.
È un po’ quello che succede in Autostop per la rivoluzione (Edicola Ediciones, 2022) di Cynthia Rimsky (quest’anno ospite al Festival della Letteratura di Mantova) e non solo perché, a distanza di tempo, la narratrice ritrova alcuni diari di viaggio. Ma anche perché, nella costruzione della narrazione a partire da quei diari, la scrittura si fa a volte traslucida, lasciando intravedere attraverso l’io narrante del presente quello del sé passato.
A raccontare il passato e il presente, a sovrapporli e confonderli, è una donna che in momenti diversi della sua vita ritrova un paio di quaderni su cui era solita appuntare o scrivere di tutto mentre era in viaggio: il primo quaderno risale a quando di anni ne aveva 22 (ritrovato trent’anni dopo), il secondo a un viaggio compiuto a 45 anni (trovato a 57 anni). In comune la destinazione: il Nicaragua.
Succede che la rivoluzione sandinista in Nicaragua – quella cui rimanda il titolo del libro, scoppiata nel 1979 – ha avuto un grande fascino nell’immaginario dell’epoca, fascino che probabilmente conserva anche oggi per molti nostalgici dei sogni infranti: una rivoluzione dal basso che si impone su una dittatura e che dà vita a un governo democratico che mira a combattere le disuguaglianze politiche, sociali ed economiche. Al di là di come sia finita poi – tra ingerenza a stelle e strisce, divisioni interne e cupidigia umana – nel 1985, l’anno in cui la ventiduenne si mette in viaggio e raggiunge il paese, è ancora troppo presto per smettere di crederci, anche se qualche crepa qua e là già si intravede.
Tanto più se, come la giovane autostoppista e aspirante giornalista, vieni dal Cile, un paese dove impera una dittatura militare che con gli scarponi ha infranto un altro sogno e calpestato migliaia di vite.
Nella narrazione si mischiano le parole scritte allora e quelle scritte ora, diari e lettere, ricordi ed elementi più vividi. Si mescolano anche le aspettative e le aspirazioni, politiche e personali, le illusioni di allora e le disillusioni dell’oggi. La memoria e le pagine di un diario non riescono a ricordare tutto o a riportare i fatti fedelmente, la fotografia è a tratti sfocata, la narratrice fa i conti con la fallibilità del ricordo, con la parzialità dei racconti, con se stessa oggi molto diversa da quella che sognava di essere, come il Nicaragua recente, in cui ritorna a distanza di vent’anni, e che è ben diverso da quello per cui molti hanno combattuto.
Autostop per la rivoluzione
Cynthia Rimsky
Traduzione di Silvia Falorni
Edicola Ediciones, 2022
pp. 100, 15 euro
Immagine di copertina via instagram.com/edicola_ed